Protocolli condivisi per la gestione emergenza Covid-19 in azienda: maggiori consapevolezze per il mondo imprenditoriale.

Avv. Elpidio Garzillo

L’emergenza epidemiologica derivante dal COVID-19, ha sortito nel nostro paese rilevanti ripercussioni: nessun settore può dirsi escluso dagli effetti negativi generati dalla pandemia.

Il Governo italiano attraverso numerosi provvedimenti, ha guidato tutti noi verso una effettiva e realistica gestione del rischio da contagio. Questi strumenti se da un lato hanno ingenerato una maggiore consapevolezza di come affrontare questo nuovo e sconosciuto avversario, dall’altro e, per fortuna solo nell’immediatezza, creato allarmismi del tutto immotivati in tema di responsabilità giuridiche. Con tale affermazione si potrebbe peccare di presunzione, dal momento in cui non tutti i consociati posseggono nozioni di natura giuridica! Ma, a ben guardare, la corretta gestione dalla fase più acuta dell’emergenza epidemiologica, è stata rimessa a ciascuno di noi, sulla base di conoscenze cristallizzate in un determinato momento storico e nella piena consapevolezza di combattere un nemico senza armi adeguate ed efficaci a contrastare la sua propagazione.

Oggi Confindustria ha pubblicato il Position Paper dal titolo “La responsabilità amministrativa degli enti ai tempi del COVD-19 – Prime indicazioni operative”.

Si tratta di un “documento di posizione” attraverso cui Confindustria, incamminandosi verso la fase 3 che, presumibilmente, dovrebbe partire il 15 giugno 2020, riassume e cerca di sciogliere (prendendo appunto posizioni a riguardo), ogni nodo interpretativo sulle responsabilità addebitabili alle imprese qualora il contagio, dilagato o meno nell’ambito delle mura “domestiche”, sia la causa dell’infortunio (1) a cagione della mancata adesione/adeguamento alle prescrizioni normative applicabili in materia.

La tutela dei lavoratori è stata posta sempre al centro dell’attenzione, da parte di tutti gli organi istituzionali, le parti sociali, associazioni, mondo giuridico e la tecnica. Si è parlato di “scudo penale e civile” ove, a fronte dell’assoluta incertezza di come contenere il rischio pandemico, gli enti (rectius i datori di lavoro) dovessero esser tenuti quanto più al riparo da contestazioni civili o penali, a causa proprio dell’assoluta incertezza mondiale di come contenere i rischi di propagazione del contagio.

Su tale sfondo e senza dimenticare il confinamento imposto a livello nazionale, ci si chiesti con quali strumenti l’imprenditore avrebbe potuto esser in grado di adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori (art.2087 c.c.). Ancora, come e se aggiornare i documenti in essere, cioè procedure, DVR, modelli di gestione e quali professionalità coinvolgere. Non si dimentichi poi il profilo penalistico: il Testo Unico salute e sicurezza sui luoghi di lavoro impone precisi obblighi al “regista” della sicurezza in azienda, il datore di lavoro appunto, affinché quale responsabile dell’organizzazione stessa, gestisca la prevenzione nei luoghi di lavoro (2). A questo punto, non si possono escludere mentalmente le conseguenze sanzionatorie, scaturite da una concatenazione di eventi connessi l’un l’altro ove il verificarsi di un rischio professionale e dell’evento – infezione da Covid-19 nell’ambito dell’attività di impresa oppure contagio della popolazione lavoratrice a seguito di infezione di un collega e conseguente lesione dell’integrità fisica o decesso – sia conseguenza eziologica della violazione e/o mancata adozione di quelle regole cautelari imposte proprio al datore di lavoro.

Si diceva dell’attività normativa e regolamentare: ben due i Protocolli, quello del 24 marzo e 24 aprile (3), condivisi e sottoscritti tra Governo italiano e parti sociali per la regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro. I documenti hanno rappresentato un valido strumento per il mondo imprenditoriale,  preso d’assalto ex abrupto, per lo più da posizioni liquide e scialbe di stampo mediatico, quale sicuro, unico e solo responsabile penalmente di un potenziale contagio in azienda.

