Dott. Valerio Digregorio
Il contratto collettivo non può vietare l’utilizzo del lavoro intermittente. Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza e recepito dalla prassi amministrativa.
Il contratto di lavoro intermittente (detto anche lavoro “a chiamata” o “job on call”), ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs n. 81/2015 è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente.
La caratteristica principale di tale tipologia contrattuale è data dall’alternarsi di fasi di effettiva prestazione di lavoro a periodi in cui non vi è espletamento di attività ma semplice permanenza di disponibilità del lavoratore in attesa della chiamata del datore (c.d. “stand by worker”).
Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso:
- per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, individuate, secondo le specifiche esigenze rilevate, dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale (c.d. intermittente per requisiti oggettivi);
- per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno, individuati secondo le specifiche esigenze rilevate dai contratti collettivi (c.d. intermittente per requisiti temporali);
- in ogni caso, con soggetti con più di 55 e meno di 24 anni di età, fermo restando che in tal caso le prestazioni lavorative devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età (c.d. intermittente per requisiti soggettivi).
In assenza di disciplina da parte della contrattazione collettiva, l’individuazione dei casi di utilizzo del lavoro intermittente è affidata ad un decreto ministeriale di futura emanazione.
In attesa dell’emanazione di tale decreto, è ancora possibile stipulare contratti di lavoro intermittente sulla base delle attività contenute nel R.D. n. 2657/1923.
Ruolo della contrattazione collettiva
Come anticipato, alla contrattazione collettiva è delegata la possibilità di individuare le esigenze che giustificano il ricorso al lavoro a chiamata “anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno” (art. 13, comma 1 del D.Lgs n. 81/2015).
Tra le questioni più rilevanti nella disciplina del lavoro intermittente vi è quella riguardante la possibilità o meno per il contratto collettivo di vietare il ricorso a tale tipologia contrattuale.
Il Ministero del Lavoro si era espresso sul punto con la Nota n. 18194 del 4 ottobre 2016, riconoscendo che le parti sociali, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, possano legittimamente stabilire, non rinvenendo le predette esigenze, il divieto di utilizzo di tale contratto.
Tale posizione risulta oggi superata alla luce della posizione della giurisprudenza sul tema.
La posizione della giurisprudenza
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 29423 del 13 novembre 2019, ha chiarito che il contratto collettivo non può vietare l’utilizzo del lavoro intermittente.
La vicenda vedeva come protagonista un lavoratore che era ricorso giudizialmente al fine di ottenere l’illegittimità del contratto di lavoro intermittente stipulato con il datore di lavoro nel 2011, con conseguente conversione a tempo indeterminato e risarcimento del danno, sul presupposto che il CCNL applicato impediva il ricorso a tale tipologia contrattuale.
La Corte di Appello, in riforma della decisione del Tribunale, aveva respinto la domanda del dipendente, perché tale contratto era stato stipulato con riguardo alle attività di cui alla tabella allegata al R.D. N. 2657/1923; inoltre, i giudici di secondo grado rilevavano che il rinnovo del contratto collettivo applicato non conteneva più la previsione impeditiva del ricorso al lavoro a chiamata.
Avverso tale pronuncia il lavoratore aveva proposto ricorso in Cassazione.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso, chiarendo che il CCNL non può vietare il lavoro intermittente, ma deve limitarsi alla mera individuazione delle esigenze che consentono il ricorso a tale contratto.
“L’art. 34, comma 1, d. lgs n. 276 del 2003 si limita, infatti, a demandare alla contrattazione collettiva la individuazione delle <<esigenze>> per le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue, senza riconoscere esplicitamente alle parti sociali alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale; né un siffatto potere di veto può ritenersi implicato dal richiamato <<rinvio>> alla disciplina collettiva che concerne solo un particolare aspetto di tale nuova figura contrattuale (…)”.
Inoltre, un’ulteriore conferma del limite della contrattazione collettiva secondo la Corte di Cassazione si rinviene nella previsione normativa delle ipotesi di divieto di ricorso al lavoro intermittente, tra le quali non viene contemplata quella di inerzia o veto delle parti collettive.
