Avv. Pino Cupito
Partiamo da un punto fondamentale, la circostanza che un immobile sia “locato”, con un contratto di locazione regolarmente registrato, non impedisce al proprietario di poter liberamente disporre del proprio bene sia a titolo oneroso (vendita), sia a titolo gratuito (donazione), sia con una disposizione mortis causa (testamento).
Questo a prescindere dal tipo di contratto stipulato con il conduttore:
- locazione a “canone libero” (il classico 4+4);
- locazione a “canone concordato” (3+2 con canone predeterminato in base agli accordi collettivi).
Analogamente, per quanto concerne il versante del conduttore, il trasferimento dell’immobile locato non incide sulla sua locazione in atto.
Ciò significa che, in caso di vendita dell’appartamento in locazione, le pattuizioni contenute del contratto stipulato con il proprietario (ad es. canone, durata, migliorie, deposito cauzionale, addizioni, garanzie ecc…), continueranno ad essere efficaci anche nei confronti del nuovo proprietario dopo la vendita dell’immobile.
In linea con quanto detto si pone anche la normativa civilistica che all’art. 1602 del codice civile espressamente che: “Il terzo acquirente tenuto a rispettare la locazione subentra, dal giorno del suo acquisto, nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione.”.
Il conduttore può opporsi alla vendita?
Come già accennato in precedenza, il diritto del proprietario di vendere il proprio bene è assolutamente tutelato e quindi in nessun modo “ostacolabile” da parte del conduttore.
Questo è quanto espressamente chiarito anche dalla Corte di Cassazione secondo la quale, nell’ipotesi di trasferimento di un immobile precedentemente locato, si verifica una vera e propria “cessione del contratto di locazione ex lege” in favore del compratore nuovo proprietario del bene.
Ne consegue, che l’acquirente subentra nella medesima posizione del precedente proprietario e quindi anche nei diritti e negli obblighi derivanti dal contratto di locazione da quest’ultimo stipulato con il conduttore in data antecedente alla vendita.
Sul piano operativo, una volta conclusasi la compravendita, si renderà quindi necessaria una comunicazione al conduttore (ed eventualmente anche all’amministratore di condominio) per informalo dell’avvenuta cessione dell’immobile e per metterlo al corrente dell’esistenza di un nuovo proprietario.
È escluso quindi che il conduttore possa manifestare il proprio dissenso di fronte al diritto del proprietario di vendere l’appartamento nonché di fronte al subingresso dell’acquirente nei summenzionati diritti e doveri nascenti dal contratto di locazione.
Sul punto la Cassazione chiarisce infatti apertamente che, in una simile ipotesi, si assiste ad una vera e propria deroga ai principi generali in tema di cessione del contratto ex art. 1406 c.c. che invece richiederebbe di norma il consenso del contraente ceduto (Cass. Civ., Sez. 3, sent. n. 7696 del 16.04.2015; Cass. Civ., Sez. 3, sent. n. 13833 del 09.06.2010).
E tale deroga si giustifica per due evidenti ragioni.
- In primo luogo, si cerca di agevolare il più possibile la circolazione dei beni: un’eventuale diritto/facoltà del conduttore di “paralizzare” con il proprio dissenso la vendita dell’immobile, produrrebbe effetti gravissimi in termini economici in danno al proprietario.
- In secondo luogo, i diritti dell’inquilino (come anche i doveri), derivanti dalla locazione stipulata con il vecchio proprietario, resteranno invariati e ugualmente tutelati anche nei confronti del nuovo proprietario.
A ben vedere infatti, nel caso esaminato, la prestazione principale del locatore, ovvero la disponibilità ed il libero godimento dell’immobile in favore del conduttore, sarebbe in realtà già eseguita ed è per tali ragioni che quest’ultimo, una volta ricevuta la comunicazione di avvenuto passaggio di proprietà dell’immobile in suo possesso, dovrà provvedere al pagamento del canone pattuito in favore del nuovo proprietario.
Tutto ciò, si pone perfettamente in linea con il pacifico orientamento della Cassazione secondo il quale:
“In mancanza di una contraria volontà dei contraenti, la vendita dell’immobile locato determina la surrogazione, nel rapporto di locazione, del terzo acquirente che subentra nei diritti e nelle obbligazioni del venditore locatore senza necessità del consenso del conduttore, con la conseguenza che quest’ultimo è tenuto, di regola, a pagare i canoni all’acquirente, nuovo locatore, dalla data in cui riceve la comunicazione della vendita dell’immobile in una qualsiasi forma idonea, in applicazione analogica dell’art. 1264 c.c. in tema di cessione dei crediti.” (Cass. Civ., Sez. 3, sent. n. 674, del 14.01.2005).
