Avv. Pino Cupito
La Cassazione ritorna sugli indici della subordinazione.
A detta della Suprema Corte, elemento essenziale del rapporto di lavoro subordinato è la soggezione personale del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro.
Soggezione che non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità d’essere del rapporto desumibile potenzialmente da un complesso di circostanze.
Inoltre, essa rappresenta l’elemento principale di differenziazione rispetto al lavoro autonomo.
Nel caso in cui tale elemento non sia agevolmente verificabile ed apprezzabile, si può fare riferimento ad altri elementi come, ad esempio, la continuita’ della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l’assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppure minima struttura imprenditoriale.
Tali elementi, hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria e pur non avendo valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, rappresentano indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione.
L’importante è che essi siano stati oggetto di un valutazione complessiva e globale (ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., 27.9.2019, n. 24154, ed ivi in motivazione i precedenti di legittimita’, anche a Sezioni Unite, in senso conforme).
Più in particolare, potrebbe essere possibile configurare la sussistenza di rapporto di lavoro subordinato tra le parti in presenza:
- di contratti di lavoro autonomo (ad es. incarichi di consulenza) con indicazione generica dell’oggetto della prestazione e con elementi che contrastano la sussistenza di subordinazione;
- di insussistenza di rischio economico del prestatore;
- di controllo sull’entità oraria e giornaliera della prestazione lavorativa del collaboratore.
Corte di Cassazione Sezione Lavoro
Ordinanza 16 gennaio 2023 n. 1095
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere
Dott. CASO Francesco Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2942/2017 proposto da:
la (OMISSIS) (gia’ (OMISSIS)) s.p.a., in concordato preventivo, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), rappresentata e difesa dal Prof. Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 732/2016 della Corte di Appello di FIRENZE, depositata il 27.9.2016, R.G. n. 347/2015;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 19.10.2022 dal Consigliere Dott. Francesco Giuseppe L. CASO.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso depositato il 27.10.2011, (OMISSIS) conveniva innanzi al Tribunale di Livorno la (OMISSIS) s.p.a., chiedendo di: 1. Accertare e dichiarare che tra la (OMISSIS) e lui era stato instaurato un rapporto di lavoro a carattere subordinato a tempo indeterminato a partire dal 28.1.2008; 2. In conseguenza dell’accertata e dichiarata conversione del rapporto in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, condannare la convenuta al pagamento dell’indennita’ di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5 nella misura massima di 12 mensilita’ avuto riguardo alla retribuzione globale di fatto pari ad Euro 1.785,00; 3. Accertare e dichiarare in tesi che la comunicazione sms in data 3.11.2011 si atteggiava quale licenziamento inefficace e/o nullo e che comunque si era realizzata un’estromissione di fatto dall’azienda; in ipotesi accertare e dichiarare che il licenziamento era comunque illegittimo e/o invalido; 4. Per effetto di quanto accertato sub 3, ordinare la reintegra e/o il ripristino del (OMISSIS) nel posto di lavoro precedentemente occupato, con condanna della societa’ convenuta al pagamento di un’indennita’ a titolo di risarcimento del danno commisurata alla retribuzione globale di fatto pari ad Euro 1.785,00, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra, in ogni caso non inferiore a 5 mensilita’; 5. Accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a far data dal 28.1.2008 all’inquadramento professionale di cui al 3 livello del CCNL Commercio-Servizi, con conseguente condanna della societa’ convenuta al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 25.433,92 al lordo delle ritenute di legge, somma dovuta per spettanze non percepite, come dettagliate in conteggi allegati agli atti e derivanti dalla natura subordinata del rapporto, relativa al periodo 28.1.2008-31.12.2010 (o quella diversa somma accertata in corso di causa), oltre rivalutazione monetaria ed interessi sulle somme rivalutate dalla maturazione del credito sino all’effettivo soddisfo; 6. Accertare che il trattamento di fine rapporto cui aveva diritto il ricorrente a vedersi accantonato alla data del 31.12.2010 ammontava ad Euro 5.571,12 al lordo (o quella diversa somma accertata in corso di causa), anche tenendo conto dei futuri accantonamenti; 7. Condannare la convenuta a ricostruire la corretta posizione contributiva ed assistenziale del ricorrente presso il Fondo di Previdenza Lavoratori Dipendenti gestito dall’INPS.
