L’onere della prova nelle controversie sullo svolgimento di mansioni superiori e sul pagamento di differenze retributive

Avv. Enrico Fanesi


Premessa

Il Tribunale di Foggia, sezione lavoro, (sent. n. 1177  del 28.05.2020) affronta la problematica inerente al riparto dell’onere probatorio nelle controversie in materia di svolgimento di “mansioni superiori”, nonché in relazione all’accertamento del diritto alla corresponsione di differenze retributive” e/o ulteriori voci di retribuzione.

Si evidenzia, in particolare, che qualora il lavoratore agisca per ottenere l’inquadramento in una qualifica superiore a quella rivestita e per il pagamento delle relative differenze retributive, egli abbia l’onere di allegare (e provare) gli elementi posti a base della domanda, dovendo, in particolare, indicare quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì con quelli concernenti le mansioni che egli deduca di avere concretamente svolto, e fornire la relativa prova.

 

Onere della prova per lo svolgimento di mansioni superiori

In merito al profilo attinente allo svolgimento di una qualifica superiore, il lavoratore dovrà provare l’effettivo svolgimento di mansioni diverse, secondo un iter logico che segue tre fasi:

  1. accertare le mansioni concretamente svolte;
  2. verificare le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo di categoria;
  3. raffrontare i risultati delle due indagini ed individuare la categoria in cui deve essere inquadrato il lavoratore in base alle mansioni svolte.

Ne discende che, nei casi in cui il lavoratore non descriva e provi le mansioni effettivamente svolte, al giudice è precluso il giudizio a cui è chiamato, non potendo operare il raffronto tra le mansioni in concreto svolte, con quelle descritte nel contratto collettivo di categoria in relazione all’inquadramento professionale.

 

Onere della prova per il pagamento di differenze retributive

Elementi “ordinari”

Con riferimento al secondo profilo, attinente alla domanda relativa al lavoro straordinario, occorre operare una distinzione fra le diverse voci della retribuzione, in modo da meglio comprendere il differente onere probatorio incombente sulle parti.

In primo luogo vanno correttamente inquadrati gli elementi ordinari della retribuzione, che sono quelli afferenti alla retribuzione mensile, alle mensilità supplementari, al trattamento di fine rapporto e alle ferie non retribuite.

Rispetto ad essi vige il principio secondo cui il lavoratore che ne lamenti la mancanza o la parzialità ha l’onere di provare la reale sussistenza del rapporto di lavoro, mentre spetta al datore di lavoro fornire la prova di aver effettivamente corrisposto la retribuzione relativa a tali voci.

Elementi “straordinari”

Gli elementi straordinari concernono invece il lavoro straordinario, le ferie, le festività e i permessi non goduti.

Spetta in tal caso al lavoratore fornire la relativa prova.

Egli, pertanto, deve anzitutto provare l’esistenza del rapporto di lavoro, la sua natura e durata, la sua articolazione oraria, le mansioni svolte, ossia i “fatti” da cui origina il diritto alla corresponsione di ogni singola voce richiesta e, per quanto riguarda il lavoro straordinario, il relativo onere impone di dimostrare, concretamente e analiticamente, di aver effettivamente lavorato oltre il normale orario.

 

Valutazione equitativa da parte del giudice

Va infine escluso che, nel caso in cui il lavoratore non sia in grado di assolvere l’onere su di lui incombente, il giudice possa ovviare alle carenze probatorie facendo utilizzo di valutazioni equitative.

Il giudice, infatti, vi può fare ricorso unicamente quando, essendo certo il diritto, non sia possibile determinare la somma dovuta.

Non potrà viceversa procedere in tal senso quando si debba determinare la misura della somma in rapporto al fatto costitutivo, rappresentato dalle ore di lavoro straordinario prestato, che avrebbero dovuto essere dimostrate dal lavoratore in termini sufficientemente concreti e realistici, con la sola possibilità per il giudice di utilizzare, con prudente apprezzamento, presunzioni semplici ex art. 2729 c.c.


