Il conflitto di interessi dell’avvocato

Universolegge


Come sempre partiamo dalla norma.

L’art. 24 del codice deontologico forense stabilisce che:

“1. L’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.
2. L’avvocato nell’esercizio dell’attività professionale deve conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale.
3. Il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico.
4. L’avvocato deve comunicare alla parte assistita e al cliente l’esistenza di circostanze impeditive per la prestazione dell’attività richiesta.
5. Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale.
6. La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni. La violazione dei doveri di cui ai commi 2 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.”.

La ratio sottesa alla norma appena richiamata è certamente quella di assicurare che il mandato professionale venga svolto dall’avvocato nei confronti del cliente con assoluta libertà ed indipendenza.

Questo al fine di garantire che il rapporto fiduciario intercorrente tra il cliente e l’avvocato, nonché il vincolo di riservatezza che sussiste in tal caso, non possa mai essere messo in pericolo o leso da eventuali incarichi successivi assunti dall’avvocato stesso (come anche chiarito nel parere del CNF n. 48 del 20.4.2011).

Dunque l’avvocato si trova in conflitto di interessi quando:

1.Nell’ambito dell’esecuzione del suo incarico professionale sorgono conflitti con gli interessi del cliente stesso.

Esempio: l’avvocato assiste due soggetti che sono controparti in una o più situazioni o procedimenti che sono connessi tra loro.

Esempio: l’avvocato decide di assistere contestualmente il soggetto che assume in un procedimento penale le qualità di imputato e quello che invece rappresenta la persona offesa dal reato.

2.L’esecuzione delle attività del proprio incarico vanno ad interferire con lo svolgimento di un altro incarico ricoperto dall’avvocato ma diverso da quello forense ricevuto dal cliente.

Esempio: l’avvocato svolge il ruolo di amministratore in un condominio e al contempo decide di difendere uno dei condomini in una causa che vede coinvolto il condominio da sé stesso amministrato;

3.L’esecuzione del nuovo mandato compromette il segreto relativo ad informazioni che l’avvocato ha ricevuto dal proprio cliente.

Esempio: l’avvocato svolge il proprio incarico difensivo in favore di un soggetto ricevendo una serie di informazioni anche delicate e successivamente decide di difendere, nell’ambito della medesima vicenda, anche la controparte;

4.L’avvocato è a conoscenza della natura e/o delle qualità e/o dell’entità e/o delle modalità di gestione degli affari di una parte e queste informazioni possono avvantaggiare ingiustamente un altro soggetto assistito dall’avvocato medesimo.

Esempio: l’avvocato che nell’ambito di un procedimento penale difende l’imputato e al contempo o dopo utilizza tutte le informazioni ricevute nell’espletamento del proprio incarico per difendere anche un secondo imputato andando a danneggiare la difesa del primo assistito.

5.L’avvocato perde la propria indipendenza in quanto accetta l’incarico di difendere la parte avversa di un suo fidelizzato e storico cliente.

Dunque, alla luce di ciò, l’avvocato è sempre obbligato a svolgere il proprio mandato e le proprie attività difensive con assoluta indipendenza.

Deve altresì assicurarsi sempre di essere libero da qualsiasi pressione e/o condizionamento e se si presentano circostanze che impediscono il sereno, neutrale ed imparziale svolgimento delle proprie attività deve immediatamente comunicare al proprio cliente tali situazioni impeditive e rimettere il mandato eventualmente già ricevuto.

Tale atteggiamento, come ovvio è teso alla massima tutela del soggetto difeso.

Ed anche qualora il conflitto di interessi sia sopravvenuto, ovvero si presenti in un secondo momento e successivamente alla ricezione del mandato da parte del proprio cliente, l’avvocato non ha scelta: dovrà rimettere il mandato comunicando le ragioni di ciò al proprio assistito.

Conflitto di interessi effettivo e potenziale

L’orientamento giurisprudenziale prevalente che si era formato sotto il vigore della precedente norma ovvero l’art. 37 del codice deontologico, oggi sostituito (dal 2014) dal suddetto art. 24, sosteneva che la  condotta dell’avvocato, al fine di integrare un illecito disciplinare, presupponeva l’esistenza un conflitto di interessi “effettivo”.

Diversamente l’attuale art. 24 vieta all’avvocato qualunque tipologia di condotta che possa generare un conflitto di interessi anche solo “potenziale”.

In tal modo la norma vigente ha notevolmente ampliato la casistica degli illeciti disciplinari in materia.

Naturalmente benché si parli di conflitto potenziale anche tipologia di conflitto dovrà essere di volta in volta accertata e dimostrata.