2. Costituitasi la convenuta che contestava tali domande, il Tribunale adito declinava la propria competenza per territorio in favore del Tribunale di Pisa, dinanzi al quale il giudizio veniva riassunto e istruito, e che, con sentenza in data 2.10.2014, rigettava il ricorso, condannando il OMISSIS) a rimborsare alla (OMISSIS) le spese di lite.
3. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Firenze, in accoglimento dell’impugnazione del (OMISSIS), e in riforma della sentenza del primo giudice, dichiarava che tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a. “intercorre” rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dall’1.2.2008, e inquadramento nel III livello del CCNL Commercio; condannava la (OMISSIS) al pagamento, in favore del (OMISSIS), dell’importo complessivo di Euro 90.550,01, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali ex articolo 429 c.p.c.; dichiarava che il trattamento di fine rapporto maturato da (OMISSIS) alla data del 31.12.2010 ammontava a Euro 5.081,01, e che egli aveva diritto alla regolarizzazione della posizione contributiva, previdenziale e assistenziale; condannava, infine, l’appellata al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese processuali del doppio grado di giudizio, come liquidate.
4. Per quanto qui ora soprattutto interessa, la Corte territoriale, andando in contrario avviso rispetto al primo giudice, reputava provata la natura subordinata e a tempo indeterminato del rapporto lavorativo dedotto in causa, pur non ritenendo ravvisabile una conversione del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, e ritenendo infondato il capo di domanda avente ad oggetto l’indennita’ ex L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5. Quantificava, inoltre, sulla base della C.Testo Unico contabile espletata, in Euro 90.550,79 l’ammontare del dovuto al lavoratore, a titolo di differenze retributive, per il periodo 28.1.2008-20.9.2016, detratto Valiunde perceptum (cfr. pag. 4-5 della motivazione).
5. Avverso tale decisione la (OMISSIS) (gia’ (OMISSIS)) s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
6. Ha resistito l’intimato con controricorso.
7. Solo la ricorrente ha prodotto memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia “Vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e vizio di violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2697, 2094, 2222 c.c. e articoli 115, 116 c.p.c.”. Deduce la ricorrente che “La sentenza della Corte d’Appello di Firenze ha totalmente omesso di esaminare un fatto decisivo che era certamente stato oggetto di discussione fra le parti, esprimendo, altresi’, una chiara violazione e falsa applicazione di numerose norme di diritto”. Sottolineato che l’attore aveva domandato, in primo luogo, il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato con l’attuale ricorrente, richiama diversi precedenti di legittimita’ in tema appunto di lavoro subordinato e della relativa prova, e sostiene che detta Corte “ha mostrato di fare applicazione dei suddetti principi solo apparentemente giacche’, in concreto, la sentenza si e’ limitata a rilevare la potenziale compatibilita’ delle circostanze accertate con la tipologia del rapporto di lavoro subordinato, omettendo di considerare che il lavoratore deve dimostrare concretamente – e non solo teoricamente – la sua subordinazione”. Indi, riproduce in ricorso il brano censurato della sentenza impugnata (a pagg. 2-3 della stessa), ed assume che le circostanze ivi esaminate dalla Corte d’appello “non sono idonee a fondare il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro atteso che non investono i requisiti fondamentali del rapporto di lavoro subordinato: il potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro”, omettendo, inoltre, “di esaminare un fatto decisivo che era certamente stato oggetto di discussione fra le parti: la direzione e il controllo dell’operato del ricorrente, in particolare da parte del sig. (OMISSIS) (direttore dell’area sistemi e responsabile dell’area giustizia all’interno di (OMISSIS))”, ossia, del soggetto che, secondo la tesi del ricorrente, era “deputato a dirigere e controllare l’operato del ricorrente”. A quest’ultimo proposito, riproduce i punti degli atti processuali dai quali si ricavava appunto che l’attore aveva allegato detta circostanza e che, per contro, la convenuta l’aveva espressamente contestata. Sempre in tal senso, richiama sia passi della sentenza di primo grado che dichiarazioni testimoniali.
2. Con il secondo motivo, denuncia “Vizio di nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c.”. Riportato altro passo della motivazione resa dalla Corte territoriale e riportate, altresi’, le conclusioni che la controparte aveva rassegnato sin dal ricorso introduttivo, sostiene che “dall’esame delle conclusioni e delle deduzioni avversarie… emerge che il petitum e’ da individuarsi nell’applicazione della L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, e nell’applicazione della tutela reale e che la causa petendi deve rinvenirsi nel riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, nell’illegittimita’ del termine apposto ai contratti di lavoro e, infine, nell’illegittimita’ dell’atto di recesso…”, ma che: “Al contrario, la sentenza della Corte d’Appello ha, da un lato, escluso l’applicabilita’ della L. n. 183 del 2010, articolo 32, e, dall’altro, escluso la presenza di un atto di recesso (valido o meno), accertando la “persistenza” del rapporto e condannando la societa’ al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate”. Di talche’ sarebbe palese la violazione dell’articolo 112 c.p.c.
