La “specificità” della contestazione disciplinare: casistica e giurisprudenza

Avv. Pino Cupito


Uno degli elementi più importanti della contestazione disciplinare è la “specificità”.

Lo scopo della contestazione dell’addebito è quello di consentire al lavoratore che la riceve e che pertanto si vede incolpato di qualche azione e/o omissione, di poter immediatamente difendersi.

È per tali ragioni che la contestazione disciplinare deve contenere quelle le indicazioni quanto meno necessarie ed essenziali per far sì che il lavoratore possa individuare, materialmente e senza particolari approfondimenti giuridici, i fatti che gli vengono contestati dal datore di lavoro.

In altri termini il lavoratore deve in ogni caso essere messo in condizione di sapere di quale fatto viene accusato (Cass. n. 17117/2015; Cass. n. 10662/2014) e sul punto la Cassazione è infatti ormai pacificamente orientata nel ritenere che:

“…la specificità è integrata quando la contestazione fornisce le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.;” per ritenerne integrata la violazione è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore (per tutte: Cassazione civile sez. lav., 18/04/2018, n.9590 e giurisprudenza ivi citata).” (Cass. Civ. Ord. n. 26199 del 16 ottobre 2019).

Sulla scorta di quanto appena esposto appare dunque evidente che la contestazione dell’addebito deve essere portata a conoscenza del dipendente incolpato in modo chiaro e non equivoco, ma soprattutto in modo da lasciar chiaramente apprendere al lavoratore che i fatti in essa riportati sono stati considerati come un illecito disciplinare.

Devono pertanto essere esclusi dal novero delle contestazioni disciplinari i semplici richiami, gli avvertimenti o gli inviti rivolti al lavoratore a correggere semplicemente la propria condotta e a comportarsi diversamente durante l’orario di lavoro (e non solo).

Nello specifico, il datore di lavoro può, nella contestazione disciplinare, limitarsi ad una descrizione sintetica e non necessariamente analitica dei fatti che vengono addebitati al lavoratore, purchè la sua esposizione consenta a quest’ultimo, prima che la sanzione gli venga irrogata, di individuare con sufficiente precisione quale sarebbe stato il comportamento non corretto e che viene dunque considerato come una vera e propria infrazione disciplinare (Cass. n. 2377 del 01.10.2018).

Sotto altro profilo, è possibile che vi siano una serie di circostanze che, pur non attenendo strettamente ai fatti che vengono contestati al dipendente, vanno comunque ad incidere sulla valutazione in giudizio della gravità dell’illecito disciplinare individuato dal datore di lavoro.

Al riguardo in alcuni casi la giurisprudenza in un ottica di valutazione complessiva della gravità dell’illecito disciplinare in capo al lavoratore, ha tenuto in considerazione anche illeciti disciplinari già trascorsi e che non erano stati contestati dal datore (es. allontanamento ingiustificato dal posto di lavoro, aggressione verso colleghi di lavoro ecc…) (Cass. n. 7221 del 29.03.2006).

 

L’invito rivolto al lavoratore di fornire giustificazioni

Si è inoltre discusso sul fatto che la contestazione dovesse contenere necessariamente anche  l’invito rivolto al lavoratore a fornire le proprie giustificazioni.

In un primo momento, la tendenza giurisprudenziale era quella di considerare detto invito come un elemento necessario e fondamentale della contestazione dell’addebito, addirittura prevedendo la grave sanzione di nullità della stessa.

Successivamente la giurisprudenza, anche di legittimità, unitamente all’opinione dottrinaria maggioritaria si è attestata su posizioni ben più transigenti e contrarie alla tesi ora esposta (cfr. per tutte Cass. n. 67 del 07.01.1998).

 

Illecito disciplinare omissivo da parte del lavoratore

In linea generale il datore di lavoro non è tenuto ad introdurre nella contestazione disciplinare anche l’indicazione delle norme legali o contrattuali che ritiene violata dal comportamento del proprio dipendente.

Sul punto però bisogna fare una precisazione allorché si è dinanzi ad una condotta omissiva da parte del lavoratore.

In tale ipotesi, la Cassazione ha chiarito che sussiste per il datore di lavoro l’onere di indicare nella contestazione, in modo analitico e preciso, la regola di condotta che il lavoratore avrebbe dovuto osservare nella circostanza cui si riferisce l’addebito disciplinare (Cass. n. 9400 del 07.09.1993).

 

Indicazione della sanzione e la contestazione per relationem

Di regola e per giurisprudenza maggioritaria, nella contestazione degli addebiti non deve essere riportata anche la sanzione cui il lavoratore andrà incontro per aver commesso l’illecito disciplinare.

Giova tuttavia precisare che tale considerazione cambia nel caso in cui il contratto collettivo applicato al dipendente incolpato preveda detto onere in capo al datore di lavoro.

In ogni caso, si considera addirittura valida e perfettamente ammissibile la contestazione disciplinare che non contenga direttamente l’indicazione dei fatti che vengono addebitati al lavoratore ma faccia espresso rinvio, per relationem, agli atti e alle circostanze di un procedimento penale noto al lavoratore medesimo e che lo vede coinvolto in prima persona (Cass. n. 10662 del 15.05.2014; Cass. n. 23223/2010).

