Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: quanto conta per il datore di lavoro la sussistenza di una situazione economica sfavorevole?

Avv. Alessandro Longo 


La scelta datoriale di procedere con l’intimazione di un licenziamento per ragioni oggettive può essere legittimamente fondata, a prescindere dal ricorrere di una situazione economica sfavorevole oppure di una crisi aziendale, sulla modifica della struttura organizzativa intervenuta per:

1. esternalizzazione a terzi dell’attività svolta dal dipendente;

2. soppressione di un ruolo oppure ripartizione tra il personale in forza delle mansioni rientranti nel citato ruolo;

3. introduzione di innovazioni tecnologiche che rendono superfluo l’apporto del dipendente;

4. decisione di rendere maggiormente efficiente la struttura aziendale oppure di incrementare la produttività.

La fattispecie

La Suprema Corte, con sentenza n. 1514 del 25 gennaio 2021, ha confermato la pronuncia della Corte di Appello di Cagliari, la quale ha dichiarato legittimo il licenziamento per ragioni oggettive intimato da una Congregazione religiosa ad una dipendente in considerazione dell’andamento economico negativo che si era verificato nelle strutture gestite dalla medesima Congregazione.

Per effetto di tali risultati economici negativi, la Congregazione ha avuto necessità di ridurre i costi, nonché di rimodulare l’organizzazione del lavoro, con conseguente soppressione del posto di lavoro ricoperto dalla dipendente (Responsabile della struttura), le cui mansioni sono state attribuite ad una figura religiosa interna alla Congregazione medesima, che si era impegnata a prestare la propria opera in assenza di retribuzione.

Ad avviso dei Giudici di secondo grado, nella fattispecie in esame era da considerarsi accertata la ricorrenza di una ristrutturazione organizzativa determinata dall’esigenza di ridurre i costi di gestione delle strutture della Congregazione.

La flessione negativa subìta dalla Congregazione, ad avviso della stessa Corte territoriale, era provata dalle perdite di esercizio registrate a partire dall’anno 2006, che si erano ulteriormente aggravate nell’anno 2008 con la presenza di un “rosso” in bilancio superiore al milione di euro.

Secondo la tesi sostenuta dalla Corte di Appello di Cagliari, la citata ristrutturazione organizzativa era di portata tale da integrare il presupposto di cui all’art. 3 della Legge n. 604/1966[1].

Infatti, ad avviso della citata Corte di Appello, la soppressione della posizione lavorativa della dipendente in questione era stata adottata quale azione volta ad arginare il (pienamente provato) trend economico negativo in cui versava la Congregazione.

 

L’orientamento della Corte di Cassazione a supporto della decisione della Corte di Appello

La decisione della Corte di Appello di Cagliari si colloca nel solco di un consolidato e costante orientamento espresso dalla giurisprudenza della Suprema Corte in relazione alla sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, in base al quale la ragione inerente all’attività produttiva (art. 3 legge n. 604 del 1966) è quella che determina un effettivo ridimensionamento riferito alle unità di personale impiegate in una ben individuata posizione lavorativa, a prescindere dalla ricorrenza di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali”.

Secondo tale orientamento della giurisprudenza di legittimità, inoltre, l’andamento economico “non costituisce un presupposto fattuale che il datore debba necessariamente provare” in quanto è sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, incluse quelle dirette a migliorare l’efficienza gestionale o produttiva dell’impresa ovvero incrementarne la redditività, determinino un “effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa”, fermo restando il principio dell’insindacabilità della scelta organizzativa adottata dal datore di lavoro.

Diversamente, nel caso il motivo posto a fondamento del recesso sia proprio costituito dall’esigenza di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli o spese di carattere straordinario, il cui accertamento in concreto non dovesse emergere nel corso del giudizio, il licenziamento risulterà ingiustificato per mancanza di veridicità e pretestuosità della causale addotta.

 

Il corretto percorso logico-giuridico da seguire per accertare il carattere ritorsivo del licenziamento

Con la sentenza in esame si consolida, peraltro, l’orientamento della Suprema Corte in merito alla questione della corretta applicazione delle regole sull’onere probatorio e del corretto percorso logico-giuridico da seguire per accertare la natura ritorsiva del licenziamento.

Ad avviso della Suprema Corte, per verificare correttamente la sussistenza di un licenziamento ritorsivo, è necessario che il Giudice riscontri, in via preliminare, l’assolvimento da parte del datore di lavoro degli oneri probatori su di esso gravanti e che, pertanto, permetta al medesimo datore di lavoro di dimostrare in giudizio la sussistenza del motivo oggettivo addotto nella lettera di licenziamento.

Solo in seguito, il Giudice potrà quindi procedere a verificare le allegazioni poste dal lavoratore a fondamento della domanda di accertamento della nullità del licenziamento per motivo ritorsivo[2].

 

In conclusione

Con la sentenza n. 1514 del 25 gennaio 2021, dunque, la Suprema Corte ribadisce l’orientamento in base al quale la ragione inerente all’attività produttiva di cui all’art. 3 della Legge n. 604/1966 è quella che determina un effettivo ridimensionamento riferito alle unità di personale impiegate in una ben individuata posizione lavorativa, indipendentemente dalla ricorrenza di una situazione economica sfavorevole o di una crisi aziendale.

Con la medesima pronuncia, la Suprema Corte – dopo aver ribadito che affinché il licenziamento possa dirsi ritorsivo è necessario che il motivo illecito addotto sia determinante ed esclusivo e, pertanto, costituisca l’unica ed effettiva ragione di recesso -, conferma che ai fini dell’accertamento della ritorsività la verifica circa l’obiettiva esistenza dei fatti necessari a radicare il giustificato motivo oggettivo debba essere anteposta dal Giudice rispetto alla trattazione del presunto carattere ritorsivo del licenziamento.

Avv. Alessandro Longo – Milano


[1] Ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 604/1966 il “licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato (…) da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

[2] In più occasioni la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che “la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini dell’applicazione della tutela prevista dall’art. 18, comma 1, St. Lav. novellato, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento” (Cass. civ., sez. lav., 31 agosto 2020, n. 18136). Sempre in tema di corretto accertamento del motivo ritorsivo di licenziamento, la giurisprudenza di legittimità ha affermato “In ipotesi di domanda proposta dal lavoratore che deduca la nullità del licenziamento per il suo carattere ritorsivo, la verifica dei fatti allegati dal lavoratore richiede il previo accertamento dell’insussistenza della causale posta a fondamento del recesso” (Cass. civ., sez. lav., 4 aprile 2019, n. 9468).

Avv. Alessandro Longo

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