3. Con un terzo motivo, denuncia “Vizio di violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, nonche’ dell’Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articoli 1, 3, 5, comma 4, e articolo 1218 c.c. e ss.”. Secondo la ricorrente, sarebbe “palese la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, giacche’ nella specie, alla ritenuta qualificazione del rapporto come subordinato e contestuale nullita’ dei termini apposti ai contratti di lavoro autonomo, sarebbe dovuta discendere – come, tra l’altro, richiesto dal ricorrente (punto 2 delle conclusioni di parte ricorrente, come riprodotte) – l’applicazione della suddetta disposizione e non la persistenza del rapporto di lavoro con diritto al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate”.
4. Il primo motivo e’ privo di qualsiasi fondamento.
4.1. Secondo un costante orientamento di questa Corte, quanto allo schema normativo di cui all’articolo 2094 c.c., costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalita’ di svolgimento della prestazione lavorativa e non gia’ soltanto al suo risultato. Tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalita’ di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze; sicche’, ove esso non sia agevolmente apprezzabile, e’ possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi (come, ad esempio, la continuita’ della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l’assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppure minima struttura imprenditoriale), che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria. Tali elementi, lungi dall’assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatto oggetto di un valutazione complessiva e globale (cosi’, ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., 27.9.2019, n. 24154, ed ivi in motivazione i precedenti di legittimita’, anche a Sezioni Unite, in senso conforme).
4.2. Orbene, la censura in esame di tali principi prende in considerazione solo la prima parte, e non anche la seconda circa la possibilita’ di provare la sussistenza degli estremi del rapporto subordinato attraverso una prova presuntiva, che si avvalga di elementi di natura indiziaria; il che e’ appunto quanto la Corte territoriale ha ritenuto cosi’ dimostrato nel caso in esame.
4.3. Piu’ in particolare, il giudice di secondo grado ha ben tenuto conto che il Tribunale aveva ritenuto “che l’istruttoria non abbia provato l’eterodirezione delle prestazioni lavorative” dell’attore, ed ha dato conto che quest’ultimo, con l’unico motivo d’appello, aveva impugnato “la sentenza di primo grado, sostenendo che dal complesso degli elementi acquisiti emerge la prova della natura subordinata del rapporto di lavoro” (cfr. pag. 2 della decisione qui impugnata).
Quindi, ha considerato pacifico in fatto “che l’appellante ha svolto attivita’ di assistente informatico di natura sistemistica, presso gli uffici giudiziari di Arezzo, in base a una serie di contratti di lavoro autonomo stipulati con (OMISSIS) S.p.A.” (cfr. sempre a pag. 2).
4.4. Tanto premesso e ritenuto, la Corte di merito ha considerato “configurabile la sussistenza di rapporto di lavoro subordinato tra le parti in quanto:
– i contratti di lavoro autonomo (denominati incarichi di consulenza) indicano in maniera del tutto generica l’oggetto della prestazione del collaboratore;
– conseguentemente, nonostante l’espressa qualificazione del rapporto come autonomo, dal tenore testuale dei contratti non sono desumibili elementi contrastanti con la sussistenza di subordinazione, che, anzi, trova un elemento di conferma nella pattuizione di un compenso commisurato alle giornate lavorative;
– e’ incontroverso che (OMISSIS) si avvalesse di strumenti di lavoro forniti da (OMISSIS) S.p.A., con conseguente insussistenza di rischio economico del prestatore;
– il prospettc riepilogativo prodotto dall’appelante prova che (OMISSIS) S.p.A. esercitava un controllo sull’entita’ oraria e giornaliera della prestazione lavorativa del collaboratore;
– tale controllo, anche ove funzionale a’ a rendicontazione dell’assistenza svolta da (OMISSIS) S.p.A. per il Ministero della Giustizia, denota comunque che oggetto della prestazione dell’appellante era la messa a disposizione de la propria attivita’ lavorativa nell’ambito del servizio di assistenza informatica fornito dalla societa’ appellante;
– il fatto che l’appellante operasse, di norma, sulla base delle richieste di intervento ricevute da parte degli uffici giudiziari non esclude la subordinazione, rinvenibile nella propria disponibilita’ ad assicurare l’assistenza sistemistica nell’arco temporale richiesto da (OMISSIS) S.p.A. in relazione agli obblighi assunti dalla societa’ nei confronti dell’amministrazione committente;
– va quindi ritenuta provata la natura subordinata del rapporto di lavoro, che trova ulteriore conferma nel fatto che funzioni del tutto analoghe erano affidate, presso altro ufficio giudiziario, a un tecnico dipendente di (OMISSIS) S.p.A. (cfr. teste (OMISSIS))”.
