Le plusvalenze immobiliari: cosa sono, la valutazione dei costi inerenti e la tassazione

Nell’ambito degli investimenti immobiliari è d’obbligo confrontarsi con gli aspetti economici, giuridici e fiscali delle plusvalenze che si maturano a seguito di ogni operazione di acquisto e cessione di beni immobili.
Ciò in quanto il fisco, considerando le plusvalenze immobiliari come “redditi diversi”, provvede a tassarle ai fini delle imposte sui redditi.
Ma procediamo con ordine.

Cosa sono le plusvalenze immobiliari e perché sono così importanti?

Sotto il profilo fiscale le plusvalenze immobiliari rappresentano semplicemente la differenza tra due valori, ovvero tra il valore del corrispettivo di acquisto di un determinato bene immobile, aumentato di ogni altro costo inerente allo stesso”, ed il valore del prezzo di vendita del bene medesimo.

 Ad esempio:

Tizio acquista un appartamento pagando un corrispettivo di euro 350.000.
Per tale acquisto sostiene un esborso di euro 12.000 per onorari notarili, imposte e spese.
A seguito dell’acquisto provvede anche ad un piccola ristrutturazione dell’immobile spendendo la somma di euro 10.000.
Decorso un anno dall’acquisto, Tizio decide di rivendere lo stesso immobile ad un prezzo di euro 420.000.

A questo punto, al fine di calcolare l’eventuale plusvalenza generata da tale operazione immobiliare, occorrerà eseguire una semplice operazione aritmetica imposta proprio dalla norma ossia La plusvalenza è uguale al Prezzo di acquisto + i c.d. Costi inerenti (oneri, spese etc..) – il prezzo di vendita”.

Ebbene, in base dei valori indicati, la plusvalenza del caso mostrato sarà di euro 48.000.
Infatti, essa corrisponderà alla differenza tra il corrispettivo di vendita di euro 420.000 e l’originario corrispettivo di acquisto di euro 350.000 che aumentato dei costi inerenti (vale a dire la somma di euro 12.000 sostenuta per onorari notarili e spese e l’importo di euro 10.000 per i costi di ristrutturazione) sarà pari ad euro 372.000.

In altri termini, potremmo definire la plusvalenza immobiliare (seppur impropriamente) come il guadagno che il venditore ottiene all’esito della vendita dell’immobile.
Tuttavia, vedremo dopo come, nell’ambito di un’operazione di trading immobiliare, nella stragrande maggioranza dei casi, la plusvalenza non coincide affatto con il “vero” guadagno dell’investitore.

Collabora con UniversoLegge

La normativa che disciplina le plusvalenze immobiliari

Le plusvalenze immobiliari sono disciplinate dagli art. 67 e 68 del Testo Unico delle imposte sui redditi (D.P.R. del 22.12.1986 n. 917).
Ai sensi dell’art. 67 del TUIR, nell’ambito della dichiarazione dei redditi, le plusvalenze rientrano tra quelli che vengono definiti “redditi diversi”.
Questi ultimi sono quei redditi che non sono conseguiti nell’esercizio di arti, professioni, di imprese commerciali, di società in nome collettivo, in accomandita semplice, né in relazione al proprio lavoro da dipendente.

Dunque, ai sensi della normativa richiamata, le plusvalenze si realizzano in occasione della cessione, a titolo oneroso, di beni immobili acquistati o costruiti “da non più di cinque anni”.
Nello specifico, in caso di vendita di terreni, le stesse si realizzano a seguito di cessione a titolo oneroso di appezzamenti che, al momento della vendita e secondo gli strumenti urbanistici vigenti, hanno una destinazione edificatoria.
Mentre, nell’ipotesi di vendita di immobile ricevuto per donazione, la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il prezzo di acquisto (o di costruzione) sostenuto dal “donante” ed il corrispettivo della successiva vendita.

