Il terzo trasportato non allaccia la cintura di sicurezza: c’è concorso di colpa?

Avv. Giuseppe Gentile

Cass. civ. Sez. III Ord., 30/01/2019, n. 2531

Il Principio della Cassazione

“…in caso di danni al trasportato medesimo, sebbene la condotta di quest’ultimo non sia idonea di per sé ad escludere la responsabilità del conducente, né a costituire valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili, essa può costituire nondimeno un contributo colposo alla verificazione del danno, la cui quantificazione in misura percentuale è rimessa all’accertamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato…”

IL CASO:

L’ipotesi analizzata dalla pronuncia in rassegna ha ad oggetto la domanda di risarcimento, per danni patrimoniali e non patrimoniali, di una persona trasportata a bordo di un veicolo coinvolto in un incidente stradale, che però non indossava la cintura di sicurezza.

In particolare, la terza trasportata con atto di citazione conveniva innanzi al Tribunale di Catanzaro la Gan Italia Assicurazioni S.p.A., nonché il proprietario dell’autovettura danneggiante ed il conducente del veicolo. In tale occasione, la terza trasportata chiedeva di accertare la responsabilità del conducente dell’autovettura nell’incidente e la condanna dei convenuti al pagamento della somma di Euro 25.800,00 a titolo di risarcimento danni per le lesioni personali subite ed i danni patrimoniali.

La Gan Assicurazioni si costituiva in giudizio e contestava, per quanto di interesse ai fini della presente trattazione, le pretese dell’attrice affermando che le lesioni si erano verificate per la determinante ed esclusiva responsabilità dell’attrice stessa che, al momento del sinistro, non indossava le cinture di sicurezza.

Il panorama giurisprudenziale di riferimento

La Suprema Corte, innanzitutto, ha posto a fondamento della propria decisione la giurisprudenza di legittimità elaborata su questo specifico argomento.

Più precisamente è stata richiamata la sentenza della Cass. n. 18177 del 2007 secondo cui: “In materia di responsabilità civile, in caso di mancata adozione delle cinture di sicurezza da parte di un passeggero, poi deceduto, di un veicolo coinvolto in un incidente stradale, si verifica un ipotesi di cooperazione nel fatto colposo quindi nell’azione produttiva dell’evento dannoso. In siffatte ipotesi, pertanto, è legittima la riduzione proporzionale del risarcimento del danno in favore dei congiunti della vittima.”.

Ciò risponde, peraltro, alla consolidata giurisprudenza di legittimità statuente che, qualora la messa in circolazione di un veicolo in condizioni di insicurezza è ricollegabile – oltre che all’azione o all’omissione del conducente, il quale deve controllare, prima di iniziare o proseguire la marcia, che questa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e sicurezza – anche al fatto del trasportato che ha accettato i rischi della circolazione, si verifica un’ipotesi di cooperazione colposa dei predetti nella condotta causativa dell’evento dannoso.

Pertanto, in caso di danni al trasportato medesimo, sebbene la condotta di quest’ultimo non sia idonea di per sè ad escludere la responsabilità del conducente, né a costituire valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili, essa può costituire nondimeno un contributo colposo alla verificazione del danno, la cui quantificazione in misura percentuale è rimessa all’accertamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato (Cass., 3, n. 4993 dell’11/3/2004; Cass., 3, n. 10526 del 13/5/2011; Cass., 3, n. 6481 del 14/3/2017).

Il principio di diritto della Cassazione

Sulla scorta delle esposte premesse in fatto e di diritto, la pronuncia in oggetto ha elaborato il seguente principio di diritto:

Il comportamento colpevole del danneggiato non può in ogni caso valere ad interrompere il nesso causale tra la condotta del conducente del veicolo e la produzione del danno nè vale ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili.
Può esservi, al più, concorso di colpa fra le parti, con riduzione percentuale del risarcimento del danno, ma non certo esclusione totale di responsabilità in capo al conducente del veicolo e del relativo obbligo risarcitorio.

