Il no del Garante per la protezione dei dati personali al passaporto vaccinale

Avv. Francesca De Carlo


L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, lo scorso primo marzo, si è pronunciata in merito alla opportunità, sollecitata sia a livello europeo che a livello nazionale, di trovare soluzioni in grado di far conoscere lo stato di vaccinazione dei cittadini.

La Presidente della Commissione Europea, Von der Leyen, si è impegnata alla realizzazione di un passaporto vaccinale, il cosiddetto Digital Green Pass, in grado di dare prova della vaccinazione effettuata da parte del singolo cittadino e delle eventuali informazioni sulla guarigione da Covid-19.

Tuttavia il Garante ha espresso non poche preoccupazioni evidenziando che “i dati relativi allo stato vaccinale, (…), sono dati particolarmente delicati e un loro trattamento non corretto può determinare conseguenze gravissime per la vita e i diritti fondamentali delle persone: conseguenze, che, nel caso di specie, possono tradursi in discriminazioni, violazioni e compressioni illegittime di libertà costituzionali”.

Il Garante ritiene, perciò, che il trattamento dei dati riguardanti lo stato vaccinale dei cittadini per accedere a determinati luoghi o per poter usufruire di determinati servizi, debba essere oggetto di una norma ad hoc, in conformità ai principi in materia di protezione dei dati personali.

Inoltre, una normativa nazionale sulla materia, garantirebbe l’uniformità prescrizionale su tutto il territorio nazionale, ovviando al pericolo di ulteriori provvedimenti da parte dei Presidenti delle singole Regioni.

La Vice Presidente del Garante, intervenuta contestualmente con proprio comunicato, ha reso noto che l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, con risoluzione del 27 gennaio 2021, ha evidenziato che possono svilupparsi forme di discriminazione nei confronti di coloro che scelgono di non vaccinarsi, nel pieno esercizio della loro autodeterminazione (artt., 8 e 9 CEDU e art., 5 della Convenzione di Oviedo, sui diritti dell’uomo e la biomedicina).

Poichè la nostra Costituzione, all’art., 32, vieta ogni forma di trattamento sanitario obbligatorio, “non sono ammissibili forme alcune di discriminazioni, nel senso di limitazione e compressione di diritto in danno di soggetti che non abbiano ancora potuto vaccinarsi o rinunzino alla copertura vaccinale”.

La previsione di un pass e/o certificato o documento affine, recante informazioni sulla sottoposizione del cittadino al vaccino, secondo la Vice-presidente, “introdurrebbe, direttamente, un trattamento discriminatorio e sanzionatorio per i non vaccinati e, in forma surrettizia, l’obbligo del vaccino”.

Di seguito il testo del comunicato del Garante:

Con l’arrivo dei vaccini anti-Covid-19 si discute dell’opportunità di iniziare a implementare soluzioni, anche digitali (es. app), per rispondere all’esigenza di rendere l’informazione sull’essersi o meno vaccinati come condizione per l’accesso a determinati locali o per la fruizione di taluni servizi (es. aeroporti, hotel, stazioni, palestre ecc.).A tale proposito, nel caso si intenda far ricorso alle predette soluzioni, il Garante per la privacy richiama l’attenzione dei decisori pubblici e degli operatori privati italiani sull’obbligo di rispettare la disciplina in materia di protezione dei dati personali.

I dati relativi allo stato vaccinale, infatti, sono dati particolarmente delicati e un loro trattamento non corretto può determinare conseguenze gravissime per la vita e i diritti fondamentali delle persone: conseguenze che, nel caso di specie, possono tradursi in discriminazioni, violazioni e compressioni illegittime di libertà costituzionali.

Il Garante ritiene, pertanto, che il trattamento dei dati relativi allo stato vaccinale dei cittadini a fini di accesso a determinati locali o di fruizione di determinati servizi, debba essere oggetto di una norma di legge nazionale, conforme ai principi in materia di protezione dei dati personali (in particolare, quelli di proporzionalità, limitazione delle finalità e di minimizzazione dei dati), in modo da realizzare un equo bilanciamento tra l’interesse pubblico che si intende perseguire e l’interesse individuale alla riservatezza.

In assenza di tale eventuale base giuridica normativa – sulla cui compatibilità con i principi stabiliti dal Regolamento Ue il Garante si riserva di pronunciarsi – l’utilizzo in qualsiasi forma, da parte di soggetti pubblici e di soggetti privati fornitori di servizi destinati al pubblico, di app e pass destinati a distinguere i cittadini vaccinati dai cittadini non vaccinati è da considerarsi illegittimo.

La questione sarà oggetto di una prossima segnalazione al Parlamento”.

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