Avv. Pino Cupito
La Cassazione ribadisce il pacifico orientamento in materia di “consulenza tecnica di parte” (Sent. n. 27297 del 30.11.2020 – Testo integrale in calce).
“La consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio (Cass. civ., SS.UU., n. 13902/2013), con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con essa incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (Cass. civ., n. 5687/2001). Ne consegue che non è ipotizzabile la violazione di legge derivante dall’adesione alle conclusioni del CTU.”
In altri termini, la parte può produrre, a sostegno della propria tesi e della propria domanda, la perizia del proprio tecnico anche in occasione dell’introduzione del giudizio e a supporto della domanda.
Ciò tuttavia non attribuisce a detta perizia il valore di prova, ma rappresenta un mero “indizio” al pari di un documento proveniente da un terzo.
Spetta poi al giudice la valutazione sull’attendibilità e sul valore della stessa.
(Per approfondire Consulenza tecnica di parte: si può depositare anche in appello? E che valore probatorio ha?)
Testo della Sentenza
Corte di Cassazione, Sez. 2, sent. n. 27297 del 30.11.2020
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione innanzi al Tribunale di Massa, (Omissis) Fabio, (Omissis) Sergio e (Omissis) Luciana citavano in giudizio (Omissis) Floriana, (Omissis) Franca e (Omissis) Emilia, per chiedere dichiararsi l’annullamento del testamento pubblico di (Omissis) Annamaria del 25.11.2002, con cui era stata istituita erede (Omissis) Floriana, per incapacità di intendere e di volere della testatrice.
Si costituivano in giudizio le convenute e resistevano alla domanda.
La causa veniva istruita con consulenza tecnica medico-legale, che concludeva per l’incapacità cognitiva della de cuius, che l’aveva resa incapace di intendere e di volere al momento della redazione del testamento.
Il Tribunale di Massa accoglieva la domanda proposta dagli attori anche nei confronti di Biggi Maria, dichiarata interdetta e rappresentata in giudizio da (Omissis) Fabio.
La Corte d’appello di Genova, con sentenza n.1120/2015, rigettava il gravame.
Quanto all’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per assenza dell’autorizzazione da parte del Tribunale in favore di (Omissis) Fabio a stare in giudizio in nome e per conto della madre Biggi Maria, di cui era tutore, la corte di merito osservava che l’eccezione era stata tardivamente proposta in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio d’appello. In ogni caso, secondo la corte di merito, l’assenza di autorizzazione non atteneva ad un requisito di validità, ma determinava una mera irregolarità nella costituzione del soggetto che agiva in rappresentanza della parte tutelata, sicché soltanto nell’interesse di quest’ultima l’irregolarità poteva esser fatta valere.
Infine, la Corte riteneva elemento decisivo al fine del rigetto dell’eccezione il fatto che l’impugnazione risultava espressamente proposta dalle appellanti nei confronti esclusivamente di (Omissis) Fabio, (Omissis) Luciana e (Omissis) Sergio e che, nella formulazione dei motivi di gravame, gli stessi non avevano contestato la questione della costituzione in causa del tutore della defunta (Omissis) Maria.
Per ciò che rileva ai fini del giudizio di legittimità, la corte di merito riteneva che vi fosse la prova dell’incapacità di intendere e di volere sulla base delle conclusioni cui era pervenuto il CTU.
Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione (Omissis) Floriana e (Omissis) Franca, eredi di (Omissis) Emilia, sulla base di tre motivi.
Hanno resistito con controricorso (Omissis) Fabio e (Omissis) Luciano in proprio e quali eredi di (Omissis) Maria nonché in qualità di procuratori di Sergio (Omissis).
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 101 e 182 c.p.c., perché (Omissis) Fabio avrebbe agito in rappresentanza dell’interdetta (Omissis) Maria in difetto di autorizzazione e senza disporre d’ufficio la regolarizzazione.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 374, n.5 c.p.c. per avere la Corte d’appello ritenuto tardiva l’eccezione di difetto di rappresentanza di (Omissis) Maria, pur trattandosi di questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.
I motivi che per la loro connessione meritano una trattazione congiunta non sono fondati.
Dall’esame degli atti processuali, consentito in ragione del vizio dedotto, consistito in un error in procedendo, risulta che (Omissis) Maria era intervenuta nel corso del giudizio di primo grado con atto di intervento del 13.12.2014, autorizzato dal giudice tutelare.
Ne consegue che non sussisteva, già dal primo grado, il difetto di autorizzazione denunciato dai ricorrenti.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 194 c.p.c. per non avere il Tribunale prima e la Corte d’appello poi valutato, ai fini della statuizione circa l’esistenza di un’incapacità di intendere e di volere in capo al testatore, le conclusioni rassegnate dal consulente tecnico di parte atte a dimostrare la non configurabilità di tale situazione, ritenendo di fondare il proprio orientamento conclusivo unicamente sulle considerazioni espressa dal CTU.
Il motivo è inammissibile.
La consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio (Cass. civ., SS.UU., n. 13902/2013), con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con essa incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (Cass. civ., n. 5687/2001).
Ne consegue che non è ipotizzabile la violazione di legge derivante dall’adesione alle conclusioni del CTU.
Per il resto, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, il ricorso mira ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità (Cass. SS.UU., 27.12.2019, n. 34476).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.