La circostanza che vi sia una concausa nella produzione dell’evento di danno non esclude la concorrenza delle cause nella produzione del medesimo, nè consente di ritenere interrotto legittimamente il nesso causale tra la condotta del conducente e il danno.
In materia di sinistro stradale, il conducente é responsabile dell’utilizzo delle cinture di sicurezza da parte del passeggero, sicché la causazione del danno da mancato utilizzo è imputabile sia a lui che al passeggero.

La Cassazione con rinvio della sentenza impugnata

La sentenza portata all’esame della Suprema Corte, laddove ha escluso del tutto il nesso causale è stata giudicata non è conforme alla citata giurisprudenza sicché è stata cassata con rinvio.

Affinché il giudice del merito, in luogo di escludere il danno patrimoniale, lo riconosca e lo quantifichi, riducendo per simmetria l’importo del medesimo di una percentuale del 30%, pari a quella relativa al concorso di colpa della danneggiata nella produzione del danno alla persona.

Il concordo di colpa del danneggiato

In conclusione, anche per coloro che sono stati poco diligenti nell’adozione dei dispositivi di protezione della circolazione (cinture di sicurezza) non è negato in assoluto l’accesso alla tutela risarcitoria, potendo la loro condotta determinare, al più, un concorso di colpa, una concausa, nella produzione dell’evento dannoso.
Ciò che legittima una consequenziale riduzione proporzionale (da parte del giudice) dell’entità monetaria del risarcimento, valutato nella misura del 30% dalla sentenza in commento.

Testo dell’Ordinanza

Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 25-06-2018) 30-01-2019, n. 2531

I FATTI DI CAUSA

S.F., danneggiata quale terza trasportata in un incidente stradale occorso in (OMISSIS), convenne davanti al Tribunale di Catanzaro, con atto di citazione del 18/4/2004, la Gan Italia Assicurazioni S.p.A., G.O., proprietario dell’autovettura danneggiante e G.T., conducente, per sentir accertare la responsabilità della G. nell’incidente e la condanna dei convenuti al pagamento della somma di Euro 25.800,00 a titolo di risarcimento danni patrimoniali e non patrimoniali.

La Gan Assicurazioni si costituì in giudizio contestando la domanda e affermando che le lesioni si erano verificate per la determinante ed esclusiva responsabilità dell’attrice che, al momento del sinistro, non indossava le cinture di sicurezza.

Il Tribunale di Cosenza, con sentenza del 1/2/2012, accolse la domanda e condannò i convenuti al pagamento, in favore della S., della somma di Euro 7.721,00 a titolo di danno biologico oltre interessi compensativi sulla somma devalutata dal dì del sinistro e rivalutata fino alla data di pubblicazione della sentenza, oltre interessi legali e al pagamento della somma di Euro 16.385,30 a titolo di danno patrimoniale futuro, oltre interessi, previa detrazione della somma di Euro 4.500 già corrisposta a titolo di acconto.

La Groupama Assicurazioni, succeduta alla Gan Italia, propose appello denunziando la violazione dell’art. 111 Cost., artt. 132 e 161 c.p.c. per essere la sentenza carente di motivazione; per erronea valutazione delle prove testimoniali e della consulenza tecnica d’ufficio e per erronea ed eccessiva quantificazione del danno.

La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 6/6/2016 n. 923, a seguito di nuova CTU, per quel che ancora rileva in questa sede, ha rigettato il primo motivo, ritenendo che la sentenza avesse soddisfatto, sia pur in modo sommario, il requisito della sufficiente esposizione del fatto; ha rivalutato le prove, ritenendo che la S. aveva sbandato non solo per aver perso il controllo del mezzo ma anche a causa della ghiaia presente sul fondo stradale; ha preso atto delle risultanze della consulenza tecnica, secondo le quali vi era incompatibilità tra le lesioni riportate dalla danneggiata e l’uso delle cinture di sicurezza e, ritenuto tale comportamento rilevante ai sensi dell’art. 2056 c.c. e art. 1227 c.c., comma 2, in accoglimento del secondo motivo di appello, ha ridotto proporzionalmente il risarcimento, in ragione dell’entità del contributo causale della danneggiata alla produzione del danno, stimato nella misura del 30%, ed ha escluso il danno patrimoniale derivante dalla terapia ortodontica e protesica, riconducibile all’esclusivo comportamento della medesima. In parziale riforma della sentenza di primo grado a Corte territoriale ha riconosciuto, a titolo di danno biologico, la somma di Euro 5.404,70 già ridotta del 30% e comprensiva del danno morale, oltre interessi compensativi sulla somma devalutata e poi rivalutata per un totale, alla data del 10/2/2012, di Euro 6.418,90 con detrazione dell’acconto, per una somma residua di Euro 166,85, oltre interessi compensativi sulla somma rivalutata, per un totale di Euro 242,02 oltre interessi legali fino al saldo. Ha compensato tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Avverso quest’ultima sentenza S.F. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Nessuno resiste al ricorso.