La parola fine a tale “caccia alle streghe”, se mai fosse cominciata, è giunta allorquando il Governo ha precisato che: “Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID- 19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (4).

In questo melting pot regolamentare, la granitica certezza che l’infortunio sul lavoro per Covid-19 non è collegato alla responsabilità penale e civile del datore di lavoro, era agevolmente ricavabile dalla normativa in vigore. Si consideri, infatti,  che l’affermazione della responsabilità penale al datore di lavoro per infortunio sul lavoro per Covid-19 è il risultato di una dimostrazione che le lesioni o la morte, siano dovute, oltre ogni ragionevole dubbio, da un’infezione da Covid-19 avvenuta nella struttura organizzata, per ragioni di lavoro e non al di fuori di essi. Prima di questo, però, è fondamentale sviscerare la condotta posta in esser dal soggetto deputato a preservare la salute del lavoratore e verificare il grado di commitment a porre in esser tutte le cautele preventive prescritte dalla norma. Tali nuovi presidi in tempo di Covid, pertanto, potranno esser felicemente ancorati anche da quanto ordinato nei Protocolli condivisi, posti a presidio di quell’area di indeterminatezza operativa di natura squisitamente tecnica, ma che non esonerano, ora come allora, il datore di lavoro dal valutare i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, nonché a rispettare tutti gli obblighi a lui imposti all’art.18 del T.U. salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Nel contempo, si consideri anche che nessuna attività economica può esser esclusa e, pertanto, un ulteriore profilo impone il coinvolgimento non solo della persona fisica ma anche della persona giuridica, l’ente!

Ai sensi del d.lgs. 231/01 l’ente, qualora abbia tratto un interesse o un vantaggio (risparmio di spesa per l’acquisto di DPI, omessa sanificazione, omessa limitazione delle trasferte in aree a rischio) dalla condotta posta in essere dal datore di lavoro – (soggetto apicale) – risponde ai sensi dell’art.25-septies del d.lgs.231/01 “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro” se, tra l’altro, nel proprio Modello organizzativo di gestione e controllo adottato, non vi sia stata una preventiva, adeguata ed efficace governance del rischio infortunio da contagio Covid-19.

E allora, ritornando all’obbligo del datore di lavoro di definire le migliori condizioni lavorative da attuare nella sua organizzazione, ciò che era indispensabile fare, prima dei Protocolli condivisi, era quello di intraprendere un cammino di compliance alle norme già in essere che impongono comunque una ponderazione del rischio e la conseguente, se necessaria, adozione di misure poste a prevenzione di potenziali eventi dannosi in ragione delle effettive condizioni di  lavoro. Per converso, l’adeguamento ai Protocolli condivisi, non esonera il datore di lavoro sulla base dell’assioma adozione del protocollo=esonero della responsabilità: oggi, in costanza di tali specificazioni tecniche, la “guardia organizzativa” dovrà sempre esser alta, non esaurendosi l’attività di prevenzione del datore di lavoro (come persona fisica e come soggetto apicale che impegna l’ente) ad un mero recepimento dell’innovazione scientifica posta a contrasto della pandemia, ma, bensì, ad un incessante controllo organizzativo del rispetto delle medesime da parte di tutti gli attori coinvolti nella gestione della sicurezza in azienda.

 

(1) Per la definizione di infortunio sul lavoro https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/previdenza/focus-on/Assicurazione-contro-infortuni-sul-lavoro-e-malattie-professionali/Pagine/Infortunio-sul-lavoro.aspx.
(2) Ai sensi dell’art.2, c.1) lettera n) del d. lgs. 81/08 “Testo Unico salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”, per prevenzione si intende  “il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno”.
(3) Per la consultazione dei Protocolli http://www.governo.it/sites/new.governo.it/files/Protocollo_condiviso_20200314.pdfhttps://www.lavoro.gov.it/notizie/Documents/Protocollo-24-aprile-2020-condiviso-misure-di-contrasto%20Covid-19.pdf.
(4) Cfr. art. 29-bis del D.L. 08/04/2020, n. 23, introdotto dalla legge di conversione L. 05/06/2020, n. 40, pubblicata nella G.U. del 06/06/2020, n. 143.
Condivi con:
STAMPA