In sintesi si la plusvalenza si realizza:

  1. in caso di cessione a titolo oneroso di terreni agricoli acquistati da non più di cinque anni;
  2. in caso di cessione a titolo oneroso di fabbricati acquistati o costruiti da non più di cinque anni;
  3. in caso di lottizzazione di terreni o di esecuzione di opere che li rendono edificabili e successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici;
  4. in caso di cessione a titolo oneroso di terreni edificabili o considerati tali dal Piano Regolatore del Comune indipendentemente dalla sua approvazione da parte della Regione e indipendentemente dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi;
  5. in caso di cessione di immobili acquistati a titolo di donazione da non più di 5 anni.

Inoltre affinché si realizzi una plusvalenza immobiliare è anche necessario che:

  • l’immobile sia stato ceduto a titolo oneroso: quindi tramite una semplice compravendita, una permuta o tramite un conferimento in una società;
  • la cessione a titolo oneroso sia avvenuta nell’arco di cinque anni dalla data di acquisto o dalla data di ultimazione della costruzione;
  • l’immobile, ceduto a titolo oneroso, qualora si tratti di unità urbana, non sia stato adibito ad abitazione principale del venditore/cedente o dei suoi familiari.

In quali casi non si producono plusvalenze e quindi non si viene tassati?

Secondo la suddetta norma (art. 67 TUIR), la differenza tra il corrispettivo di acquisto e il corrispettivo di vendita, al momento della cessione a titolo oneroso dell’immobile, “non” costituisce plusvalenza immobiliare (e quindi non viene tassata) solo se:

  1. l’immobile ceduto (fabbricato o terreno agricolo) sia stato acquistato per successione;
  2. l’immobile ceduto, per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto/costruzione e la successiva cessione, sia stata adibito ad abitazione principale del proprietario o dei suoi familiari.
  3. l’immobile viene assegnato da un coniuge all’altro in sede di separazione o divorzio. In tal caso si applica l’esenzione ex art. 19 della legge n. 74 del 1989 (per un approfondimento Esenzione dei trasferimenti immobiliari stipulati in occasione della separazione)

Quali sono i c.d. “Costi inerenti”?

 Come abbiamo detto precedentemente la formula che la norma ci impone di adottare per il calcolo della plusvalenza immobiliare è la seguente: “Plusvalenza = Prezzo di acquisto + c.d. Costi inerenti (oneri e spese) – Prezzo di vendita”.
A questo punto dobbiamo allora sapere quali sono i c.d. Costi inerenti ossia quei costi che si vanno a sommare all’originario corrispettivo di acquisto dell’immobile e a detrarre dal prezzo al quale viene rivenduto successivamente l’immobile.

Ebbene tra i Costi inerenti rientrano:

  1. l’onorario del Notaio;
  2. poi vi sono le altre spese accessorie come l’imposta di registro, l’IVA (se non detratta), le imposte di trascrizione e catastali e le imposte di bollo;
  3. le spese di ristrutturazione dell’immobile. In questo caso potranno essere considerati costi inerenti anche gli onorari dei tecnici che sono intervenuti nella ristrutturazione purché, ad ovvie ragioni, debitamente fatturati;
  4. nel caso in cui si tratta di un appartamento collocato in un fabbricato, saranno costi inerenti anche le spese della manutenzione straordinaria eseguita sul fabbricato.
  5. le spese per l’assolvimento delle pratiche urbanistiche e catastali;
  6. ulteriori costi potrebbero individuarsi nelle spese che si sostengo quando si compra nell’ambito di procedure esecutive (es. il compenso del delegato alla vendita all’asta, il compenso del custode giudiziario etc..);
  7. le spese di mediazione immobiliare ove presente;
  8. sono costi inerenti anche le spese per liberare l’immobile da eventuali servitù o da altri oneri;
  9. le spese per eventuali esborsi pagati al locatore per la liberazione dell’immobile;
  10. il costo dell’imposta sostitutiva sul mutuo relativo all’immobile acquistato.

Per quanto concerne l’Iva occorre precisare quanto segue.
Dal momento che il venditore in questo caso non è un imprenditore, anche per lui l’Iva sostenuta nell’ambito delle suddette spese rappresenta un vero e proprio costo.
Proprio per tali ragioni, quando andiamo a calcolare la plusvalenza, ogni spesa (Costo inerente) dovrà essere considerati al “lordo” dell’IVA.