Motivi della decisione

1.Con il primo motivo (nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. – vizio di ultrapetizione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)) censura la sentenza con riguardo alla modifica dell’importo riconosciuto a titolo di danno biologico, in assenza di espresse conclusioni dell’appellato in tale senso.

La sentenza avrebbe errato e sarebbe pertanto viziata da ultrapetizione perché la domanda dell’appellato era rivolta solo a rettificare l’importo dovuto a titolo di danno patrimoniale, mentre il Giudice è intervenuto sul quantum del danno non patrimoniale (biologico e morale), riducendone l’importo.

Peraltro, a conferma dell’assunto della ricorrente, si porrebbe il capo di sentenza d’appello che, con riguardo al terzo motivo di appello, relativo al danno morale liquidato in sentenza, aveva evidenziato l’omissione, nelle conclusioni, della riforma della sentenza di primo grado sul punto.

1.1 Il motivo è privo di fondamento, perché dà una lettura del tutto non giustificata delle conclusioni riportate nella sentenza.

E’ sufficiente rilevare che in prima battuta risulta chiesta la dichiarazione di nullità della sentenza, che evidentemente, non poteva che riguardare anche il profilo relativo al danno biologico.

In ogni caso, il motivo avrebbe dovuto dimostrare, con opportuni riferimenti al tenore dell’appello, che le argomentazioni giustificavano la lettura fatta dalla ricorrente quanto alle conclusioni, evidentemente equivoche.

2. Con il secondo motivo (violazione o falsa applicazione degli artt. 1227, 2043, 2054, 2055 e 2056 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)) la ricorrente censura il capo di sentenza che ha escluso il nesso di causalità tra il comportamento del conducente ed il danno patrimoniale occorso alla danneggiata, consistente nelle lesioni riportate e nella necessità di sottoporsi ad una terapia ortodontica e protesica.

La sentenza avrebbe errato nell’escludere il nesso causale tra la condotta della conducente e la produzione del danno e nel non rilevare che, pur in presenza di una riduzione del risarcimento dovuto al concorso di colpa del danneggiato, restava fermo il nesso causale tra la condotta del conducente ed il danno, come pure l’elemento soggettivo della colpa, intesa quale omissione di diligenza e prudenza.

2.1 Il motivo è fondato.

Il comportamento colpevole del danneggiato non può in ogni caso valere ad interrompere il nesso causale tra la condotta del conducente del veicolo e la produzione del danno né vale ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili.

Può esservi, al più, concorso di colpa fra le parti, con riduzione percentuale del risarcimento del danno, ma non certo esclusione totale di responsabilità in capo al conducente del veicolo e del relativo obbligo risarcitorio.

La circostanza che vi sia una concausa nella produzione dell’evento di danno non esclude la concorrenza delle cause nella produzione del medesimo, né consente di ritenere interrotto legittimamente il nesso causale tra la condotta del conducente e il danno.

Ne consegue, pertanto, che la sentenza avrebbe dovuto limitarsi a ridurre proporzionalmente il quantum risarcitorio piuttosto che escludere il nesso di causalità.

La corte territoriale non ha considerato che il conducente è responsabile dell’utilizzo delle cinture di sicurezza da parte del passeggero, sicché la causazione del danno da mancato utilizzo è imputabile sia a lui che al passeggero.