Appare oltremodo evidente dunque la rilevanza pratica (ma anche giuridica) di una tempestiva comunicazione, nei confronti del conduttore, di avvenuta vendita dell’immobile, atteso che lo stesso potrebbe continuare “inconsapevolmente” a pagare il canone di locazione ancora in favore del vecchio proprietario che tuttavia ne frattempo non sarebbe più legittimato a riceverlo.
Il proprietario che vuol vendere, può recedere dal contratto di locazione?
Come abbiamo visto, il locatore intenzionato a cedere l’immobile locato potrebbe tranquillamente procedere alla vendita in favore dell’acquirente senza andare a toccare il rapporto di locazione con il proprio inquilino.
Ci sono però dei casi in cui il proprietario, oltre alla vendita, intenda “anche” arrivare alla chiusura della locazione.
Ma partiamo come sempre dalla legge.
L’art. 1612 c.c. attribuisce al locatore-proprietario dell’immobile la facoltà di recedere dal contratto per abitare il bene egli stesso.
Nello specifico la norma stabilisce che: “Il locatore che si è riservata la facoltà di recedere dal contratto per abitare egli stesso nella casa locata deve dare licenza motivata nel termine stabilito dagli usi locali”.
Dunque, affinché tale facoltà possa dirsi “attiva” è necessario che il locatore abbia espressamente riservato tale diritto in proprio favore a mezzo dell’inserimento di un’apposita clausola nel contratto di locazione.
In tal caso, il proprietario dovrà comunque provvedere a comunicare al conduttore, in forma specifica, le motivazioni del proprio recesso contrattuale anticipato.
Qualora invece nel contratto di locazione difetti una simile clausola, troverà applicazione l’art. 3 della Legge 431 del 1998.
Detta norma (che si pone come disciplina speciale rispetto a quella prevista dal codice civile) stabilisce che il locatore, “alla prima scadenza” (quindi dopo i primi 4 anni o dopo i primi 3 anni in caso di canone concordato), può “rifiutarsi” di rinnovare il contratto di locazione, dandone comunicazione al conduttore almeno “sei mesi” prima della scadenza del contratto stesso.
Ma attenzione, la norma aggiunge che per poter esercitare tale facoltà il locatore dovrà indicare (e quindi dimostrare al conduttore), nella predetta comunicazione, che sussiste uno dei seguenti “specifici motivi”:
- che il locatore intenda destinare l’immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio, del coniuge, dei genitori, dei figli o dei parenti entro il secondo grado;
- che il locatore intenda destinare l’immobile ad attività che perseguono finalità pubbliche, sociali, mutualistiche, cooperative assistenziali, culturali o di culto tali finalità e in tal caso dovrà offrire al conduttore altro immobile di cui abbia la piena disponibilità;
- che il conduttore abbia la piena disponibilità di un alloggio libero ed idoneo nello stesso comune;
- che l’immobile faccia parte di un edificio gravemente danneggiato da ricostruire o del quale deve essere assicurata la stabilità;
- che l’immobile si trovi in uno stabile da ristrutturare integralmente o da demolire o da trasformate radicalmente per realizzare nuove costruzioni;
- che l’immobile si trovi all’ultimo piano e il proprietario intenda eseguire sopraelevazioni;
- che il conduttore non occupa “continuativamente” l’immobile senza giustificato motivo;
- che il locatore intende vendere l’immobile a terzi e “non” abbia la proprietà di altri immobili “ad uso abitativo” oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione. In tal caso al conduttore è riconosciuto il “diritto di prelazione” ai sensi degli articoli 38 e 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
In assenza di tali motivazioni, il locatore non potrà in alcun modo manifestare al conduttore il proprio diniego al rinnovo del contratto alla prima scadenza e dunque non potrà recedere anticipatamente dal rapporto.
Ne consegue, nel caso qui esaminato, che il proprietario intenzionato a vendere l’immobile concesso in locazione potrà procedere alla chiusura del contratto soltanto se riesce a dimostrare l’esistenza dei requisiti soprindicati ed abbia altresì osservato le norme in tema di prelazione in favore del conduttore.
