La locazione stipulata da un solo comproprietario dell’immobile: quali effetti e quali tutele?

L’art. 1055 c.c. stabilisce che: “Tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere nell’amministrazione della cosa comune”.

Proprio in ragione di tale previsione codicistica, normalmente, il contratto di locazione di un bene in comproprietà viene stipulato “congiuntamente” da tutti i comproprietari locatori.
Tuttavia, molto spesso, sorgono aspre diatribe tra comproprietari sull’opportunità o meno di mettere in locazione il bene comune.
È agevole dunque comprendere che siffatti conflitti non favoriscono mai i comproprietari.
Questi ultimi, infatti, trovandosi in maggiori difficoltà economiche, nutriranno sempre grande interesse a mettere quanto prima a profitto l’immobile in comunione.

Se un comproprietario stipula la locazione all’insaputa degli altri che succede?

Non può negarsi che, nell’ambito delle comunioni ereditarie e delle comunioni ordinarie, accade molto spesso che ad occuparsi del bene comune sia soltanto uno dei comproprietari.
Quest’ultimo potrebbe dunque decidere di mettere a profitto l’immobile benché lo stesso detenga soltanto una quota di proprietà.

Ebbene, innanzitutto, pare opportuno chiarire da subito che il contratto di locazione di un bene appartenente a più persone può certamente essere sottoscritto anche da un solo comproprietario.

In altri termini, per la validità di tale contratto non è richiesta la firma congiunta di tutti i comproprietari del bene, sia esso di natura commerciale sia esso di natura abitativa.
Tantomeno si renderà necessario procedere a maggioranza di quote per la stipula della locazione.

In effetti, l’unica cosa che il comproprietario locatore dovrà garantire al conduttore è la disponibilità della bene locato ed il libero e pacifico godimento dello stesso.
A tali conclusioni si addiviene in quanto, secondo un orientamento giurisprudenziale abbastanza pacifico sul punto, in difetto di prova contraria, deve presumersi in capo a ciascuno dei comproprietari l’esistenza di pari poteri gestori.
Vale a dire che si presume che il comproprietario locatore agisca con il consenso tacito degli altri comproprietari dell’immobile.

Ne consegue dunque che il contratto concluso da uno solo dei comproprietari ed il conduttore è da ritenersi valido ed efficace sia nei confronti degli altri comproprietari sia verso il conduttore medesimo.

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Cosa accade se il dissenso degli altri comproprietari è manifestato dopo la stipula della locazione?

Per poter fornire una risposta esaustiva a tale quesito, si rende necessario delineare gli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali in materia.

Sul punto, si sono avvicendate diverse linee di pensiero sino ad arrivare alla nota sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 04.07.2012 n. 11135.

Secondo un primo orientamento, nel caso in cui la locazione venga stipulata da un solo comproprietario troverebbero applicazione le norme in materia di mandato senza rappresentanza.
Per tali ragioni, il comproprietario “non” locatore (nella qualità di mandante) potrebbe revocare il mandato ed esercitare, ai sensi dell’art. 1705 comma 2 c.c., tutti i diritti di credito che possono derivare dal contratto di locazione.

Inoltre, sarebbe legittimato ad agire in giudizio nei confronti del comproprietario che ha locato il bene comune, per ottenere la riscossione del canone e addirittura la risoluzione del contratto con il risarcimento dei danni.

Un secondo orientamento, sposato dalla sentenza della Cassazione sopra richiamata, considera più corretto ricondurre tale fattispecie, nello schema della gestione d’affari altrui.
Seguendo tale tesi, il contratto di locazione stipulato dal singolo comproprietario dell’immobile svolge pienamente i propri effetti.
E ciò anche quando il comproprietario/locatore abbia agito superando i limiti dai poteri che gli spetterebbero ai sensi dell’art. 1105 c.c..
In poche parole, ai fini della valida stipula del contratto di locazione sarebbe sufficiente per il singolo comproprietario avere la disponibilità della cosa locata e garantire al conduttore il pacifico godimento dell’immobile locato.

Conseguenza primaria di tale tesi giuridica è che il contratto, ovviamente, non potrà produrre i propri effetti nei confronti dei soggetti che non l’avranno sottoscritto e quindi nei confronti dei comproprietari dissenzienti.
Questi ultimi non potranno potrà invocare e/o acquistare qualsiasi attività o passività che possa derivare dal contratto di locazione non sottoscritto.
Del pari, ai comproprietari dissenzienti saranno precluse tutte le azioni giudiziarie connesse e/o derivanti dal contratto medesimo.
Dall’altro lato, il conduttore sarà tenuto ad adempiere fedelmente alla locazione siglata e a tutte le obbligazioni da essa cedenti a proprio carico.
Malgrado quanto sopra, è sempre consentito al comproprietario dissenziente si procedere ad una successiva ratifica del contratto originariamente avversato.

Proprio in linea con tali argomentazioni la Suprema Corte nella sentenza a Sezioni Unite di cui sopra ha espressamente chiarito quanto segue.
Cassazione a Sezioni Unite del 04.07.2012 n. 11135: …“il comproprietario locatore assumerebbe, infatti, le vesti del gestore d’affari e non del mandatario. Di conseguenza, così come correttamente viene riportato nell’iter motivazionale “ai sensi dell’art. 2031 c.c., comma 1, gli altri comunisti sono tenuti all’adempimento delle obbligazioni derivanti dalla stipula del contratto, salvo che il gestor abbia agito nonostante il divieto della maggioranza dei comproprietari o dell’altro titolare della medesima quota. L’assunzione delle obbligazioni contrattuali non determina, però, come nel mandato la contitolarità della posizione di locatori da parte dei comunisti. Essi non divengono parti del contratto stipulato dal gestore le violazioni, commesse da quest’ultimo, delle regole di formazione della volontà all’interno della comunione, non sono opponibili al terzo che resta vincolato, fino alla cessazione degli effetti del contratto, al regolamento d’interessi originario.
Questa prospettazione ha il vantaggio di tutelare l’affidamento del terzo nel regolamento d’interessi originariamente sottoscritto, in quanto solo dalla ratifica si determinano gli effetti propri del mandato (art. 2032 c.c.)”.

