Il debitore si spoglia dei propri beni? Quello che c’è da sapere

Cosa accade nella prassi:

Molto spesso il debitore tenta di sottrarre il proprio patrimonio alle possibili aggressioni del creditore “spogliandosi” dei beni immobili di proprietà.

Malgrado le numerosissime pronunce giurisprudenziali, la pericolosità di tale comportamento elusivo viene ancora fortemente sottovalutata.
Soprattutto in ragione del fatto che nella maggior parte dei casi il debitore che “fugge” non sempre è realmente consapevole delle conseguenze giuridiche della sua condotta.

Per questo ancora molto diffusa è la convinzione che, a seguito del sorgere di un debito, sia sufficiente trasferire i propri beni ad un altro soggetto (normalmente un familiare o un conoscente) per schermarsi dinanzi alle pretese monetarie del proprio creditore.
Pensiamo ad esempio all’improvvisa e contestuale vendita di numerosi beni da parte del debitore.
Oppure al trasferimento di un immobile fatto da quest’ultimo in favore di un parente prossimo.

Quali sono le conseguenze?

Gravi conseguenze possono prodursi qualora tale stratagemma venga impiegato nelle ipotesi molto frequenti di debiti nei confronti del fisco.

Infatti l’eventuale donazione ad un parente prossimo o ad un amico di un bene qualsiasi da parte del “contribuente” debitore, effettuata con l’unico scopo di sottrarsi alle pretese tributarie dell’Agente della riscossione, costituisce reato di “sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte”.

Naturalmente affinché possa applicarsi in concreto la condanna penale sarà necessario che il debitore non abbia nel proprio patrimonio altri beni da sottoporre a pignoramento.
Inoltre, la logica di scappare dalle pretese creditorie, facendosi trovare incapiente patrimonialmente, non tiene conto dei possibili rimedi processuali concessi al creditore per tutelare la propria posizione, quali ad esempio l’azione revocatoria ordinaria.

In che cosa consiste?

Tale azione, disciplinata dagli artt. 2901 e ss. del codice civile, consente al creditore, ricorrendone le condizioni, di richiedere al giudice che siano dichiarati inefficaci nei propri confronti gli atti di disposizione con i quali il debitore ha sottratto i propri beni alla garanzia del debito.

L’azione revocatoria, costituisce in altri termini per il creditore un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale.
Essa rendere possibile la soddisfazione dei diritti di quest’ultimo consentendogli successivamente di agire con un’azione esecutiva sui beni che vengono alienati a terzi dal debitore che fugge.

Infatti, a seguito dell’alienazione dal parte del debitore di uno o più beni (quasi sempre beni immobili), il creditore potrà utilizzare siffatto rimedio processuale entro il termine di 5 anni.
Tale termine decorre dalla data dell’atto dispositivo che si intende revocare.

Ma ci sono dei limiti!

Ciò posto, occorre comunque sottolineare che il creditore non può in ogni caso agire in revocatoria.

  1. In effetti, per far dichiarare inefficace nei propri confronti l’atto di trasferimento del debitore, il creditore dovrà preliminarmente dare dimostrazione del pregiudizio che tale atto arrechi al proprio diritto di credito (c.d. eventus damni).
  2. In secondo luogo occorrerà dare prova anche dell’esistenza di un elemento di carattere soggettivo sia con riferimento alla persona del debitore sia in relazione al terzo soggetto coinvolto nell’atto di disposizione posto in essere.

Con particolare riferimento alla figura del debitore, il creditore dovrà provare la c.d. scientia damni, vale a dire la conoscenza ovvero addirittura di conoscibilità, da parte del debitore, del pregiudizio che l’atto da esso compiuto potrebbe causare alle regioni creditorie.

Si badi che non deve trattarsi necessariamente di una chiara intenzione di ledere alle ragioni del creditore, bensì è sufficiente l’esistenza di una situazione di semplice consapevolezza.

Addirittura in alcuni casi la giurisprudenza ha sancito che qualora l’atto da revocare sia stato posto in essere subito dopo una pronunzia che accerti l’esistenza di un debito in capo al debitore, non debba più tenersi conto dell’elemento soggettivo indicato, essendo sufficiente la sola prova dell’esistenza dell’eventus damni.

