Avv. Pino Cupito
Nell’ambito dei poteri connessi alla gestione della propria attività d’impresa, il datore di lavoro può porre in essere delle forme di controllo nei confronti dei propri dipendenti al fine di verificare l’esatto adempimento delle prestazioni da parte di questi ultimi.
È quanto stabilisce una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (sent. n. 21888 del 5 marzo – 9 ottobre 2020 – Testo in calce).
Il caso riguardava un dipendente che svolgeva l’attività di “portalettere” in modo negligente provocando problemi al servizio di consegna e danni all’attività d’impresa del datore di lavoro. L’accertamento di tali condotte avveniva a mezzo di superiore gerarchico e di soggetto esterno all’azienda.
A seguito di addebiti disciplinari si giungeva al licenziamento dovuto alla continua inosservanza delle regole e dei doveri connessi al servizio affidatogli.
In primo grado e in secondo grado si accertava che la valutazione del datore di lavoro sulla condotta del proprio dipendente era corretta e che la sanzione irrogata in capo quest’ultimo risultava proporzionata anche in relazione a quanto previsto dal codice disciplinare del CCNL adottato dall’azienda.
Ciò posto, le norme che vengono in rilievo nella sentenza in oggetto sono gli art. 2, 3 e 4 della L. n. 300 del 1970.
In particolare l’art. 2 della L. n. 300 del 1970, rubricato “Guardie giurate” stabilisce che:
“Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931, numero 773 , soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale. Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale. È fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull’attività lavorativa le guardie di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma. In caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle disposizioni di cui al presente articolo, l’Ispettorato del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi.”
L’art. 3 della medesima legge, “Personale di vigilanza”, sancisce che:
“I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati.”
Mentre l’art. 4, “Impianti audiovisivi”, stabilisce che:
“Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi.
La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.”
Ebbene, malgrado le suddette previsioni normative, che tutelando la libertà e la dignità del lavoratore e che delimitano le possibilità di intervento e di ingerenza di soggetti preposti dal datore di lavoro per il controllo e la difesa dei propri interessi (vale a dire di quelle persone adibite dalla parte datoriale alla tutela del patrimonio aziendale e alla vigilanza sulla corretta esecuzione dell’attività lavorativa da parte dei dipendenti), non è precluso all’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di tali soggetti (come ad esempio un investigatore privato) al fine di accertare le mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c..
Nello specifico, precisa la Cassazione, le norme sopra richiamate non impediscono al datore di lavoro di controllare direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è conosciuta dai dipendenti, l’adempimento delle prestazioni cui costoro sono tenuti.
L’imprenditore può dunque accertare eventuali negligenze dei propri dipendenti, già commesse o in corso di esecuzione.
E ciò a prescindere dalle modalità con le quali viene eseguito il controllo. Tale verifica infatti, in considerazione della particolare posizione del soggetto che la esegue, può legittimamente avvenire anche occultamente.
In altri termini, dinanzi a tali attività investigative del datore di lavoro, il dipendente investito da un procedimento disciplinare a mezzo di preliminare contestazioni e da un successivo licenziamento disciplinare, non può addurre a propria difesa il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei rapporti, in quanto tale tipologia di controlli esula dal divieto di cui alla L. n. 300 del 1970 art. 4, riferito esclusivamente all’uso di apparecchiature per il controllo a distanza.
Testo della Sentenza
Cassazione Civile, Sez. Lavoro, Sent. n. 21888 del 5 marzo – 9 ottobre 2020
Svolgimento del processo
1. Poste Italiane spa, con atto del 21.10.2015 in relazione alla contestazione dell’11.9.2015, ha intimato a C.S., dipendente della società e dal febbraio 2013 titolare, con mansioni di portalettere
presso il (OMISSIS) della zona di recapito n. (OMISSIS), il licenziamento disciplinare per scarsa diligenza e per una perdurante inosservanza degli obblighi e dei doveri di servizio nello
svolgimento della sua attività.
2. Impugnato il provvedimento di recesso, il Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 6.12.2016 ha rigettato il ricorso ritenendo: a) la legittimità del licenziamento in ordine alle dedotte violazioni di
cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, b) l’integrale conferma, dall’istruttoria espletata e dai documenti in atti, dell’oggetto delle contestazioni addebitate al dipendente; c) la proporzionalità ai fatti della
sanzione applicata; d) l’assenza di profili costituenti condotte discriminatorie in danno del lavoratore.
3. A seguito di opposizione L. n. 92 del 2012, ex art. 1 commi 51 e ss. proposta da C.S., lo stesso Tribunale, con la pronuncia n. 4381 del 2018, ha reputato corretta la valutazione delle emergenze
probatorie effettuata in fase sommaria; legittimo il recesso perchè i fatti addebitati avevano dimostrato un pervicace ritardo nella esecuzione della prestazione e delle direttive ricevute da parte
del dipendente, manifestatosi attraverso la consegna della corrispondenza a macchia di leopardo senza alcuna plausibile giustificazione, causando notevoli disservizi; insussistente l’asserita
violazione della L. n. 300 del 1970, artt. 3 e 4 che si riferivano pacificamente a controlli affidati a personale esterno; proporzionata la sanzione ex art. 54, comma 5, lett. c) del CCNL 2001, avuto
riguardo all’intenzionalità della condotta posta in essere dal ricorrente nell’esercizio e con abuso delle proprie funzioni, oltre che per precedenti disciplinari specifici.
4. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 3624 del 2018, ha rigettato il reclamo presentato ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 confermando la gravata decisione.
5. Avverso la sentenza di seconde cure ha proposto ricorso per cassazione C.S. affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso Poste Italiane spa.
6. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, artt. 3 e 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per avere errato la Corte
territoriale nel ritenere che restava esclusa la violazione degli artt. 3 e 4 citati nel caso in cui i controlli e le verifiche erano svolti da personale dipendente della società datrice di lavoro,
riferendosi essi pacificamente a controlli effettuati da personale esterno. Deduce che il controllo, in nessun caso, poteva riguardare l’adempimento o l’inadempimento della obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera e che il controllo, per essere legittimo, doveva limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione. Il controllo sulla vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata direttamente al datore di lavoro ai suoi collaboratori, era invece sottoposto alla duplice condizione che fossero resi noti i nomi di chi eseguiva i controlli e che questi ultimi non avvenissero mai a distanza, come invece era accaduto nel caso in esame.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 151 del 2015 art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè, in ogni caso, pur superando le censure
di cui al primo motivo, andava ritenuto che, essendo stato intimato il licenziamento in questione il 21.10.2015, si applicava la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 151 del 2015, art. 4, che era entrato in vigore il 24 settembre 2015 per cui la possibilità di controllo a distanza della attività dei lavoratori poteva avvenire “esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”, con i limiti ivi previsti, con la conseguenza che i controlli espletati da Poste Italiane non rientravano nelle suddette ipotesi essendo finalizzati solo a verificare il corretto espletamento del servizio di consegna della posta nell’ambito del turno di lavoro del dipendente. Conclude, quindi, il ricorrente evidenziando che, in considerazione della inutilizzabilità del materiale raccolto dal datore di lavoro, gli addebiti contestati dovevano ritenersi sforniti di prova e, come tali, insussistenti, con conseguente riconoscimento della tutela L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 4.
4. Il primo motivo è infondato.
5. E’ opportuno premettere che, come correttamente rilevato, la fattispecie in esame è regolata dalla L. n. 300 del 1970, art. 3 (“I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati”) e non dall’art. 4 della stessa legge che disciplina, invece, la materia dei controlli attraverso l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature (Cass. n. 7933 del 1998; Cass. n. 1263 del 1982).
6. Infatti, nella vicenda che qui interessa, il controllo sull’attività del C. è avvenuta attraverso l’organizzazione gerarchica della società (superiore gerarchico del lavoratore e componente
dell’Ufficio Ispettivo, tali L. e Ca.).
7. Le argomentazioni della Corte territoriale, pertanto, che ha ritenuto legittimi gli accertamenti espletati, sono conformi ai principi di legittimità, più volte affermati, secondo i quali, in ordine alla portata della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3 che delimitano a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con le disposizioni e i principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopo di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3), è stato precisato che essi non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come una agenzia investigativa) diversi dalle guardie giurate per la tutela del patrimonio aziendale nè di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e, quindi, di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c. direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica (Cass. n. 15094 del 2018).
8. In quest’ultimo caso, è stato ripetutamente statuito che la disposizione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 3 – secondo la quale i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa devono essere comunicati ai lavoratori interessati – non ha fatto venire meno il potere dell’imprenditore di controllare direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è conosciuta dai dipendenti, l’adempimento delle prestazioni cui costoro sono tenuti e, quindi, di accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti medesimi, già commesse o in corso di esecuzione: ciò indipendentemente dalle modalità con le quali sia stato compiuto il controllo il quale, attesa la particolare posizione di colui che lo effettua, può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi ostino nè il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei rapporti, soprattutto quando siffatta modalità trovi giustificazione nella pregressa condotta non palesemente inadempiente dei dipendenti (Cass. n. 829 del 1992; Cass. n. 7889 del 1996; Cass. n. 3039 del 2002).
9. Pertanto, senz’altro condivisibile si appalesa l’assunto di parte datoriale circa la liceità del ricorso al sopra indicato controllo dell’attività lavorativa del C. al fine di verificare il corretto adempimento delle prestazioni lavorative cui lo stesso era tenuto.
10. Il secondo motivo è inammissibile perchè, come detto, tale tipologia di controlli esula dal divieto di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 4 riferito esclusivamente all’uso di apparecchiature per il controllo a distanza e non applicabile analogicamente siccome penalmente sanzionato (Cass. n. 5599 del 1990; Cass. n. 8998 del 2001).
11. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
12. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
13. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020.