Quali sono le spese che non possono considerarsi “Costi inerenti”?

Innanzitutto è inutile sottolineare che tutte le spese non documentate non potranno entrare nel calcolo della plusvalenza.
La ragione è lapalissiana, il fisco non accetterebbe lo sgravio di spese non sorrette da opportune prove documentali.
Al contrario, procederebbe immediatamente alla relativa contestazione in sede di accertamento.

Ma tornado all’argomento, il primo costo che certamente dovrà essere preso in considerazione è il prezzo di acquisto dell’immobile.
Ebbene, il corrispettivo da considerare sarà quello risultante dall’atto di acquisto.
Dunque non dovrà considerarsi, ai fini del calcolo della plusvalenza, l’eventuale maggior valore che l’Agenzia delle Entrate assegna in una eventuale fase di accertamento.
Inoltre neppure le spese che attengono alla “normale” gestione dell’immobile potranno essere valutate.
In altri termini, non si conteggeranno quelle spese che si riferiscono ad attività che però non producono un aumento del valore commerciale dell’immobile.

Di conseguenza andranno escluse categoricamente le spese relative alle utenze (bollette luce, gas e acqua).
Andranno altresì escluse le spese di condominio “ordinarie” (si è già detto sulle spese straordinarie).
Dovranno stralciarsi anche le spese sostenute per arredare l’immobile: la norma sulla plusvalenza si riferisce infatti esclusivamente al valore dell’immobile “nudo”. Ciò sul presupposto che in caso di vendita il cespite sia ceduto libero da cose e persone.
Diversamente nell’ipotesi in cui ci si trovi al cospetto di opere di arredamento inamovibili in muratura, queste potrebbero essere ricondotte al novero delle spese di realizzazione e/o ristrutturazione dell’immobile e di conseguenza potranno essere considerate come costi inerenti.

Collabora con UniversoLegge

Come viene tassata la plusvalenza immobiliare?

E arriviamo alle note dolenti.
Partiamo come sempre dalla norma.

Ai sensi dell’art. 1, comma 496, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, come modificato dall’art. 1, comma 310, della legge 27 dicembre 2006 n. 296: “in caso di cessione a titolo oneroso di fabbricati e terreni non edificabili, acquistati o costruiti da non più di cinque anni, all’atto della cessione e su richiesta della parte cedente resa al notaio, in deroga alla disciplina di cui all’articolo 67, comma 1, lettera b), del d.p.r. n. 917/1986, sulle plusvalenze realizzate si applica un’imposta, sostitutiva dell’imposta sul reddito, del 20 per cento. A seguito della richiesta, il notaio provvede anche all’applicazione e al versamento dell’imposta sostitutiva della plusvalenza di cui al precedente periodo, ricevendo la provvista dal cedente. Il notaio comunica altresì all’Agenzia delle entrate i dati relativi alle cessioni di cui al primo periodo, secondo le modalità stabilite con provvedimento del direttore della predetta Agenzia”.

Bisogna precisare innanzitutto che il venditore può liberamente scegliere di farsi applicare dal notaio, in sede di rogito, l’imposta sostitutiva del 20 per cento (diremo a breve cosa cambierà) oppure di essere tassato secondo la tassazione ordinaria.

Quali sono le plusvalenze alle quali si applica l’imposta del 20%?

Sono le plusvalenze, realizzate da privati, originate dalla cessione infra-quinquennale di fabbricati e terreni non edificabili.
In questo caso per “privato” deve intendersi un soggetto IRPEF che non agisce nell’esercizio di impresa e/o di professione per il quale la plusvalenza realizzata costituisca un reddito diverso ai sensi dell’art 67 TUIR.

Cosa è cambiato dal 01 gennaio 2020?

La nuova Legge di Bilancio prevede un aumento della tassazione sulla plusvalenza.
È una delle norme contenute nel capitolo dedicato al rendimento dei beni e viene considerata come una rivalutazione e rimodulazione della pregressa aliquota.
In pratica si passa da un’imposta sostitutiva del 20% ad una ben più alta imposta sostitutiva del 26%.

Condivi con:
STAMPA