La posizione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la circolare n. 1 dell’8 febbraio 2021, fornisce importanti indicazioni in ordine al ruolo della contrattazione collettiva nella disciplina del lavoro intermittente, recependo la posizione della giurisprudenza sul tema.
Una prima precisazione riguarda il ruolo della contrattazione collettiva, che in base a quanto disposto dall’art. 13 del D.Lgs n. 81/2015 ha il compito di individuare le esigenze che giustificano il ricorso a tale tipologia contrattuale “anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno”.
Il potere di intervento attribuito alla contrattazione collettiva deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 29423/2019, secondo cui la legge si limita a demandare alla contrattazione collettiva la sola individuazione delle “esigenze” per le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue, senza riconoscere alcun potere di divieto in ordine alla possibilità di utilizzo di quest’ultimo.
In conseguenza del principio sancito dalla Corte di Cassazione, l’INL invita le proprie articolazioni territoriali a non tener conto, nell’ambito dell’attività di vigilanza, di eventuali clausole sociali che dovessero vietare il lavoro intermittente in quanto sarebbero illegittime.
In tali ipotesi, gli ispettori dovranno limitarsi a verificare solamente se il ricorso al lavoro intermittente è ammissibile in quanto rientrante nelle ipotesi c.d. oggettive della tabella del R.D. n. 2657/1923 ovvero c.d. soggettive, che riguardano i “soggetti con meno di 24 anni di età, purchè le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni”.
Lavoro intermittente e autotrasporto
Nella stessa circolare l’Ispettorato si sofferma anche sulla possibilità di ricorrere al lavoro intermittente nel settore dell’autotrasporto.
Il CCNL del settore non contiene specifiche indicazioni in ordine all’individuazione delle “esigenze” per le quali è consentita la stipula del contratto intermittente.
Secondo l’Ispettorato ciò comporta che, ferma restando l’eventuale presenza di ipotesi c.d. soggettive, è necessario far riferimento alla tabella allegata al R.D. n. 2657/1923.
In particolare il regio decreto al punto 8 annovera tra le attività per le quali il lavoro intermittente è comunque ammesso quelle relative all’ipotesi del “personale addetto al trasporto di persone e di merci: personale addetto ai lavori di carico e scarico, esclusi quelli che a giudizio dell’Ispettorato dell’industria e del lavoro non abbiano carattere di discontinuità”.
Dalla formulazione della norma e dalla punteggiatura utilizzata, l’Ispettorato giunge alla conclusione che la discontinuità è riferibile alle attività del solo personale addetto al carico e allo scarico, quale ulteriore “sottocategoria” rispetto a quanti sono adibiti al trasporto tout court, “con esclusione delle altre attività ivi comprese quelle svolte dal personale con qualifica di autista”.
Di conseguenza, dal momento che l’attività di trasporto cui è adibito l’autista non presenta i caratteri di discontinuità, non è possibile stipulare contratti di lavoro intermittente sulla base del requisito oggettivo.
Conclusioni
Alla contrattazione collettiva è delegata la possibilità di disciplinare due requisiti che consentono la stipula del contratto di lavoro intermittente, in particolare:
- le mansioni e/o le attività;
- i periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
In assenza di disciplina da parte della contrattazione collettiva è possibile far riferimento alla tabella allegata al R.D. n. 2657/1923, dove sono elencate attività discontinue che consentono l’utilizzo del contratto intermittente.
Rimane ferma in ogni caso la possibilità di ricorrere al lavoro a chiamata sulla base del requisito legato all’età del lavoratore (inferiore ai 24 anni o superiore ai 55).
Come chiarito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 29423/2019 e successivamente dall’INL, le parti sociali possono individuare le “esigenze” che giustificano l’utilizzo del contratto di lavoro intermittente ma non hanno alcun potere di interdire il ricorso a tale tipologia contrattuale.
Eventuali clausole sociali che dovessero vietare il lavoro intermittente sarebbero pertanto, come affermato anche dall’Ispettorato, illegittime.