Dott. Luca Procopio
Ai fini dell’imposta di registro, la riqualificazione in cessione di azienda di un contratto di compravendita di beni mobili non può essere effettuata sulla base del mero dato dell’oggetto sociale dell’impresa acquirente.
Nella sentenza in esame, la CTR LAZIO, nel confermare la legittimità della sentenza emessa dai giudici di prime cure, biasima la condotta accertativa dell’Agenzia delle entrate che aveva riqualificato in cessione di azienda un contratto di compravendita di beni mobili concluso tra due imprese sulla base del mero dato costituito dall’“oggetto sociale” dell’impresa acquirente, con il conseguente accertamento di imposta di registro in luogo dell’IVA addebitata dal soggetto cedente.
Nello specifico, l’Agenzia delle entrate aveva ritenuto che il contratto di compravendita di beni mobili, avente ad oggetto la cessione di una “stazione elettrica, con la relativa corte esclusiva, costituita da impianti, strutture componenti apparecchiature oltre opere civili, aree di terreno un elettrodotto”, fosse da qualificare come cessione di azienda in considerazione dell’oggetto sociale dell’impresa acquirente, esercente l’attività di gestione della rete elettrica.
I giudici di seconde cure non hanno condiviso l’approccio dell’Agenzia delle entrate, rammentando che nel sistema dell’imposta di registro la qualificazione di un negozio giuridico come “cessione di azienda”, in forza dell’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, richiede che i beni indicati nell’atto giuridico di cessione configurino un complesso di fattori produttivi autonomamente idoneo, anche solo potenzialmente, all’esercizio di impresa.
Tuttavia, l’Agenzia delle entrate, nel corso del processo, non ha fornito alcuna prova in ordine all’attitudine anche solo potenziale dei beni mobili oggetto di cessione, nel loro complesso e nel loro collegamento, all’esercizio di impresa, limitandosi a presumere che tali beni costituissero un’azienda in forza dell’art. 2555 del codice civile in quanto utili all’esercizio dell’attività economica dichiarata dall’impresa acquirente e, in forza di tale utilità, a ritenere, senza alcun riscontro nel contratto di compravendita stipulato, che dovevano considerarsi ceduti anche le autorizzazioni, le concessioni, le licenze e i vari permessi connessi i medesimi beni.
D’altronde, ragiona ancora la CTR LAZIO, l’approccio dell’Agenzia delle entrate di ritenere che i beni mobili de quibus costituissero un’azienda esclusivamente in virtù dell’oggetto sociale dell’impresa acquirente conduce all’assurda conclusione che l’“acquisizione di beni destinati ordinariamente ad essere utilizzati nel processo produttivo dovrebbe sempre essere qualificata” come cessione di azienda e non come cessione di beni.
Testo della Sentenza
Commissione Tributaria Regionale Lazio n. 3516 del 16.11.2020
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma la società […] impugnava un avviso di liquidazione dell’imposta irrogazione delle sanzioni in tema di imposte di registro, ipotecaria catastale.
La pretesa erariale era riferita al trattamento tributario di un atto in data […] con il quale la società contribuente aveva acquisito da […] una stazione elettrica, con la relativa corte esclusiva, costituita da impianti, strutture componenti apparecchiature oltre opere civili, aree di terreno un elettrodotto negli atti compiutamente indicati in dettaglio.
In particolare, con l’avviso di liquidazione impugnato l’amministrazione finanziaria ravvisava nell’atto sopra citato una cessione di ramo d’azienda, con conseguente assoggettamento ad imposta di registro non IVA, procedendo pertanto al recupero nei confronti di tutti gli obbligati solidalmente.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di appello l’Agenzia delle entrate ha contestato l’asserito errore di giudizio dei primi giudici, ribadendo che nel caso di specie, dispetto della qualificazione offerta dalle parti, sarebbe da ravvisare nella sostanza un atto di cessione di ramo d’azienda non un atto di compravendita di singoli beni.
Il motivo non è fondato.
Non si contesta il potere dell’amministrazione finanziaria di applicare l’imposta in contestazione con riferimento alla realtà dell’operazione negoziale posti in essere dalle parti, senza ovviamente potersi reputare vincolata in tal senso dalla eventuale qualificazione prescelta dalle parti, da qualsivoglia altra limitazione dell’ordinaria potestà di accertamento che non sia la verifica della realtà negoziale.
