Poteri del questore sul rilascio della licenza di porto d’armi

Avv. Mario Caliendo


Deve precisarsi che, è illegittimo un provvedimento che non prenda in considerazione anche l’effettiva personalità del soggetto richiedente, infatti, in mancanza della stessa, il giudizio sulla capacità di abuso delle armi e sull’assenza di affidabilità non sarebbe stato effettuato nei confronti del soggetto detentore ma riguarderebbe una terza persona, estranea al procedimento.

Al riguardo, è doveroso evidenziare che occorre dar conto in motivazione dell’adeguata istruttoria espletata, al fine di precisare le circostanze di fatto in ragione delle quali il soggetto sia ritenuto pericoloso o comunque capace di abusi, ne consegue che il pericolo di abuso delle armi non solo deve essere comprovato, ma richiede una adeguata valutazione non del singolo dato di fatto ma anche della personalità del soggetto sospettato e non di soggetti terzi estranei al procedimento.

Dalle considerazioni che precedono, emerge, quindi, con evidenza che il provvedimento impugnato da una signora è stato dichiarato sfornito di presupposti, poiché la sola circostanza rilevata (riferibile ad un parente e non alla ricorrente) dalla Questura di Caserta, in assenza di ulteriori elementi, è inidonea a sorreggere un provvedimento così pregiudizievole per il ricorrente.

È infatti opinione comune nella Giurisprudenza Amministrativa che, pur nel rispetto della discrezionalità che la legge riconosce alla pubblica amministrazione nel valutare l’affidamento che dà il soggetto richiedente di non abusare delle armi, non può essere ritenuto sufficiente a valutare lo scarso affidamento del richiedente un mero rapporto di parentela con un soggetto ritenuto pericoloso.

La Giurisprudenza Amministrativa è concorde nel sostenere che la valutazione di assenza dei requisiti di moralità deve essere ricollegata ad episodi veramente significativi e che coinvolgano strettamente il soggetto interessato.

Infatti, con sentenza del T.A.R. Piemonte sez. I 29 luglio 2014 n. 1318, è stato chiarito che “la valutazione di segno negativo in ordine al possesso di detto requisito deve, in ogni caso, collegarsi a fatti e circostanze che per la loro gravità, la reiterazione nel tempo, l’idoneità a coinvolgere l’intera vita familiare, sociale e di relazione dell’interessato vengano a incidere su un piano di effettività sul grado di moralità e sull’assenza di mende ordinariamente esigibili per potere aspirare al rilascio della licenza di polizia.
…L’Amministrazione procedente non può (…) limitarsi ad addurre il solo fatto che il richiedente si è accompagnato a pregiudicati ovvero che è legato a taluno di essi da rapporto di parentela o di affinità, senza in concreto valutarne l’incidenza in ordine al giudizio di affidabilità e/o probabilità di abuso delle armi”.

Ancora, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5542, del 15 ottobre 2015, ha evidenziato che “sebbene l’Autorità di pubblica sicurezza abbia il compito, da esercitare con ampia discrezionalità, di prevenire fatti lesivi della sicurezza pubblica che potrebbero avere occasione per il fatto che vi sia la disponibilità di armi” pur tuttavia tale ampia potestà discrezionale, peraltro “da esercitare con il massimo rigore”, non può prescindere dal presupposto che “i requisiti soggettivi del richiedente vanno valutati con stretto riferimento alla persona del titolare dell’autorizzazione”.

Nella stessa sentenza è stato evidenziato che, nei casi di provvedimenti adottati per inaffidabilità di parenti o conviventi, dalla motivazione si dovrebbe facilmente evincere “quali indizi lasciano ritenere che la convivenza e l’ambiente familiare possa condizionare negativamente il giudizio di non affidabilità”, come per esempio querele/denunce per minacce o lesioni, non limitandosi a sottolineare il mero rapporto di affinità.

Nel caso di specie, nulla di tutto ciò è stato rinvenuto, visto che oltre al mero rapporto di parentela, non sono stati contestati ulteriori elementi, indizi o circostanze che possano solo far sospettare che tale rapporto possa condizionare negativamente l’affidabilità della ricorrente.