La mancanza dell’indicazione specifica di uno dei motivi sopra indicati, renderà completamente “nulla” la disdetta del locatore e quest’ultimo sarà tenuto eventualmente rinnovare l’atto.
Inoltre, al fine di esercitare correttamente il proprio diritto, il proprietario dovrà inviare all’inquilino la propria disdetta “almeno sei mesi prima della scadenza del contratto” ovvero sei mesi prima che siano scaduti i primi 4 anni di locazione.
Tale disciplina non troverà invece applicazione alla seconda scadenza contrattuale (la norma si riferisce solo alla “prima scadenza” di contratto).
In tale occasione, il locatore, sempre rispettando le modalità e i termini imposti dalla legge, potrà negare al conduttore il rinnovo contrattuale e quindi chiudere il rapporto locatizio.
Ma al conduttore spetta il diritto di prelazione?
Nel caso in cui il proprietario abbia intenzione di vendere a terzi l’immobile locato, la legge riconosce al conduttore il “diritto di prelazione” all’acquisto del bene.
Si tratta in particolare di un diritto che consente al conduttore di essere “preferito” (a parità di condizioni) nell’acquisto dell’immobile rispetto a terzi potenziali acquirenti.
Tuttavia, tale diritto non sorge a vantaggio del conduttore in via automatica.
Infatti, affinché possa sorgere detta prelazione, la norma sopra citata (art. 3, lettera g) L. 431/98) prevede espressamente che debbano sussistere i seguenti presupposti fondamentali:
- che il locatore “non” sia proprietario di altri immobili “ad uso abitativo” oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione;
- che locatore abbia comunicato al conduttore, almeno sei mesi prima della scadenza della locazione, sia la propria intenzione di non voler rinnovare il contratto, sia la volontà di vendere l’immobile locato a terzi.
In altri termini, il riconoscimento del diritto di prelazione in favore dell’inquilino non è previsto dalla legge sempre e comunque, ma soltanto nella limitata ipotesi in cui si siano verificate tre importanti circostanze:
a. il proprietario dell’immobile abbia intimato disdetta per la prima scadenza contrattuale;
b. il proprietario abbia comunicato di voler cedere la proprietà a terzi;
c. il proprietario non sia titolare di altri immobili ad uso abitativo oltre alla propria abitazione.
Sul punto la Cassazione ha infatti chiarito che:
“in caso di alienazione a terzi, successivamente alla intimazione della disdetta da parte del locatore, dell’immobile locato, in tanto sussiste il diritto di prelazione del conduttore e, quindi, il diritto di riscattare, nei confronti del terzo acquirente, l’immobile condotto in locazione, in quanto il locatore abbia manifestato, nella disdetta, la intenzione di vendere a terzi l’unità immobiliare. Al contrario, il diritto di prelazione (e di riscatto) non sorge qualora la disdetta sia immotivata, derivando da tale circostanza – accertato che la disdetta è stata, illegittimamente, intimata per la prima scadenza – unicamente il diritto del conduttore alla rinnovazione del contratto”, (sul punto v. Cass. n. 25450/2010).
È per tali ragioni che è importante soffermarsi anche sulle modalità con cui può dirsi validamente notificata detta comunicazione da parte del proprietario.
Ebbene, la legge (art. 38 della Legge 392/78) stabilisce che la stessa “non” possa essere notificata mediante una raccomandata a/r, ma deve esser notificata tramite ufficiale giudiziario e dovrà contenere chiaramente l’indicazione dei seguenti elementi:
- il corrispettivo della vendita espresso in danaro;
- le altre condizioni relative alla vendita (modalità e termini di pagamento, eventuali garanzie ecc…);
- la volontà del proprietario di vendere a terzi l’unità immobiliare locata;
- l’invito in favore del conduttore ad esercitare la prelazione.
E se la vendita avviene dopo la scadenza del contratto di locazione?
Immaginiamo che il contratto di locazione sia scaduto e che nonostante ciò l’inquilino non liberi l’immobile continuando a viverci dentro.
Sul punto vige un principio fondamentale per il quale, in mancanza di una contraria volontà delle parti, quando il proprietario vende l’immobile locato si verifica una cessione del contratto di locazione in favore del terzo acquirente, senza che il conduttore debba manifestare il proprio consenso e questo anche quando il contratto di locazione sia scaduto prima della vendita dell’immobile (Cass. Civ., Sez. 3, n. 674 del 14.01.2005; Cass. Civ. Sez. 3, n. 12883/2012).
