Dott. Valerio Digregorio
La possibilità per il dipendente di avanzare richiesta di fruizione delle ferie per evitare il licenziamento per superamento del comporto.
Il periodo di comporto è quel lasso temporale (la cui durata è disciplinata dai diversi contratti collettivi) nel corso del quale il rapporto di lavoro viene sospeso a causa della malattia del lavoratore e lo stesso non può essere licenziato.
L’art. 2110 c.c. (secondo comma) dispone, infatti, che in caso di malattia “l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.”
Compatibilità tra malattia e ferie
Tra le questioni più rilevanti in tema vi è quella riguardante la possibilità per il lavoratore di fruire delle ferie maturate e non godute al fine di evitare il superamento del comporto.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria (cfr. Cassazione, 14 settembre 2020, n. 19062, Cassazione, 17 aprile 2019, n. 10725) il dipendente in malattia può chiedere al datore di lavoro di fruire di un periodo di ferie in prossimità della scadenza del comporto al fine di evitare il licenziamento.
A tale facoltà non corrisponde, però, un obbligo della parte datoriale di accoglimento della richiesta del dipendente qualora ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa che dovranno essere concrete ed effettive (in mancanza, il recesso è illegittimo e l’onere probatorio è in capo al datore).
In altre parole, il datore di lavoro, cui compete il potere di stabilire la collocazione delle ferie, è tenuto in tali casi a valutare adeguatamente la posizione del dipendente in quanto esposto alla perdita del posto di lavoro.
Non mancano, tuttavia, come vedremo nel prosieguo, pronunce di senso contrario che “sgravano” la parte datoriale da tale obbligo ove in forza della contrattazione collettiva o di specifiche disposizioni di legge il lavoratore abbia la facoltà di evitare il superamento del periodo di comporto ricorrendo ad altri istituti.
Uno sguardo alla giurisprudenza
La Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 7566 del 27 marzo 2020, ha fornito chiarimenti circa la possibilità per il dipendente di fruire delle ferie già maturate allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto.
Nel caso di specie una lavoratrice veniva licenziata per giusta causa per avere effettuato delle assenze ingiustificate per più giornate consecutive.
La lavoratrice impugnava il licenziamento dinanzi al giudice di primo grado che respingeva il ricorso; dello stesso avviso la Corte d’Appello che confermava la sentenza di primo grado sostenendo che la dipendente si era collocata autonomamente in ferie alla scadenza del periodo di comporto senza avanzare alcuna richiesta preventiva al datore.
La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito affermando che “il lavoratore assente per malattia non ha incondizionata facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, quale titolo della sua assenza, allo scopo di interrompere il decorso del periodo di comporto (…)”.
Il datore di lavoro, nell’esercitare il potere di stabilire la collocazione temporale delle ferie, deve tenere in adeguata considerazione la posizione del lavoratore che si trovi esposto alla perdita del posto con la scadenza del comporto.
Tuttavia, secondo la Suprema Corte, questo obbligo “del datore di lavoro non è ragionevolmente configurabile allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed in particolare quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita”.
Nel caso di specie il comportamento del datore doveva ritenersi corretto posto che la lavoratrice non aveva richiesto né la conversione in ferie del periodo di malattia né di fruire dell’aspettativa non retribuita.
Alla luce di tali motivi la Corte respingeva il ricorso della lavoratrice confermando la legittimità del licenziamento.
Nella sentenza n. 27392 del 29 ottobre 2018 la Corte di Cassazione si è espressa su un caso simile a quello della precedente pronuncia, giungendo a un esito differente.
La vicenda vedeva come protagonista un lavoratore, licenziato per superamento del comporto che agiva in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la conseguente reintegra nel posto di lavoro.
La Corte d’Appello accoglieva la domanda del dipendente sostenendo che quest’ultimo avesse la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie al fine di sospendere il comporto; inoltre, il datore aveva respinto la richiesta del lavoratore adducendo motivazioni vaghe e inconsistenti.
La società ricorreva in Cassazione, sostenendo che non vi sia alcun obbligo del datore di concedere le ferie quando il lavoratore possa usufruire di altre regolamentazioni legali o contrattuali (ad esempio l’aspettativa non retribuita) tali da evitare il superamento del comporto.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso dell’azienda chiarendo che, pur non configurandosi alcun obbligo in capo alla parte datoriale di accoglimento di una richiesta di ferie del dipendente “(…)tuttavia, al fine di evitare il licenziamento, e quindi la perdita del posto di lavoro, solo esigenze organizzative effettive e concrete possono, in ossequio alle clausole generali della correttezza di buona fede e correttezza, giustificare un diniego e così far prevalere l’interesse aziendale all’interesse del lavoratore di godere di giorni di ferie, scongiurando così la maturazione del comporto”.
Nel caso di specie, come correttamente ritenuto dalla Corte d’Appello, il diniego del datore di lavoro non aveva alcuna giustificazione e si poneva in violazione degli obblighi di buona fede e correttezza cui sono tenute le parti.
Conclusioni
Il lavoratore assente per malattia ha facoltà di richiedere la fruizione delle ferie maturate e non godute al fine di interrompere il decorso del periodo di comporto.
Dall’altro lato non si configura in capo al datore un obbligo di accoglimento di tale richiesta ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa (effettive e concrete) che quest’ultimo deve essere in grado di dimostrare in un eventuale giudizio.
Graverebbe, dunque, sulla parte datoriale dimostrare di aver tenuto in considerazione, nel valutare la relativa richiesta, della posizione del lavoratore in quanto esposto alla perdita del posto di lavoro.
Ad avviso di chi scrive e in un’ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, la tutela del posto di lavoro riveste un ruolo predominante e a tal fine giustifica nella maggioranza dei casi la richiesta del dipendente di fruire delle ferie allo scopo di sospendere il comporto.
Non convince appieno la motivazione secondo cui non si configurerebbe in capo al datore l’obbligo di concedere le ferie quando il lavoratore possa chiedere in base al contratto collettivo applicato e per la stessa finalità di essere collocato in aspettativa non retribuita.
Anche le ferie, seppur non utilizzate secondo la propria classica finalità di consentire il recupero delle energie psicofisiche, possono rappresentare un istituto utile e utilizzabile in tali fattispecie al fine di salvaguardare e tutelare il posto di lavoro.