Alla stregua di tutte le precedenti argomentazioni, ne deriva che quando i provvedimenti inibitori si basano su precedenti di parenti o conviventi, i fatti e gli accertamenti devono essere particolarmente circostanziati, tenuto conto che “le autorizzazioni di polizia sono personali” (art. 8 T.U.L.P.S.) e che “i requisiti soggettivi del richiedente vanno valutati con stretto riferimento alla persona del titolare dell’autorizzazione” (Cons. St. n. 5542/2015).

Peraltro, non possono essere concesse licenze di porto di armi a chi “non dà affidamento” di non abusarne (art. 43 T.U.L.P.S.), affidamento limitato al richiedente e non anche ai suoi parenti o conviventi.

Come già ribadito, i requisiti attitudinali o di affidabilità dei richiedenti le licenze di Polizia devono essere sempre desunti da condotte del soggetto interessato, non essendo ammissibile che da episodi estranei al soggetto finiscano per discendere conseguenze per lui negative.

Nel caso di specie, invece, la Questura di Caserta ha adottato il provvedimento impugnato basandosi sul mero rapporto di parentela con un soggetto che non è neanche pregiudicato e senza valutare autonomamente la personalità della ricorrente e il grado di incidenza di tale circostanza.

Nel caso in esame, peraltro, si tratta di un mero rapporto di parentela tra la ricorrente ed un soggetto che ha avuto un procedimento penale per fatti risalenti a 33 anni fa e che non ha avuto nessun altra problematica penale (che ne dica la Questura) e tale rapporto “parentale” non è accompagnata da una ulteriore circostanza o elementi che incidono sulla persona della sig.ra Diana, tali da poter inficiare il rilascio del porto di fucile.

Addirittura, il parente “pericoloso” a ben vedere non lo è affatto ed anzi potrebbe lui stesso godere di una licenza di porto d’armi di fucile visto che è incensurato ed il procedimento risalente a 33 anni fa non si è concluso con una pronuncia di condanna.

In pratica, da una disamina degli elementi non risulta che l’amministrazione, oltre a richiamare la esistenza di un mero procedimento penale del parente della ricorrente (risalente e senza essere stato mai condannato!), ai fini della stessa decisione, abbia svolto un’attività istruttoria che tenesse conto anche della personalità della ricorrente o comunque della risalenza degli episodi e comunque alle vicende giudiziarie concluse con esiti favorevoli per il parente che, infatti, risulta incensurato.

E’ da rilevare che un’attività istruttoria si sarebbe resa comunque necessaria al fine di discrezionalmente apprezzare la permanenza, o meno, degli elementi giustificativi del diniego, viepiù alla luce del non breve periodo di tempo trascorso dal precedente ce riguardante il parente rispetto alla richiesta di licenza formulata dalla ricorrente. In difetto di ciò appare fondata la censura di eccesso di potere per carenza di istruttoria, che lo rende annullabile.

Conseguentemente il TAR ha accolto il ricorso proposto, il tutto con la sentenza riportata in calce integralmente.


Pubblicato il 31/03/2021 N. 02146/2021 REG.PROV.COLL. N. 01742/2020 REG.RIC.

Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1742 del 2020, proposto da XXXX rappresentata e difesa dall’avvocato Mario Caliendo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Questura di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz, 11;
per l’annullamento:

a) del provvedimento prot. n. Cat.6F/PASI prot. n. 239 del 25 maggio 2020 notificato il 28 maggio 2020 al ricorrente, emesso dalla Questura di Caserta e recante il respingimento della istanza per il rilascio della licenza di porto d’armi per uso sportivo;

b) della nota del 20 agosto 2019 recante preavviso di rigetto della richiesta di licenza di porto d’armi per uso sportivo;

c) del provvedimento di rigetto delle memorie difensive inoltrate e degli atti e/o provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali se ed in quanto lesivi degli interessi del ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Questura di Caserta;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore la dott.ssa Maria Grazia D’Alterio nell’udienza del giorno 16 febbraio 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25 D.L. n. 137/2020, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso all’esame la ricorrente, premesso di essere una stimata professionista, incensurata, dipendente di una azienda operante nel settore agroalimentare, e di aver sempre avuto una condotta di vita irreprensibile e conforme alle prescrizioni di legge, non risultando essere stata mai denunciata né condannata per nessun tipo di reato né di aver avuto frequentazioni con personaggi contigui alla criminalità organizzata o comune, contesta la legittimità del decreto del Questore di Caserta del 25 maggio 2020, recante il diniego di rinnovo di porto d’armi ad uso sportivo.