In contrario, infatti, sarebbe visibilmente inficiata l’efficacia dell’attività di accertamento tributario anche soltanto per effetto dei ricorso delle parti alla simulazione. proprio per questo, peraltro, che l’art. 20 del testo unico dell’imposta di registro (D.P.R. 26.4.1986, n. 131) prevede che l’imposta “è applicata secondo la intrinseca natura gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
Da tanto deriva che spetta all’amministrazione finanziaria, facendosi carico del relativo onere probatorio, riqualificare in sede di accertamento contratti sottoscritti dalle parti (Cass. sez. V, sent. n. 6959 del 14.3.2008).
Tanto premesso in termini generali, va però evidenziato che tali rilievi sono ben vedere estranei all’oggetto del presente giudizio, nel senso che né la sentenza impugnata né la difesa di controparte si fondano sulla pretesa contestazione di tali assunti. Piuttosto, nello specifico della presente controversia, va verificato se il potere di riqualificazione in sede di accertamento tributario come sopra sancito sia basato su elementi qualificabili come fondati.
L’amministrazione finanziaria ha ritenuto che l’atto sopra indicato costituisca cessione di ramo di azienda in quanto ha ritenuto tal fine di dover valorizzare l’oggetto sociale del cessionario, onde stabilire l’idoneità dei beni allo svolgimento dell’attività caratteristica del soggetto acquirente.
Tale rilievo non appare pertinente. Infatti, pare fortemente opinabile che sia questo il corretto discrimine per ravvisare in una cessione di beni una cessione di ramo d’azienda (o cessione di azienda), posto che, al contrario, si potrebbe ragionevolmente sostenere che in questo modo l’acquisizione di beni destinati ordinariamente ad essere utilizzati nel processo produttivo dovrebbe sempre essere qualificata nei termini anzidetti.
Ma così non è, posto che, piuttosto, occorre valutare la effettiva capacità dei cespiti ceduti costituire quel complesso autonomo di beni quali fattori produttivi organizzati per lo svolgimento dell’impresa (art. 2555 c.). Tale accertamento adeguato riscontro sono mancati nel caso di specie.
Non vale in contrario il rilievo per il quale, dato che l’oggetto sociale del soggetto cessionario non la produzione di energia elettrica, ma la gestione della rete, allora la cessione di un elettrodotto, della stazione elettrica delle relative aree di insistenza pertinenza debba costituire sempre ramo di azienda.
In contrario, manca del tutto la dimostrazione piena rituale dell’unico requisito qualificante ai fini di specie, cioè la capacità di quei beni costituire un complesso organizzato nel senso predetto, risultando completamente omesso tale indefettibile adempimento dalla parte in tal senso onerata, che ha inteso invece percorrere una linea interpretativa che non può essere condivisa, in quanto contrastante con la stessa qualificazione della nozione di azienda ravvisabile nell’ordinamento civile.
Così come non corretto sostenere che, dato che quei beni risultano utili all’esercizio della propria attività per il cessionario, devono considerarsi ceduti anche relativi rapporti giuridici autorizzazioni, concessioni, licenze permessi di vario genere.
Piuttosto, manca in atti la dimostrazione della cessione di quel complesso di rapporti che accedono necessariamente ad un complesso organizzato di fattori della produzione, quali rapporti di gestione del personale addetto, rapporti di credito di debito con clienti fornitori, l’insegna, rapporti finanziari prima di tutto. ancora più visibilmente quanto all’avviamento, componente essenziale dell’esercizio di una attività di impresa, che quindi non potrebbe mai essere scissa dalla valutazione di qualsiasi azienda ramo di azienda, del quale invece mai nell’atto in questione si parla, né mai l’amministrazione finanziaria contesta compiutamente la effettiva valorizzazione del novero dei rapporti oggetto di (pretesa) cessione.
I beni così compravenduti non dimostrato abbiano un’autonomia produttiva funzionale, attuale potenziale, idonea qualificarli come azienda ai sensi dell’art. 2555 c.c.”.
Conseguentemente va confermata la sentenza impugnata che risulta immune da errori di diritto, vizi logici e ben motivata, con rigetto delt’appello proposto dall’Agenzia delle
entrate e di quello incidentale della parte appellata.
In considerazione delle ragioni della decisione, della parziale soccombenza reciproca e del rilievo della interpretazione di questioni di diritto, sussistono giusti motivi per la compensazione integrale delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria regionale di Roma rigetta l’appello dell’Agenzia delle entrate e della parte appellata. Spese compensate.