La tutela dei comproprietari dissenzienti

Malgrado il contratto di locazione stipulato dall’unico comproprietario resti valido ed efficace tra le parti, nei rapporti interni tra comproprietari le cose potrebbero non stare così.

A ben vedere, infatti, tutti i dissenzienti potrebbero agire in giudizio per l’ottenimento di un sentenza di condanna al risarcimento del danno nei confronti del comproprietario locatore sulla scorta di una serie di eccezioni di merito molto rilevanti.

  1. In primo luogo potrebbero eccepire che il canone di locazione non sia in linea con i valori di mercato relativi alle caratteristiche dell’immobile e dell’area cittadina nella quale lo stesso ricada.
  2. In secondo luogo potrebbero riuscire a dimostrare che il canone corrisposto dal conduttore sia molto più basso di quello offerto da altri soggetti nella fase preliminare delle trattative per la stipula della locazione.
  3. Ancora, potrebbero rilevate che condizioni contrattuali singolari e troppo favorevoli al conduttore e troppo sfavorevoli alla proprietà.
  4. Potrebbero eccepire l’esistenza di clausole contrattuale che prevedano la facoltà per il conduttore il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile locato con pregiudizio del valore dello stesso.
  5. Potrebbero ancore far emergere che le condizioni economiche del conduttore non sono confacenti alla locazione dimostrato il dissesto dello stesso (soggetto protestato, segnalato dalle banche come cattivo pagatore, soggetto pignorato etc…)

Malgrado tali possibili scenari giudiziali, è più che evidente che ogni situazione di fatto appena descritta dovrà essere puntualmente dimostrata dai comproprietari dissenzienti durante il processo.

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I comproprietari non locatori perdono il “possesso” del bene?

No.

La locazione del bene in comunione stipulata da uno solo dei comproprietari non può considerarsi come un atto di per sé idoneo a privare i comproprietari non locatori del “possesso” del bene.

Anche su tale punto si è infatti espressa a chiare lettere la Cassazione ribadendo un principio fondamentale.
Secondo la Corte, nel caso di comunione su un bene e quindi nel caso di compossesso sullo stesso, il godimento del bene da parte dei singoli comproprietari può essere tutelato, a mezzo della tutela possessoria, soltanto nell’ipotesi in cui un comproprietario abbia alterato e violato, senza il consenso degli altri e con pregiudizio, il bene o la sua destinazione.

Ciò in quanto tale condotta chiaramente impedisce o restringere il godimento dell’immobile da parte degli altri comproprietari.
La Corte precisa però che affinché possa invocarsi tale tutela si rende necessario che il comportamento del comproprietario si protragga nel tempo in modo da lasciar intendere che il suo possesso sia incompatibile con quello degli altri contitolari del bene.

Orbene, conclude la Cassazione, la mera stipula di un contratto di locazione da parte di un solo comproprietario potrà al più essere oggetto di una controversia relativa all’amministrazione del bene comune o al profitto generato.

E se il dissenso degli altri comproprietari è manifestano prima della stipula locazione?

Tutto quanto sopra esposto attiene all’ipotesi di un contratto di locazione stipulato da uno solo dei comproprietari all’insaputa degli altri.

Diverso è invece il caso, in una comunione, la maggioranza dei comunisti conosca l’intenzione della minoranza (o di un singolo comproprietario) di cedere in locazione ad un terzo il bene comune. In tale ipotesi detta maggioranza può opporsi a tale eventualità rendendo edotti sia il comproprietario che agisce materialmente per la stipula della locazione sia il terzo potenziale inquilino.

In tale ipotesi, quest’ultimo non potrà pretendere la conclusione del contratto con la conseguenza che il contratto medesimo, stipulato nonostante tale consapevolezza, è invalido per carenza di potere della parte concedente (il comproprietario avvisato).

Peraltro, come detto, la manifestazione di dissenso della maggioranza dei comproprietari o del comproprietario, determinerà la consapevolezza del potenziale inquilino in ordine alla mancanza di legittimazione alla stipula del contratto di locazione da parte della comproprietario/locatore.

Quindi, nel caso in cui il contratto venisse comunque stipulato si sarebbe in presenza di un concorso in malafede del conduttore nell’abuso compiuto dal comproprietario.

Tale evenienza costituirebbe certamente un fatto illecito e come tale generatore di un danno riconducibile in solido al conduttore e al comproprietario.

Il principio di cui sopra è stato anche ribadito sempre dalla Corte di Cassazione sul presupposto che “attraverso la presunzione del consenso, fondato sull’inerzia dei non partecipi all’atto, si limita, in concreto, l’applicabilità del principio maggioritario all’esercizio di un potere di veto, successivo all’atto di gestione del singolo, riducendo l’efficacia invalidante della mancanza preventiva della maggioranza alla sola ipotesi della prova del dissenso, conosciuto dal terzo, nella fase preparatoria e genetica dell’atto (Cass. Civ., sent. n. 480 del 2009)”.

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