1.1 Il diniego si fonda sul rilievo della convivenza della ricorrente con un familiare con precedenti Polizia, essendo emerso che “il padre … in data 24.2.1987 è stato tratto in arresto … per porto abusivo d’armi … ed in data 9.11.1998 è stato deferito all’A.G…. per il settore di inquinamento delle acque … ed inoltre è stato controllato da personale delle Forze dell’Ordine e specificamente: in data 8.5.2009 … con un soggetto con precedenti di polizia nel settore ambientale; in data 31.3.2004… con soggetto con precedenti penali per contraffazione e ricettazione… in data 31.3.2015… con un soggetto per frode nell’esercizio del commercio..”.

1.2 Avverso tale atto la ricorrente propone censure di violazione di legge (segnatamente degli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S. di cui al R.D. 773/1931, 3 L. 241/1990) e di eccesso di potere sotto svariati aspetti sintomatici, stigmatizzando, in particolare, l’inadeguatezza dell’istruttoria e l’assenza della chiara enucleazione delle ragioni per cui la stessa è stata ritenuta capace di abusare delle armi.

In particolare, la ricorrente ha evidenziato che il semplice “rapporto di parentela” con un soggetto deferito alle A.G. non può assurgere ad elemento di sospetto o pregiudizio, vieppiù che ella conduce una vita irreprensibile e lontanissima da ambienti criminali o delinquenziali.

Né peraltro il padre potrebbe, secondo la prospettazione della ricorrente, considerarsi “attualmente” pericoloso e/o legato ad ambienti delinquenziali, posto che i pregiudizi contestati, risalenti agli anni ‘80, non sono mai sfociati in alcuna condanna penale, mentre le presunte frequentazioni con soggetti pregiudicati, neanche indicati nel provvedimento di rigore impugnato, che comunque risalirebbero ad anni remoti (2004, 2009 e 2015), non consentono nemmeno di contestarne il contenuto, stante la genericità del rilievo in questione.

2. Costituitasi per resistere in giudizio, l’intimata Amministrazione ha eccepito l’infondatezza delle esposte doglianze, chiedendo la reiezione dell’impugnativa.

3. Accolta l’istanza cautelare con ordinanza n. 1313/2020, all’udienza del 16 febbraio 2021 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4. Il ricorso è fondato.

5. Le ragioni poste a fondamento degli atti gravati non sono idonee a supportare la regolare applicazione della normativa invocata e ad escludere i censurati vizi di violazione di legge e difetto di istruttoria e motivazione.

6.1 Il Collegio intende riportarsi ai numerosi precedenti della giurisprudenza, anche della Sezione (cfr., da ultimo, sentenza 15 maggio 2018, n. 3205), che hanno fatto applicazione del principio di adeguatezza della motivazione che deve supportare l’adozione del provvedimento di diniego o revoca dei titoli di polizia, allorquando si tratti di esercizio di potere discrezionale e non vincolato, ai sensi degli articoli 11 e 43 del T.U.L.P.S, norme che definiscono la disciplina in materia.

6.2 Invero, l’amministrazione di pubblica sicurezza è fatta attributaria, dal legislatore medesimo, di un potere discrezionale di valutazione in ordine alla affidabilità del soggetto di non abusare delle armi, di modo che la stessa è tenuta, in caso di diniego, ad indicare, con motivazione adeguata, gli aspetti concreti che fungono da presupposto per la formulazione di un giudizio attuale e prognostico di non affidabilità.

6.3 L’ampia discrezionalità di cui gode l’Amministrazione in siffatta materia va declinata infatti nel pieno rispetto dei principi di adeguata e puntuale istruttoria, di cui deve essere data intellegibile contezza nella motivazione del provvedimento, sì da consentire il controllo, anche in sede giurisdizionale, della relativa ragionevolezza e logicità (cfr. T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 12 dicembre 2017, n. 371).