4.5. E’ chiaro, dunque, che la Corte distrettuale, non avendo trovato prova diretta della c.d. eterodirezione (prova esclusa dal primo Giudice), come peraltro specificamente richiesto dal lavoratore, allora appellante, ha fatto ricorso ad elementi indiziari, significativi della subordinazione nel caso particolare. Dall’esposizione teste’ riportata di quegli elementi, emerge in modo evidente che trattasi di elementi in gran parte corrispondenti a quelli ricordati, tra gli altri, nella sentenza di questa Sezione sopra richiamata, e che non si e’ in presenza di circostanze semplicemente compatibili con il rapporto di lavoro subordinato, come invece sostenuto dall’impugnante.
4.6. Piu’ nello specifico, la Corte di merito non ha mancato di considerare immediatamente la qualificazione data dalle parti al loro rapporto, anzi, ai rapporti (trattandosi di plurimi incarichi di consulenza apparentemente di natura autonoma); qualificazione che, come specificato da questa Sezione, pur non vincolante ed esaustiva ai fini della decisione, rappresenta comunque sempre il punto di partenza dell’indagine del giudice (cfr., ad es., Cass. civ., sez. lav., 14.6.2021, n. 16720). Ha, tuttavia, posto in luce l’estrema genericita’ dell’indicazione nei contratti di lavoro dell’oggetto della prestazione, e non quindi la presenza in essi dell’indicazione di un risultato, che poteva addirsi a rapporti di lavoro autonomo.
Di seguito, la Corte fiorentina si e’ soffermata sulle ulteriori emergenze su riportate, in particolare sul controllo esercitato da (OMISSIS) sull’entita’ oraria e giornaliera della prestazione lavorativa del collaboratore (il cui compenso, del resto, era commisurato alle giornate lavorative); ogni volta, evidenziando la significanza di ciascuno degli elementi in questione, e non mancando di esprimere un apprezzamento complessivo e globale degli stessi.
4.7. Osserva allora il Collegio che la ricorrente, da un lato, non pone in dubbio nessuno di tali elementi sul piano fattuale e probatorio, nei limiti in cui tanto possa essere consentito in questa sede di legittimita’, e, dall’altro, neppure deduce che taluni di essi non rientrino tra quelli che possono essere valorizzati ai fini della prova indiziaria della subordinazione.
Infine, cio’ che, a detta della ricorrente, la Corte di merito avrebbe omesso di esaminare, ossia, la direzione e il controllo dell’operato dell’attore da parte di (OMISSIS), non e’ un fatto, bensi’ una deduzione dell’istante, che, come tale, non era stata ritenuta riscontrata gia’ dal primo giudice; il quale, come pure gia’ riferito, aveva piu’ in generale escluso l’eterodirezione del (OMISSIS) da parte della (OMISSIS), non senza notare che, secondo quanto poco fa evidenziato, il giudice d’appello aveva reputato dimostrato che vi era un controllo sull’entita’ oraria e giornaliera della prestazione lavorativa del (OMISSIS), magari non esercitato dal (OMISSIS) in prima persona, ma comunque dalla societa’ che aveva ripetutamente incaricato il (OMISSIS).
5. Parimenti infondato e’ il secondo motivo.
5.1. L’ultrapetizione o l’extrapetizione che ivi profila la ricorrente non e’ assolutamente riscontrabile nella decisione gravata.
E’ sufficiente in tal senso constatare che, come chiaramente si trae dal testo della stessa, si e’ in presenza di un accoglimento parziale di talune delle diverse e numerose domande, principali e subordinate, spiegate dall’attore nel ricorso introduttivo del giudizio.
