Matteo D’Alessandro
Profili di problematicità e giurisprudenza
Introduzione
Il sistema delle società di capitali risulta fondato su un principio di estrema importanza secondo il quale, da un lato, gli amministratori sono competenti alla gestione societaria mentre, dall’altro, i soci si occupano della redazione iniziale dell’atto costitutivo, volto a regolare il funzionamento e la struttura portante della società, e dell’assunzione delle decisioni che incideranno su quest’ultima in “corso d’opera”.
Diversamente da quanto accade per la compagine sociale, per i gestori il legislatore individua all’interno del Codice civile un sistema di norme volte a sanzionare eventuali condotte che possano comportare la realizzazione di atti dannosi per la società.
In riferimento alla Società per azioni questo principio è da individuare nelle disposizioni di cui agli artt. da 2392 a 2395; per la Società a responsabilità limitata invece, all’art. 2476.
Seppur con qualche differenza ermeneutica che incide sulla natura dei vari criteri, in generale queste norme impongono agli amministratori di operare nel rispetto dei canoni di diligenza imposti dall’incarico rivestito e dei doveri previsti dalla legge e dallo statuto: in caso di violazione di questi parametri, essi andranno incontro a responsabilità di natura risarcitoria per danni.
La disciplina prevista per le S.R.L.
Quanto appena esposto subisce delle attenuazioni soprattutto in riferimento alla disciplina della Società a responsabilità limitata: l’art. 2476, comma 8 c.c., stabilisce infatti che “sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”.
Tale disposizione si giustifica in relazione alle previsioni contenute nell’art. 2479 c.c. rubricato “Decisioni dei soci”: contrariamente da quanto accade nelle S.p.a., è previsto che i soci di s.r.l. possano in concreto essere investiti di competenze gestorie, in virtù di una previsione statutaria o di una apposita richiesta da parte di uno o più amministratori o di tanti soci che rappresentino un terzo del capitale sociale (art. 2479, comma 1); inoltre, sono riservate alla loro competenza “le decisioni di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale … o di una rilevante modificazione dei diritti dei soci” (art. 2479, n. 5).
Preme infine ricordare che, con l’art. 2468 c.c., il legislatore ha introdotto la possibilità di riconoscere diritti particolari ai soci aventi ad oggetto il compimento di poteri tipicamente amministrativi.
La previsione di cui all’art. 2476 prima citata, è stata accolta con entusiasmo sia in dottrina che in giurisprudenza: con essa si è inteso perseguire l’obiettivo di evitare indebite interferenze della compagine sociale nelle scelte di gestione ed elusioni del regime di responsabilità previsto per gli amministratori in caso di compimento di atti dannosi, il cui incipit sia stato determinato dai soci stessi.
Viene dunque individuata la figura del cd. socio co-gestore che, tuttavia, deve essere tenuta distinta da quella del cd. amministratore di fatto.
Quanto appena detto è minuziosamente analizzato in una recente pronuncia del Tribunale di Milano (09.09.2019, n. 8031) in cui i giudici di merito chiariscono tanto la ratio della previsione, quanto la distinzione tra le due figure citate.
Si legge infatti che “È noto che l’art. 2476 settimo comma c.c. costituisce un contrappeso alle ampie prerogative riconosciute ai soci nella s.r.l., ove per la contiguità fra potere gestorio e posizione dei soci, questi possono ingerirsi di fatto nella gestione anche in modo occasionale, ovvero in forza di procedimenti espressamente previsti per le s.r.l. dal primo comma dell’art. 2479 c.c., … e dal terzo comma dell’art. 2468 c.c. … La giurisprudenza di merito più avanzata, condivisa da questo Tribunale, ha ben chiarito che anche al di fuori dei formali procedimenti di decisione o autorizzazione di cui ai citati articoli 2479 e 2468 c.c., la responsabilità del socio … non è sussumibile in quella dell’amministratore di fatto, ma opera in tutti i casi in cui si verifica un’effettiva influenza nella gestione della società, ed è espressione della ratio legis che mira a responsabilizzare tutti i soggetti che di fatto partecipano, anche in modo episodico e non continuativo, alla gestione della società. Ai fini dell’applicazione della fattispecie normativa in esame è necessario prendere in considerazione tutte quelle manifestazioni di volontà espresse dai soci anche in forme non istituzionali e meramente ufficiose, ma tali in ogni caso da evidenziare l’ingerenza o anche l’influenza effettiva spiegata da costoro sugli amministratori”.
