Dott. Luca Procopio
CTR Lazio n. 2334, depositata il 22.7.2020
La cessione totalitaria di partecipazioni azionarie non può essere riqualificata, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, in cessione di azienda.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, nell’accogliere il ricorso in appello proposto da un contribuente in qualità di parte acquirente di tutte le quote di una società a responsabilità limitata, ha statuito che l’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, nella versione novellata dall’art. 1, comma 87, lett. a), della Legge n. 205 del 2017, non può essere più brandito dall’Agenzia delle Entrate per riqualificare un’operazione di cessione totalitaria di partecipazioni societarie in cessione di azienda, con la conseguente infondata applicazione da parte della stessa Agenzia dell’imposta di registro in misura proporzionale in luogo di quella fissa, prevista espressamente per “gli atti pubblici e scritture private autenticate aventi per oggetto la negoziazione di quote di partecipazione in società” dall’art. 11 della Tariffa Parte I del D.P.R. n. 131 del 1986.
I giudici di seconde cure, nello specifico, hanno confermato, ai fini dell’imposta di registro, la natura di cessione totalitaria di partecipazioni dell’operazione rappresentata nell’atto depositato per la registrazione e la tassazione in misura fissa sulla base delle seguenti considerazioni:
- l’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, nella nuova formulazione recata dall’art. 1, comma 87, lett. a), della Legge n. 205 del 2017, stabilisce che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad essa collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”, con l’effetto di non consentire più la riqualificare dell’atto registrato dal contribuente sulla base di elementi esogeni all’atto medesimo;
- la modifica recata dal citato art. 1, comma 87, lett. a) si applica anche alle fattispecie concrete messe in atto precedentemente, in quanto essa, essendo stata qualificata come norma di interpretazione autentica dell’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 ad opera dell’art. 1, comma 1084, della Legge n. 145 del 2018, spiega effetti retroattivi.
TESTO DELLA SENTENZA
Commissione Tributaria Regionale Lazio n. 2334, depositata il 22.7.2020
Fatto e Diritto
Con ricorso notificato in data 17/11/2017 il sig. XXXXXXX impugnava l’avviso di liquidazione dell’imposta complementare n. 2017/XXXXXX emesso dall’Ufficio Territoriale di Roma XXX emesso ai sensi degli articoli 51 e 52 del D.P.R. n. 131 del 1986.
Con tale avviso di rettifica l’Ufficio aveva provveduto a riqualificare l’atto con il quale la società XXXXXXXSRL aveva ceduto al sig. XXXXXX il 100°/o del capitale sociale della società XXXXX S.r.l., ritenendo che nella fattispecie le parti avessero posto in essere una cessione d’azienda.
La ricorrente eccepiva la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del D.P.R.131/1986, la violazione dell’art. 10-bis, commi 4, 6 e 8 e dell’art. 7 della legge n. 212/2000 e l’assenza di alcuna azienda in capo alla XXXXX S.r.l.
Si costituiva in giudizio l’A.F. contestando puntualmente la tesi difensiva.
La CTP di Roma, che con sentenza n. 19895/09/18, depositata il 29/11/2018, ha respinto le richieste della ricorrente, confermando l’accertamento tributario.
Avverso tale decisione, la ricorrente ha presentato atto di appello chiedendone la riforma.
Con il primo motivo di gravame l’appellante rileva:
1. in via principale l’illegittimità e/o nullità dell’avviso di liquidazione impugnato per violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del TUR e per l’effetto annullarlo;
2. in via subordinata dichiarare la nullità dell’atto impugnato perché emesso in violazione dell’art. 10-6/5, commi 4, 6 e 8, Legge n. 212/200 nonché per il palese difetto di motivazione che lo connota e per l’effetto annullarlo;
3. in via ulteriormente subordinata: dichiarare l’illegittimità della riqualificazione operata per assenza di alcuna azienda in capo alla XXXXXXXX S.r.l. e per l’effetto annullare l’atto impugnato, con vittoria delle spese di giudizio.
Si costituisce in giudizio l’Ufficio e chiede il rigetto del ricorso in appello chiedendo in via principale di valutarne la ritualità e la tempestività.
Nel merito chiede il rigetto dello stesso e la conferma della sentenza impugnata con vittoria delle spese di giudizio.
L’appello è fondato e la sentenza impugnata va conseguentemente riformata.
Il Collegio osserva che l’art. 1, c. 1084, L. 30 dicembre 2018, n. 145 (“Legge di bilancio 2019”) così dispone: “L’art. 1, comma 87, lett. a) della L. 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’art. 20, comma 1 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131”. Il richiamato art. 1, c. 87, lett. a) della L. 27 dicembre 2017, n. 205 (“Legge di bilancio 2018”) così ha novellato l’art. 20 T.U.R.: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad essa collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
Quindi, la nuova formulazione dell’art. 20 T.U.R. non consente più di riqualificare gli atti sulla base di elementi esogeni.
La sostituzione della locuzione: “degli atti presentati” con la locuzione “dell’atto presentato” e l’integrazione in calce, hanno posto un importante argine all’interpretazione della natura dell’atto – oltre che degli effetti- che deve essere determinata esclusivamente da elementi contestuali all’atto stesso.
La precedente formulazione dell’art. 20 T.U.R., non era, quindi, solo “una norma interpretativa degli atti registrati”, bensì una “disposizione intesa a identificare l’elemento strutturale del rapporto giudico tributario” (Cass. n. 25001/2015) che dava prevalenza alla causa reale (“intrinseca natura” ed “effetti giuridici degli atti”) sull’assetto cartolare (“il titolo e la forma apparente”), mirando alla regolazione degli interessi realmente perseguita dalle parti – anche se attraverso ulteriori accordi extra-testuali – e segnatamente del risultato economico emergente dal collegamento tra più negozi (Cass. nn. 101804/2009, 15319/2013, 2713/2002 e 14900/2001), a prescindere da eventuali “intenti elusivi”(Cass., nn. 7335/2014 e 19752/2013).
Infatti, secondo la relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge della citata novella, “non rilevano, inoltre, per la corretta tassazione dell’atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte (non potrà, ad esempio, essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote)”.
Con l’altra novella introdotta dalla Legge Bilancio 2018 per l’articolo 53-bis, D.P.R. n. 131 del 1986, rubricato “Attribuzioni e poteri degli Uffici”, si restituisce all’art. 20 TUR l’originaria struttura di “imposta d’atto”, regolando -con rinvio all’art. 10-bis, L. n. 212 del 2000- ogni riqualificazione antielusiva, anche mediante atti collegati o elementi extra testuali, ove si ravvisi un abuso del diritto.
Il successivo intervento della Legge di bilancio 2019 sancisce apertis verbis l’efficacia retroattiva del novellato articolo 20 per tutti i rapporti non esauriti.
P.Q.M.
La CTR del Lazio, sez. 7, accoglie l’appello e condanna l’Ufficio al pagamento delle spese liquidate in€ 1.500,00, oltre accessori.
Così deciso in Roma il 10 febbraio 2020.