6.4 Va da sé che il pericolo di abuso delle armi non solo deve essere comprovato, ma richiede una adeguata valutazione della personalità del sospettato che possa giustificare un giudizio prognostico di inaffidabilità nell’uso di armi e che deve pur sempre rimanere ancorata ad elementi significativi, desunti da condotte del soggetto interessato, che, nel loro complesso – per la loro gravità, reiterazione nel tempo, inserimento in un contesto familiare, sociale e di relazione malavitoso – devono consentire di giungere ad una finale valutazione di inaffidabilità, a causa della loro concreta incidenza in termini negativi sul grado di moralità e sull’assenza di mende ordinariamente esigibili da colui che aspira al rilascio della licenza di polizia (cfr., in termini, Cons. di Stato, sez. III, 9 giugno 2014, n. 2907; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 8 gennaio 2018, n. 114).

6.5 In tale cornice, si è anche precisato in giurisprudenza, in linea generale, che il mero rapporto di parentela o di affinità con un soggetto con pregiudizi non può di per sé fondare in termini automatici, in assenza di ulteriori elementi concreti, un giudizio di disvalore o di prognosi negativa sulla propensione dei soggetti interessati alla compromissione od all’abuso della detenzione delle armi (cfr. TAR Campania – Napoli, Sezione V, n. 1967 del 25 maggio 2020), per cui è necessario che il provvedimento con cui è disposto il diniego sia fondato su una valutazione del comportamento complessivo del soggetto interessato, che tenga conto, all’attualità e in concreto, delle implicazioni pregiudizievoli legate al contestato rapporto di convivenza, nella misura in cui esso sia in grado di alimentare ragioni di sospetto su un possibile utilizzo improprio delle armi.

Più in dettaglio, si è affermato che nel valutare la possibilità di abuso, l’Amministrazione, pur fondandosi legittimamente su considerazioni probabilistiche, non può prescindere da una congrua ed adeguata istruttoria, della quale dar conto in motivazione, onde evidenziare le circostanze di fatto che farebbero ritenere sussistente, all’attualità, fondati motivi di sospetto, con pericolo di compromissione, in caso di accoglimento dell’istanza, delle esigenze di tutela della pubblica incolumità, tranquilla convivenza e sicurezza sociale.

7. Nel caso in esame, il giudizio di inaffidabilità all’uso ed alla detenzione delle armi, espresso nell’atto gravato nei riguardi della ricorrente, tiene conto del solo rilievo ostativo dato dalla convivenza con il padre, che la collocherebbe automaticamente in un contesto a rischio di condizionamento con possibilità di uso improprio, senza che, tuttavia, siano specificate le ragioni che, all’attualità, farebbero propendere per un giudizio negativo, stante anche la risalenza delle circostanze pregiudizievoli addebitate al padre della ricorrente, meramente elencate nel provvedimento, in assenza di una valutazione specifica, sia pure in termini prognostici, dei motivi di perdurante sospetto. Né in senso contrario può aversi riguardo, ai fini della decisione del ricorso, alle ragioni espresse nelle difese della resistente amministrazione, costituenti in parte qua inammissibile integrazione postuma della motivazione.

In sostanza, dunque, nel provvedimento gravato non risulta svolta, come invece richiesto dalla norma, un’autonoma e adeguata valutazione della personalità complessiva dei protagonisti della vicenda, di talché non risulta intellegibile l’iter logico seguito dall’Amministrazione per giungere alla valutazione generale di inaffidabilità, obliterandosi del tutto le ragioni per cui detta convivenza potesse lasciar emergere un’indole incline all’abuso nell’utilizzo delle armi (cfr. anche T.A.R. Campania – Napoli, sez. V, 4 maggio 2017, n. 2406).

8. Il ricorso va, pertanto, accolto con l’annullamento del decreto questorile impugnato, restando salve le ulteriori determinazioni dell’Autorità amministrativa.

9. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, Sez. V, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Condanna l’Amministrazione resistente alla refusione delle spese di lite in favore della ricorrente che liquida in complessivi €. 1.000,00, oltre accessori come per legge e rimborso del C.U..

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2021…

 

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