Alcune difficoltà operative

Molto più critica è la situazione qualora l’atto di disposizione del debitore sia a titolo oneroso.
In tale fattispecie il creditore procedente deve dare prova della c.d. scientia damni del terzo.
Vale a dire, che quest’ultimo sia anche solo genericamente consapevole del pregiudizio che l’atto posto in essere con il debitore sia potenzialmente in grado ledere gli interessi economici del creditore.

Anche in tal caso, la semplice “conoscibilità” da parte del terzo vale a consentire la proponibilità dell’azione per il creditore.
In altre parole, è sufficiente che il terzo, il quale insieme al debitore abbia compiuto l’atto, sia consapevole della circostanza per la quale, in tal modo, si stanno sottraendo le garanzie patrimoniali sulle quali faceva affidamento il creditore con una conseguente compromissione della realizzazione del credito.

Inoltre neanche la successiva vendita da parte del terzo ad un ulteriore acquirente esclude la predetta scientia fraudis.
Soprattutto qualora venga acclarata la consapevolezza del possibile pregiudizio che l’operazione immobiliare può comportare per il creditore.

L’onere della prova

L’onere di provare tutto quanto sopra indicato sarà chiaramente in capo al creditore procedente.
Molto spesso un indice importante da tener sotto attenzione è proprio il prezzo al quale viene venduto il bene dal debitore.
Non a caso tali alienazioni scontano un prezzo molto inferiore agli effettivi valori di mercato.

Il tutto chiaramente al fine di agevolare il transito del bene nel patrimonio del “terzo acquirente consapevole”.
Un’ipotesi particolare la possiamo ritrovare nell’ambito dei conferimenti immobiliari in società in fase di costituzione.
In tal caso infatti non essendo ancora nato il soggetto giuridico “società”, la Cassazione ha saggiamente sancito di dover andare a ricercare il c.d. consilium fraudis o la c.d. scientia damni nei soci fondatori quali eventuali compartecipi.

Un’ipotesi particolare

Occorre poi considerare l’eventualità in cui l’atto di disposizione anziché seguire il sorgere del debito precede l’assunzione del debito stesso.

Ebbene, l’art. 2901 c.c. richiede per gli atti a titolo oneroso che il debitore ponga in essere con dolo l’alienazione al fine di pregiudicare il soddisfacimento dei propri creditori.
Mentre nel caso in cui l’atto dispositivo sia a titolo gratuito, è del tutto ininfluente la valutazione circa l’esistenza dell’elemento soggettivo dell’altro contraente.

Una volta esperita l’azione revocatoria ed ottenuta la dichiarazione di inefficacia dell’atto dispositivo posto in essere dal debitore, il creditore non ottiene la titolarità dei beni oggetto del trasferimento immobiliare.
Egli sarà infatti soltanto autorizzato a promuovere le opportune azioni esecutive o conservative sui medesimi beni nei confronti dei terzi acquirenti.

In siffatta ipotesi il terzo contraente che quindi vanterebbe nei confronti del debitore ragioni di credito originate dal vittorioso esercizio dell’azione revocatoria, può concorrere sul ricavato della vendita beni soltanto dopo che il creditore abbia soddisfatto le proprie ragioni di credito.

Occorre tuttavia specificare che esperita vittoriosamente l’azione revocatoria essa non travolge l’atto di disposizione posto in essere dal debitore.
Il suo effetto è unicamente quello di produrre l’inefficacia del trasferimento nei soli confronti del creditore che ha agito giudizialmente.

Infine con il decreto legge n. 83 del 27 giugno 2015 è stato introdotto l’articolo 2929-bis.
Tale norma consente al creditore di procedere con l’azione esecutiva senza dover prima attendere l’esito dell’azione revocatoria.
È necessario tuttavia che l’atto pregiudizievole posto in essere dal debitore abbia per oggetto beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri e che sia stato compiuto a titolo gratuito in epoca successiva al sorgere del credito.
Sarà inoltre onere del creditore procedere necessariamente alla trascrizione del pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto.

In conclusione, pare dunque evidente come alle volte la mancata conoscenza circa le conseguenze del proprio agire possa per il debitore determinare conseguenze ben più nefaste di quelle pronosticabili.

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