 

Testo della sentenza

Tribunale Foggia sez. lav., n.1177 del 28.05.2020

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato in data 23.2.2018, C.M. – premesso di aver lavorato alle dipendenze della GE.DA. S.r.l., con sede in Foggia alla via P. M., a decorrere dal 19.12.2015 sino al 16.11.2016, in virtù di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato e parziale, con qualifica di macellaio e con inquadramento nel V livello del CCNL Commercio – adiva l’intestato Tribunale del Lavoro, esponendo di aver prestato mansioni riconducibili al superiore livello IV del CCNL sopra citato e di aver sempre svolto la propria attività dal lunedì al sabato, dalle ore 6.45 alle ore 14.00 e dalle ore 16.15 alle ore 21.00, con ciò osservando un orario di lavoro superiore a quello contrattualmente previsto (dalle ore 8.00 alle ore 12.00 e dalle ore 17.00 alle ore 19.00, dal lunedì al sabato, tranne il giovedì pomeriggio).

Sulla scorta di quanto dedotto chiedeva la condanna della società datrice di lavoro al pagamento della complessiva somma di euro 20.726,96, a titolo di differenze retributive per mansioni superiori, lavoro straordinario, festività, ferie non godute, mensilità aggiuntive, riduzioni orarie e t.f.r., il tutto con vittoria di spese di lite.

La GE.DA. s.r.l., sebbene ritualmente evocata in giudizio, non si costituiva, restando contumace.

La causa veniva istruita mediante l’escussione dei testimoni addotti dalla parte ricorrente.

L’odierna udienza era tenuta ai sensi e per gli effetti dell’art. 83 co. VII lett. h) D. L. 18/2020 e succ.mod., conv. in L. 27/2020, e secondo i Protocolli per lo svolgimento delle udienze, alla luce delle “Nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID – 19 e contenere gli effetti in materia di giustizia civile” ex art. 83 d.l. 17.3.2020 e succ. mod., sottoscritti in data 14.4.2020 e in data 11.5.2020 dal Presidente Vicario del Tribunale di Foggia e dal Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Foggia.

Pertanto, verificata la regolare comunicazione del decreto di fissazione della trattazione scritta della causa ed acquisite brevi note di trattazione delle parti, la causa è stata decisa come da sentenza contestuale depositata telematicamente.

Il ricorso è infondato e va rigettato, per le ragioni di seguito esposte.

2.1. Ed invero, il ricorrente ha, innanzitutto, rivendicato l’inquadramento nel IV livello del C.C.N.L. di settore, in luogo del V livello contrattualmente riconosciutogli, avuto riguardo alle mansioni di macellaio da lui effettivamente prestate.

Ciò posto, giova, in linea di principio, rammentare che il lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l’inquadramento in una qualifica superiore a quella rivestita ed il pagamento delle relative differenze retributive ha l’onere di allegare (e provare) gli elementi posti a base della domanda, dovendo, in particolare, indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto, e fornire la relativa prova (ex plurimis, Cass. n. 11925/2003Cass. n. 8025/2003; Cass. n. 6238/2001).

Va, inoltre, precisato che, ove un contratto collettivo preveda una medesima attività di base in distinte qualifiche, in scala crescente, a seconda che tale attività sia svolta in maniera elementare o più complessa, il fatto costitutivo della pretesa del lavoratore che richieda la qualifica superiore, il cui onere di allegazione e prova – come detto – incombe sullo stesso lavoratore, non è solo lo svolgimento della suddetta attività di base, ma anche l’espletamento delle più complesse modalità di prestazione, alle quali la declaratoria contrattuale collega il superiore inquadramento (Cass. n. 12092/2004).

2.2. In questa prospettiva, si rileva subito un evidente difetto di allegazione da parte del ricorrente, il quale ha omesso di effettuare qualsivoglia comparazione tra la declaratoria contrattuale rivestita e quella pretesa, a fronte delle mansioni espletate.