Questo significa che per effetto della vendita passeranno in capo all’acquirente anche tutte le azioni a tutela dell’immobile locato (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 16383, del 18.07.2006).
Ovvia conseguenza di ciò è che l’acquirente potrà procedere con lo “sfratto per finita locazione” (ai sensi dell’articolo 657 c.p.c.) allo stesso modo in cui avrebbe potuto agire l’ex proprietario-locatore (Cass. Civ., Sez. 3, n. 5851, del 16.06.1994; Cass. Civ., Sez. 3, n. 12883/2012).
Può il nuovo proprietario sfrattare l’inquilino per inadempimenti precedenti alla vendita?
L’ipotesi tipica è quella del conduttore che, prima ancora che l’immobile locato sia stato venduto, risulti già moroso nei confronti del proprietario-locatore del bene, per non aver provveduto al regolare pagamento del canone di locazione.
Ebbene, anche con riguardo a tale ipotesi dobbiamo ribadire quanto poc’anzi accennato.
Con la vendita dell’immobile si verifica una cessione del contratto in virtù della quale il terzo acquirente subentra in tutti i diritti derivanti dal contratto di locazione e quindi anche nel diritto ad ottenere lo sfratto per una morosità verificatasi in data antecedente alla trasferimento di proprietà dell’immobile.
Sul punto la Cassazione è chiarissima nel sostenere che:
“L’acquirente di un immobile locato a terzi, in quanto cessionario “ex lege” del contratto di locazione e di tutti i diritti e le facoltà da esso scaturenti, è pienamente legittimato ad intimare al conduttore lo sfratto, a nulla rilevando né che la morosità fosse maturata prima della vendita dell’immobile, né che prima di tale momento la locazione fosse cessata per scadenza del termine.” (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 12883, del 24.07.2012).
Inoltre, anche l’eventuale tolleranza del precedente proprietario non esclude il diritto dell’acquirente (subentrato nel rapporto di locazione ex art. 1602 c.c.) di far valere “pregresse” violazioni del contratto da parte del conduttore allorché dette violazioni persistano anche dopo il giorno della vendita (Cass. Civ., Sez. 3, sent. n. 6598, del 11.06.1991).
Il conduttore ostacola il diritto di visita dell’immobile messo in vendita: ci sono conseguenze?
Occorre premettere che il “diritto di accesso” da parte del proprietario presso l’immobile concesso in locazione non risulta specificamente disciplinato dalla legge.
Soltanto in materia di “affitto” (e non di locazione) l’art. 1619 c.c. riconosce al proprietario un diritto di accesso stabilendo che: “Il locatore può accertare in ogni tempo, anche con accesso in luogo, se l’affittuario osserva gli obblighi che gli incombono”.
Molto dubbia è però l’applicazione di tale norma alle locazioni ad uso abitativo soprattutto ove si consideri che, in tale fattispecie, l’immobile locato diventa normalmente la residenza o comunque la dimora dell’inquilino il quale, per tali ragioni, potrà invocare il proprio “diritto alla riservatezza”.
Di norma, il diritto di accesso del proprietario viene disciplinato con un’apposita clausola all’interno del contratto di locazione prevedendo il più delle volte il rispetto di un obbligo di preavviso in forma scritta.
Ciò premesso ci si domanda se, nel caso qui esaminato, ovvero la vendita dell’immobile locato da parte del proprietario, il conduttore possa impedire l’accesso a quest’ultimo e dunque non consentire ai potenziali acquirenti di visitare l’unità abitativa da comprare.
Ebbene, sul punto la Corte di Cassazione ha già avuto modo di chiarire che il conduttore non può “ingiustificatamente” ostacolare le visite presso l’immobile in locazione (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 19543, del 30.09.2015).
Qualora lo facesse, dovrà considerarsi “inadempiente” ed incorrerà in un possibile risarcimento del danno nei confronti del proprietario-locatore.
Per la Corte, infatti, una simile condotta si pone in evidente contrasto con il principio di buona fede contrattuale atteso che l’“impedimento” generato dal conduttore in danno del proprietario rappresenta una circostanza di per sé idonea a pregiudicare sia le trattative con i potenziali acquirenti sia la vendita stessa.