Le associazioni sportive non riconosciute sono per lo più enti privati che perseguono scopi senza finalità di lucro.
Esse vengono costituite da un gruppo di persone che intendono raggiungere un determinato scopo, normalmente di interesse collettivo, per finalità sociali, religiose, culturali e di pubblica utilità.
La decisioni relative a tutte le attività svolte dall’associazione vengono decise dal Consiglio Direttivo, il quale si compone del Presidente e da tutti coloro che, in qualità di amministratori, intervengono nel compimento di tutti gli atti esecutivi dell’associazione.
Ciò posto, venendo all’analisi dell’argomento in esame, la responsabilità delle associazioni “non riconosciute” per le obbligazioni contratte nell’esercizio della relativa attività è disciplinata dall’art. 38 del Codice Civile.
Secondo tale norma:
“Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune.
Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.
Inoltre, le associazioni non riconosciute non hanno la personalità giuridica e non hanno l’autonomia patrimoniale perfetta (si intende per autonomia patrimoniale perfetta quel regime per il quale patrimonio associativo risulta distinto rispetto al patrimonio degli associati e degli amministratori).
Tali associazioni vengono comunque considerate dall’ordinamento come soggetti di diritto distinti dagli associati.
Esse sono infatti dotate di una propria organizzazione interna ed esterna, di un proprio patrimonio associativo (il “Fondo comune”) e di una propria capacità di carattere sostanziale e di carattere processuale.
Da quanto appena premesso e sulla base del dettato dell’art. 38 c.c. si può quindi agevolmente evincere come, in materia di associazioni “non riconosciute”, i creditori dell’associazione possono far valere i loro diritti di credito in primis sul fondo comune associativo.
Vale a dire possono aggredire con l’azione esecutiva i beni ricadenti nel patrimonio mobiliare e immobiliare dell’associazione.
Tale patrimonio, infatti, rappresenta una vera e propria garanzia generica rispetto alle obbligazioni contratte dall’associazione nello svolgimento della propria attività associativa.
Tuttavia, come indicato anche dalla norma sopra richiamata, per i debiti dell’associazione non risponde unicamente quest’ultima ma anche le persone che hanno posto in essere atti in nome e per conto dell’associazione medesima.
Tali soggetti avranno, infatti, una responsabilità patrimoniale di carattere “personale” e “solidale”.
In altri termini, i creditori dell’associazione potranno agire, giudizialmente e per l’intero importo, anche solo nei confronti di una soltanto delle persone che ha contratto obbligazioni in nome e per conto dell’associazione.
Insomma ogni amministratore dell’associazione potrà essere escusso dal creditore per l’intero importo del debito.
Inoltre, tale tipologia di responsabilità patrimoniale si evince anche in materia tributaria per l’ipotesi di contenziosi instaurati tra le associazioni non riconosciute ed il fisco.
Sul punto la Corte di Cassazione è stata molto chiara nel definire un principio fondamentale (Ordinanza n. 2169 del 29.01.2018).
Per i debiti d’imposta dell’associazione “non riconosciuta”, ovvero per quei debiti che sorgono sulla base di un rapporto negoziale colui che è chiamato a rispondere è il soggetto che ha effettivamente diretto e gestito l’associazione durante il periodo fiscalmente considerato.
Tale soggetto, in forza del ruolo rivestito nell’ambito dell’associazione, risponde solidalmente sia per le sanzioni pecuniarie relative al mancato pagamento del tributo, sia il tributo medesimo non corrisposto dall’associazione.
In altre parole, la Corte di Cassazione, non richiede una vera e propria prova in merito all’effettiva attività contrattuale e/o negoziale svolta dal legale rappresentante dell’associazione.
Ma, ai fini dell’accertamento della responsabilità patrimoniale e solidale di quest’ultimo, è sufficiente accertare che lo stesso abbia di fatto posto in essere un’attività di “direzione” durante il periodo fiscale oggetto dell’accertamento.
Sul punto è altresì importante chiarire che la responsabilità di cui sopra non si pone in capo alle persone che hanno partecipato alla formazione della volontà dell’associazione non riconosciuta.
Tale responsabilità si pone esclusivamente a carico di tutti coloro che, nell’esercizio di una carica associativa, hanno dichiarato tale volontà in nome e per conto dell’ente ai terzi contraenti.
Il tutto, con la consequenziale nascita di obbligazioni in capo all’ente medesimo.
Occorre inoltre precisare che la descritta responsabilità di cui all’art. 38 del Codice Civile, riguarda soltanto gli amministratori che hanno contratto obbligazioni per l’associazione durante la vigenza del loro mandato.
Infatti, la predetta responsabilità è da escludere nel caso in cui la nascita dell’obbligazione a carico dell’associazione è avvenuta prima o dopo il periodo di vigenza della carica associativa.
In altri termini, l’avvicendarsi nelle cariche sociali non comporta la trasmissione del debito da un amministratore all’altro.
Sotto il piano tecnico, occorre inoltre aggiungere che la responsabilità patrimoniale e solidale di chi agisce per l’associazione non riconosciuta è di carattere accessorio e concorre con quella dell’ente.
Ciò comporta, che il creditore può agire nei confronti del soggetto che ha agito in nome e per conto dell’associazione solo se sussiste una effettiva responsabilità di quest’ultima.
La Cassazione ha inoltre chiarito che tale responsabilità “…non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione”.