Invero, assumendo genericamente di aver svolto le mansioni di macellaio, il C.M. si è limitato a rivendicare il livello economico preteso, senza riprodurre il tenore delle declaratorie contrattuali di riferimento e, soprattutto, senza evidenziare in quali termini e per quali ragioni l’attività svolta sia riconducibile alle previsioni contrattuali relative al IV livello, così risultando un carente raffronto con le previsioni della normativa pattizia.

In proposito, giova richiamare il condivisibile orientamento di legittimità, compendiato in Cass. n. 8025/2003, secondo cui “non basta dire: questi sono i compiti, questa è la disposizione contrattuale invocata, ma occorre esplicitare, e poi rendere evidente sul piano probatorio, la gradazione e l’intensità – per responsabilità, autonomia, complessità, coordinamento, ecc. – dell’attività corrispondente al modello contrattuale invocato, rispetto a quello attribuito, trattandosi, in tema di mansioni, di livelli di valore inclusi in un particolare sistema professionale contrattuale a carattere piramidale e, in questa vicenda, a scaglioni attività contrattualmente distinte. Nè può, a tal fine, sopperire l’intervento ufficioso del Giudice che non solo ignora i dati fattuali di riscontro, ma neppure può interferire con il principio fondante la regola processuale, che impone a colui che dice l’onere di allegare e di provare gli elementi complessivi posti a sostegno della domanda”.

2.3. Nella specie, dalla scarna prospettazione attorea non è dato evincere in alcun modo i caratteri propri del IV livello, con particolare riferimento all’esecuzione di “compiti operativi anche di vendita e relative operazioni complementari” nonché al possesso di “specifiche conoscenze tecniche e particolari capacità tecnico-pratiche comunque acquisite”, che pure la disciplina pattizia esige in capo ai lavoratori appartenenti a questo livello, dovendosi soltanto puntualizzare che la declaratoria contrattuale prevede, in via esemplificativa, la figura dello “specialista di macelleria”, e non quella del macellaio.

2.4. L’unica testimonianza acquisita non apporta, poi, alcun contributo utile ai fini della dimostrazione dei fatti costitutivi della domanda.

Difatti, il teste P.C. (fratello del ricorrente), ha dichiarato: “Ricordo che mio fratello ha lavorato per circa due anni alle dipendenze della società convenuta. Per quanto riferitomi da mio fratello, lo stesso ha lavorato in vari supermercati anche di altre ditte. Posso dire che mio fratello ha lavorato minimo per un anno in un supermercato di via M., ove svolgeva le mansioni di macellaio. Tanto so perché riferitomi da mio fratello. Preciso che nel supermercato di via M. non ho mai lavorato. Per tutta l’estate del 2016 ha lavorato presso il supermercato di via I. Tanto posso dire perché io lavoravo nel supermercato di via L. e mi è capitato di sostituire mio fratello o altri colleghi durante il giorno di riposo settimanale. Allo stesso modo capitava che mio fratello o altri colleghi mi sostituissero nel giorno di riposo settimanale” (verbale di udienza del 2.5.2019).

La deposizione del C.M. è, dunque, in parte de relato ex parte actoris (in quanto vertente su circostanze di fatto apprese dallo stesso lavoratore istante) e, in parte, inidonea a provare l’asserito espletamento di mansioni riconducibili al superiore livello rivendicato, in quanto il teste non ha mai lavorato presso il supermercato di via M., essendosi limitato a sostituire il fratello nel giorno di riposo settimanale presso il supermercato di via Isonzo ove l’attore prestò la propria attività nell’estate del 2016.

In definitiva, il testimone escusso in corso di causa non ha avuto cognizione diretta delle mansioni effettivamente disbrigate dal ricorrente, il che non consente di ritenere provato il capo di domanda attinente al superiore inquadramento contrattuale.