Piu’ in particolare, avendo la Corte territoriale giudicato “infondato il capo di domanda avente a oggetto l’indennita’ ex L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5” (cfr. alla fine di pag. 3, ma v. anche infra in relazione al terzo motivo di ricorso), ed avendo altresi’ escluso l’applicabilita’ al caso della tutela reale ex L. n. 300 del 1970, articolo 18, sollecitata dall’appellante, nonche’ la prova di un licenziamento orale, la stessa ha scritto che: “ne consegue in difetto di prova di un valido atto risolutivo del rapporto e considerata la documentata immediata richiesta di ripresa dell’attivita’ lavorativa (cfr. Css. 9.9.2011 n. 18523), che deve ritenersi la persistenza del rapporto di lavoro
subordinato inter partes, con diritto di (OMISSIS) alle retribuzioni dalla formale offerta della prestazione lavorativa, effettuata il 28.1.2011 (doc. 12 (OMISSIS))” (cosi’ a pag. 4 della sentenza oggetto di ricorso).
Ebbene, tale approdo della Corte territoriale (tradottosi nel dispositivo di sentenza nel capo in cui e’ dichiarato che inter partes “intercorre rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”, con adozione di indicativo presente precisamente volto a significare l’esistenza anche all’attualita’ di tale rapporto), in chiave di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex articolo 112 c.p.c., e’ sorretto proprio dalla prima e principale conclusione formulata dall’attuale controricorrente nel ricorso introduttivo. Invero, e’ la stessa ricorrente a ricordare a piu’ riprese nell’atto d’impugnazione in esame che il (OMISSIS) aveva anzitutto chiesto di: “1. Accertare e dichiarare che tra la (OMISSIS) spa ed il Sig. (OMISSIS) e’ instaurato un rapporto di lavoro a carattere subordinato a tempo indeterminato a partire dal 28.1.08”, quindi, secondo la principale prospettazione dell’attore, senza un dies ad quem o altro genere di cesura del rapporto stesso.
6. Pure la terza doglianza della ricorrente non e’ fondata.
6.1. Anche in questo caso sarebbe sufficiente rilevare che la Corte fiorentina aveva scritto: “- trattandosi di rapporti a tempo determinato formalizzati come collaborazione autonoma,
l’accertamento della natura subordinata determina la configurabilita’ di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in difetto delle condizioni previste dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001 per la legittimita’ delle assunzioni a termine; – non essendo, pertanto, configurabile conversione di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, e’ infondato il capo di domanda avente a oggetto l’indennita’ ex L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5”.
Devesi ricordare, infatti, che la L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, successivamente abrogato, ma in ipotesi applicabile ratione temporis ai rapporti che ci occupano, recitava: “Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennita’ onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, articolo 8”.
Orbene, correttamente la Corte territoriale ha escluso che nel caso di specie potesse trovare applicazione il cit. L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, che si riferisce ad ipotesi di conversione in senso tecnico di contratti a tempo determinato, mentre nella fattispecie non era stata accertata alcuna nullita’ dei contratti dichiaratamente di natura autonoma intercorsi tra le parti o dei termini presenti in essi, ne’ era stata operata un’ipotetica conversione di essi contratti in un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Nel caso in esame era stato piuttosto ritenuto che detti contratti formalmente di natura autonoma (ma non illegittimi o altrimenti invalidi) fossero da qualificare come unitario rapporto di natura subordinata e a tempo indeterminato.
Vanamente, percio’, la ricorrente evidenzia che a tutti i contratti di consulenza stipulati tra le parti fosse apposto un termine e che gli stessi si fossero succeduti senza soluzione di continuo (cfr. pagg. 2123 del ricorso).
In disparte la considerazione che in parte qua la censura comporta una ricognizione anzitutto di aspetti di fatto, preclusa in questa sede, appare dirimente il rilievo che questa Corte ha ritenuto inapplicabile il cit. articolo 32, comma 5, alla fattispecie ad esso estranea di un rapporto di lavoro autonomo accertato (ab origine, per fictio juris) di lavoro subordinato e a tempo indeterminato, celato sotto lo schermo ripetuto di una molteplicita’ di successivi contratti di collaborazione autonoma (in tal senso Cass. civ., sez. lav., 17.12.2020, n. 29006, la quale, in motivazione, richiama Cass. n. 20209/2016), come nel caso che ci occupa. E’ stato, infatti, specificato che la suddetta disciplina riguarda “i contratti a termine e le altre tipologie contrattuali previste dalla L. n. 183 del 2010, articolo 32, commi 3 e 4, tra cui non rientrano i contratti di lavoro autonomo, non potendo neppure invocarsi la disciplina di cui al citato comma 4, lettera d)” (cosi’ in parte motiva l’ora cit. decisione di questa Sezione).
7. La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo, ed e’ tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.