Si veda, al riguardo, Cass. n. 18177 del 2007: “In materia di responsabilità civile, in caso di mancata adozione delle cinture di sicurezza da parte di un passeggero, poi deceduto, di un veicolo coinvolto in un incidente stradale, verificandosi un’ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell’azione produttiva dell’evento, è legittima la riduzione proporzionale del risarcimento del danno in favore dei congiunti della vittima”.

Ciò risponde, peraltro, alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, qualora la messa in circolazione di un veicolo in condizioni di insicurezza è ricollegabile oltre che all’azione o all’omissione del conducente, il quale deve controllare, prima di iniziare o proseguire la marcia, che questa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e sicurezza anche al fatto del trasportato, che ha accettato i rischi della circolazione, si verifica un’ipotesi di cooperazione colposa dei predetti nella condotta causativa dell’evento dannoso.

Pertanto, in caso di danni al trasportato medesimo, sebbene la condotta di quest’ultimo non sia idonea di per sé ad escludere la responsabilità del conducente, né a costituire valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili, essa può costituire nondimeno un contributo colposo alla verificazione del danno, la cui quantificazione in misura percentuale è rimessa all’accertamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato (Cass., 3, n. 4993 dell’11/3/2004; Cass., 3, n. 10526 del 13/5/2011; Cass., 3, n. 6481 del 14/3/2017).

Accertamento che nella specie non è stato in alcun modo espresso e che anzi, se lo fosse stato, per evidenti ragioni di coerenza, avrebbe dovuto estrinsecarsi nel riconoscimento di una percentuale di responsabilità della danneggiata per la causazione del danno patrimoniale necessariamente similare a quella stessa per il danno alla persona, cioè del 30%.

La sentenza in esame, che ha escluso del tutto il nesso causale, non è pertanto conforme alla citata giurisprudenza e merita sul punto di essere cassata con rinvio, affinché il giudice del merito, in luogo di escludere il danno patrimoniale, lo riconosca e lo quantifichi, riducendo per simmetria l’importo del medesimo di una percentuale del 30%, pari a quella relativa al concorso di colpa della danneggiata nella produzione del danno alla persona.

3. Con il terzo motivo (omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5)) la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui non avrebbe considerato il fatto, non contestato tra le parti, che l’autovettura colpita da incidente fosse sprovvista di airbag, nonostante ciò avesse costituito argomento di discussione tra le parti: la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare tale elemento, concentrando la sua attenzione esclusivamente sul mancato allaccio della cintura di sicurezza.

3.1 Il motivo è inammissibile in primo luogo per difetto di specificità, atteso che non si evidenzia se l’airbag doveva esser presente sul veicolo ed eventualmente era stato rimosso e, prima ancora, se e dove la relativa questione era stata prospettata.

Sotto tale profilo il motivo pone una questione nuova, il che rende il motivo ulteriormente inammissibile in sede di legittimità.

4. Con il quarto motivo (violazione o falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)) censura la sentenza nella parte in cui avrebbe svolto un ragionamento presuntivo circa la compatibilità delle lesioni riportate dall’appellato con l’uso delle cinture di sicurezza mentre la difesa della S. aveva eccepito in ordine all’adeguatezza delle cinture.

4.1 Il motivo resta a questo punto assorbito in ragione dello scrutinio precedente.

5. Con il quinto motivo (violazione o falsa applicazione degli artt. 1281, 1282 e 1284 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)) si censura la sentenza nella parte in cui non avrebbe considerato la rivalutazione monetaria sulla somma residua da corrispondere alla S..

5.1. Il motivo è palesemente privo di fondamento, atteso che la sentenza ha correttamente applicato la decisione delle Sezioni Unite di cui a Cass., Sez. Un, n. 1712 del 1995, su un importo prima rivalutato.

6. Conclusivamente la Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e, rigettati o assorbiti gli altri, cassa in relazione e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigettati o assorbiti gli altri come in motivazione, cassa la sentenza in relazione e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Civile, il 25 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019

 

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