 

Quanto deve essere precisa la contestazione? La casistica

Secondo un orientamento giurisprudenziale, in materia di specificità della contestazione, nel caso in cui il datore di lavoro formuli l’addebito sbagliando o omettendo l’indicazione della data e dell’ora nel quale si sarebbe verificata la condotta costituente l’illecito disciplinare, tali “difetti” e/o “incompletezze” inficerebbero del tutto la contestazione disciplinare e pregiudicandone la formale correttezza.

Per tale linea di pensiero, ancorché l’addebito possa palesarsi oltremodo generico e mancante di una serie di indicazioni “apparentemente” imprescindibili, il diritto di difesa spettante al lavoratore incolpato potrebbe non essere in realtà pregiudicato, in quanto dal contenuto della contestazione potrebbe essere tale da consentire comunque al lavoratore medesimo di individuare agevolmente i fatti ai quali si riferisce il datore di lavoro.

Sul punto, tuttavia, la Corte di Cassazione è intervenuta in modo più netto stabilendo che una contestazione che non indichi le modalità con la quale si sono svolti i fatti, l’arco temporale nel quale gli stessi si siano verificati, i luoghi dell’accaduto ed eventualmente le persone offese che potrebbero essere state lese dalla condotta scorretta del lavoratore, non pone quest’ultimo in condizione di poter predisporre un’adeguata difesa (Cass. n. 19295 del 14.07.2008).

Sulla scorta di tale orientamento di legittimità è stata ritenuta nulla la contestazione disciplinare nei confronti di un dipendente che gli addebitava in via generica di assumere una condotta “noncurante” e non vicina alle normali regole di collaborazione senza l’indicazione specifica della effettiva condotta assunta dall’incolpato.

Ancora, è stata considerata nulla la contestazione che incolpi genericamente il lavoratore di aver usato espressioni negative nei confronti del proprio superiore gerarchico senza tuttavia specificare la tipologia di linguaggio utilizzato e le circostanze di fatto (Cass. n. 25608 del 03.12.2014; Cass. n. 2238 del 27.02.1995).

Sul punto, la Cassazione ha altresì evidenziato che nell’ipotesi si abbia una contestazione generica di insulti o minacce da parte del lavoratore nei confronti del superiore gerarchicamente sovraordinato, senza che però vengano specificate le frasi utilizzate, non è detto che si possa parlare di violazione della garanzia di cui all’art. 7 dello statuto dei lavoratori, in quanto per aversi la nullità della contestazione stessa è comunque necessario che si verifichi una oggettiva lesione del diritto di difesa del lavoratore incolpato (Cass. n. 8303 del 21.04.2005).

Questo in quando, il principio della “specificità” della contestazione non si atteggia come un rigido sistema di formulazione delle accuse nei confronti del dipendente interessato.

Corollario di quanto testé indicato, così come anche chiarito dalla giurisprudenza, è che al fine di valutare l’effettiva genericità di una contestazione disciplinare si rende dapprima necessario vagliare anche la difesa esercitata dal lavoratore in sede di giustificazione presso il datore di lavoro di talché, qualora detta difesa si palesi completa e consapevole rispetto ai fatti contestati, si dovrà escludere in radice la nullità dell’addebito.

 

Il richiamo a pregressi fatti e contestazioni

Molto spesso capita che il datore di lavoro, al fine di rafforzare il proprio addebito, integri la contestazione disciplinare con l’indicazione di pregresse note negative subite dal lavoratore e da quest’ultimo mai contestate.

Ebbene, sull’argomento la Cassazione ha evidenziato che tale condotta non debba essere tacciata di genericità (Cass.  n. 884 del 01.02.1996).

In via del tutto analoga, nel caso in cui il datore faccia riferimento, nella propria contestazione, a condotte pregresse del lavoratore, tale indicazione non soggiace al criterio di specificità dell’addebito, ma soltanto se il richiamo a comportamenti passati è esclusivamente finalizzato a confermare e sottolineare la gravità dell’addebito e l’adeguatezza della sanzione applicata al lavoratore interessato (Cass. n. 5311/1987; Cass. n 2369/1982).

 

L’indicazione della sanzione nella contestazione

Normalmente la contestazione disciplinare non deve contenere né le norme legali o contrattuali che si assumono violate dal lavoratore, né la sanzione che si intende irrogare a quest’ultimo.

Ciononostante, vi sono alcuni casi in cui la contrattazione collettiva (CCNL) prevede tale obbligo a carico del datore di lavoro.

Diversamente, è escluso che la contestazione debba menzionare le prove, in possesso del datore di lavoro, che dimostrano la sussistenza dei fatti e dell’illecito disciplinare contestato.

Così come non vi è alcun diritto del lavoratore a visionare l’eventuale documentazione, in possesso del datore di lavoro, in grado di provare la fondatezza dell’addebito disciplinare, a meno che l’accesso a tali atti risulti necessario ed imprescindibile per il lavoratore al fine di predisporre la propria difesa e le proprie giustificazioni (Cass. n. 29927 del 20.11.2018; Cass. n. 23408 del 06.10.2017; Cass. n. 15966 del 27.06.2017; Cass. n. 20814 del 14.10.2016; Cass. n. 6337 del13.03.2013).

 

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