Volendo riassumere, la linea di confine tra le due fattispecie deve essere individuata nel carattere che assume l’ingerenza del soggetto che non sia un gestore dal punto di vista formale: occasionale nel primo caso, periodica e continuativa nel secondo.
Inoltre, se da una parte il soggetto agente dovrà necessariamente rivestire la qualifica di socio, nel secondo caso potrà trattarsi di un terzo rispetto alla compagine sociale.
Problematiche in rapporto al tipo di organo di amministrazione adottato
In seguito alla riforma attuata con il D.lgs. 6/2003, la disciplina di S.r.l. ha conosciuto l’introduzione di una importantissima novità per quanto riguarda la strutturazione dell’organo di gestione: è noto, infatti, che nelle società appartenenti al genus capitalistico tradizionalmente si potrà propendere o per un organo collegiale, che assumerà le vesti di un consiglio di amministrazione, o per uno monocratico, che comporterà la presenza di un amministratore unico.
L’art. 2475 c.c., tuttavia, stabilisce al comma 3 che “quando l’amministrazione è affidata a più persone … l’atto costitutivo può prevedere … che l’amministrazione sia ad esse affidata disgiuntamente oppure congiuntamente; in tali casi si applicano, rispettivamente, gli articoli 2257 e 2258”: il legislatore riconosce dunque la possibilità, in sede costitutiva di S.r.l, di adottare uno dei modelli di amministrazione di tipo personalistico.
Nei casi di C.d.a., amministratore unico e modello congiuntivo non sorgono particolari problemi in ordine all’applicazione del meccanismo ex art. 2476 comma 8: qualora gli amministratori abbiano eseguito un atto dannoso sulla base di una decisione o autorizzazione dei soci e sussistano i presupposti prima elencati, potrà sorgere responsabilità, in via solidale, per gli uni e per gli altri.
Profili interessanti sorgono in riferimento al modello cd. disgiuntivo (art. 2257 c.c.): basti qui ricordare che nel momento in cui esso sia stato adottato, a ciascun amministratore sarà consentito di avviare il compimento di un atto di gestione in assenza di qualsivoglia consenso da parte degli altri; questi ultimi potranno comunque opporsi alla realizzazione dell’atto con la conseguenza che successivamente, tutti i soci dovranno pronunciarsi, positivamente o negativamente, sull’opposizione con voto assunto “a maggioranza determinata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili”. Nel caso in cui la decisione sia di accoglimento all’opposizione, il compimento dell’atto verrà impedito; in caso contrario esso potrà essere realizzato.
A questo punto, si rifletta sul seguente quesito: nel momento in cui i soci abbiano votato negativamente all’ammissibilità dell’opposizione e l’atto successivamente compiuto per tale ragione, si sia rivelato dannoso, potranno gli stessi essere considerati responsabili ex art. 2476 comma 8?
Da quanto analizzato in precedenza, si è visto che affinché insorga responsabilità per il socio, quest’ultimo avrà dovuto decidere o autorizzare intenzionalmente il compimento dell’atto dannoso. In questo caso, pur mancando una decisione o autorizzazione che si pronunci direttamente in tal senso, si potrebbe azzardare un’interpretazione con la quale considerare quella sull’opposizione, una forma di autorizzazione o decisione indiretta: ne conseguirebbe, al ricorrere degli altri presupposti, la piena applicabilità del disposto della norma prima richiamata.
Conclusioni
La disciplina che è stata analizzata dimostra come la riforma del 2003 abbia reso quello della Società a responsabilità limitata un modello estremamente flessibile ed aperto a molteplici soluzioni che, in molti casi, non vengono riproposte per la Società per azioni.
Esempio ne è la mancanza all’interno della disciplina riservata a quest’ultimo tipo societario di una norma analoga all’art. 2476, comma 3: tale assenza ha peraltro determinato la nascita di un ampio dibattito in sede dottrinale circa l’ammissibilità di un’applicazione analogica. Sarà pertanto interessante seguire i futuri risvolti sia in dottrina che in sede legislativa.