2.5. Per le medesime ragioni deve disattendersi la domanda relativa al lavoro straordinario, dovendosi soltanto rammentare che l’onere probatorio gravante sul lavoratore che agisca per il pagamento del relativo compenso investe sia la prova dello svolgimento della prestazione lavorativa nell’orario normale, sia la prova dello svolgimento della prestazione lavorativa oltre tale orario, sia la prova dell’articolazione di tale prestazione, con riferimento ad eventuali pause godute al fine di potere puntualmente ricostruire la prestazione resa.

La giurisprudenza è ferma nell’escludere che il giudice possa ovviare alle carenze probatorie facendo utilizzo di valutazioni equitative (Cass. 1389/2003), pur essendo ammesso il ricorso a presunzione semplici.

Al giudice dovrà essere, quindi, fornita non già genericamente la prova dell’an, di aver cioè svolto lavoro straordinario, ma anche la prova, sia pure in termini minimali, dell’esatta collocazione cronologica delle prestazioni lavorative eccedenti il normale orario di lavoro, ovvero del quando i limiti di orario di fatto siano stati superati.

Alla valutazione equitativa, infatti, il giudice può fare ricorso quando, essendo certo il diritto, non sia possibile determinare la somma dovuta (Cass. 8006/1998), non già quando si tratti di determinare la misura medesima in rapporto al fatto costitutivo, rappresentato nella specie dalle ore di lavoro straordinario prestato, che avrebbero dovuto essere dimostrate dal lavoratore in termini sufficientemente concreti e realistici, con la sola possibilità per il giudice di utilizzare, con prudente apprezzamento, presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. (Cass. 5411/198157/19843208/19844508/19875260/19881389/2003).

2.6. Nella specie, le generiche dichiarazioni del teste C.M. non consentono di ritenere raggiunta la prova dell’effettiva entità del lavoro straordinario, prova che – come detto – deve essere rigorosa, di talchè la sua insufficienza non può che riverberarsi in danno della parte sulla quale grava il relativo onere, comportando, conseguentemente, il rigetto della domanda.

2.7. E’, poi, vero che il legale rappresentante della società convenuta non è comparso a rendere l’interrogatorio formale deferitogli, malgrado la regolare notifica del verbale di causa contenente il provvedimento di ammissione del suddetto mezzo di prova.

Sennonché, la disposizione dell’art. 232 c.p.c. non ricollega automaticamente alla mancata risposta all’interrogatorio, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma dà solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, al contempo, di valutare ogni altro elemento di prova (Cass. n. 3258/2007).

Come ripetutamente evidenziato dalla Suprema Corte, l’inciso “valutato ogni elemento di prova”, contenuto nella menzionata disposizione, comporta un collegamento necessario tra la mancata risposta all’interrogatorio ed altri elementi probatori acquisiti alla causa (Cass. n. 4796/88Cass. n. 3053/85).

Questi ultimi non possono, per altro verso, farsi derivare dalla contumacia del convenuto, trattandosi di un fatto neutro, che non introduce deroghe al principio dell’onere della prova, né può assumere alcun significato probatorio in favore della domanda dell’attore (Cass. n. 1648/96).

2.8. Nella fattispecie in esame, non vi è alcun elemento probatorio idoneo a valorizzare il comportamento processuale di parte convenuta, sicché, in mancanza di prova dei fatti costitutivi della domanda attorea, non resta che fare applicazione della regola di giudizio contenuta nell’art. 2697, comma 1°, cod. civ.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese di lite, non avendo parte convenuta svolto alcuna attività difensiva.

PQM

Il Tribunale di Foggia-Sezione Lavoro, in persona del Giudice, dott. Ivano Caputo, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 2395/2018 R.G.L., disattesa o assorbita ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:

– rigetta il ricorso;

– nulla sulle spese di lite.

Così deciso in Foggia, il 28/05/2020

Il Giudice

Ivano Caputo

 

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