Anche la costante giurisprudenza della Cassazione (n. 22882/2011), accolta e ribadita dal C.N.F., fornisce una lettura della norma sul conflitto di interessi molto rigorosa.

Nello specifico la Suprema Corte stabilisce che la norma sul conflitto di interessi mira ad evitare situazione che possano far dubitare della correttezza dell’operato dell’avvocato.

Quindi, perché si verifichi l’illecito, è sufficiente che “potenzialmente” l’opera di quest’ultimo possa essere condizionata da rapporti di interesse con la controparte.

Interessante è anche una vicenda che ha visto occupato il CNF i tema di conflitto di interesse potenziale. Ebbene, in tale vicenda il Consiglio ha concluso per l’inesistenza del conflitto di interessi con la seguente motivazione:

“Si ritiene che nel caso segnalato non sussista allo stato alcun conflitto di interessi. Infatti, lo stato di coniugio, che risulta da pubblici registri anagrafici, non può essere messo sullo stesso piano del mero legame sentimentale, ovviamente per quanto riguarda la conoscibilità di detto stato da parte dei terzi. In altre parole, mentre l’essere coniugato è un dato pubblico e facilmente accessibile, l’essere legato sentimentalmente ad altri non lo è, al di là della stabilità o meno del legame medesimo. Quindi, è ben possibile che l’avvocato che assume il mandato di una parte sia ignaro che un componente del suo studio sia legato sentimentalmente con il Collega che assiste la controparte, a meno che detto legame non sia reso pubblico mediante la coabitazione, cosa questa che però non emerge dalla richiesta di parere. Pertanto, il solo fatto dell’esistenza del legame sentimentale suddetto, non accompagnato da altri elementi, non può integrare di per sé un conflitto di interessi a carico di un avvocato che abbia assunto la difesa di un cliente la cui controparte sia un collega con il legame medesimo, tanto da ritenere integrato un illecito deontologico.”

L’incarico contro un ex cliente

L’art. 68 del codice deontologico stabilisce che:

“1. L’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale.
2. L’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza.
3. In ogni caso, è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito.
4. L’avvocato che abbia assistito congiuntamente coniugi o conviventi in controversie di natura familiare deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno di essi in controversie successive tra i medesimi.
5. L’avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura, e viceversa.
6. La violazione dei divieti di cui ai commi 1 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi. La violazione dei doveri e divieti di cui ai commi 2, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.”

Il Consiglio Nazionale Forense ha chiarito al riguardo che integra certamente una violazione dei doveri di lealtà, di correttezza e di fedeltà nei confronti del proprio cliente, e quindi rappresenta un illecito deontologico, la condotta dell’avvocato che una volta che ha dismesso il proprio mandato assume un secondo mandato contro il proprio precedente cliente (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 24 novembre 2016, n. 346).

Il conflitto di interessi dell’avvocato domiciliatario

Il Consiglio Nazionale Forense, con riferimento alla figura dell’avvocato domiciliatario, ha statuito che quest’ultimo deve uniformarsi ai doveri di lealtà, correttezza, imparzialità ed indipendenza.

Per tali ragioni il domiciliatario non può accettare un mandato che si ponga contro propri clienti.

A nulla rileva infatti che si tratti di procedimenti celebrati soltanto telematicamente mediante PCT e PEC ovvero con potenziale attività diretta del dominus. Tale intervento del dominus non esclude minimamente il conflitto di interessi, anche solo potenziale.

In altri termini, non è la modalità con cui si svolge la collaborazione fra colleghi in quanto ciò che conta ed ha rilievo è il rapporto di collaborazione continuativa e pubblica, tale da indurre chiunque a dubitare dell’autonomia di determinazione dei professionisti partecipi al sodalizio che si trovino a tutelare soggetti con posizioni opposte (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 31 dicembre 2016, n. 393).

Le sanzioni previste

In caso di violazione della norma deontologica sul conflitto di interessi, nei casi maggiormente gravi, l’avvocato può essere sospeso dall’esercizio della professione per un periodo che va da un anno a tre anni.

Qualora invece l’illecito disciplinare dell’avvocato non riguardi proprio una situazione di conflitto di interessi ma una omissione nei confronti del proprio cliente consistente nella mancata comunicazione a questi di circostanze impeditive all’espletamento dell’incarico, il difensore rischia l’applicazione della sanzione della censura.

Si evidenzia sul punto che le ipotesi in cui viene irrogata la censura sono quelle nelle quali nella stragrande maggioranza dei casi non si procede con l’applicazione di ulteriori sanzioni disciplinari.

 

Condivi con:
STAMPA