Avv. Mario Caliendo
Dopo l’ottenimento della archiviazione ottenuta dal GIP di Salerno, sulla scorta dei detti elementi di novità, il ricorrente ha presentato la istanza di aggiornamento del 27.7.2021, chiedendo alla Prefettura l’aggiornamento della sua posizione ed in particolare il rilascio del “nulla osta” a detenere le armi.
Ebbene la Prefettura di Caserta anziché vagliare tale decisivo elemento si è trincerato “dietro” elementi risalenti, senza alcuna storicizzazione degli stessi indizi e soprattutto senza in alcun modo valutare che dal 2003 in poi (19 anni fa!) non risultano altre frequentazioni o contatti del sig…. con il suo ex datore di lavoro o con altri pregiudicati. In pratica, la Prefettura valorizza oltremodo i medesimi indizi risalenti a periodi precedenti al primo provvedimento di rigore e datati 2003, senza neanche considerare il decisivo ed assorbente elemento che Caterino Michele non ha mai più avuto contatti con i sigg. Diana o con altri soggetti e che, a ben vedere, si è trattato di un rapporto di lavoro dipendente che il ricorrente ha prestato per la società edile per un unico cantiere nella Provincia di Salerno.
In altri termini, l’UTG doveva semmai valorizzare il dato che non risultassero altri contatti dopo il 2003 e non trincerarsi dietro dati neutri e già sterilizzati con la pronuncia del Giudice Penale che ha chiarito l’insussistenza di reati e comunque ha scartato la esistenza di fatti penalmente rilevanti commessi dall’attuale ricorrente.
Di qui, l’illogicità ed irrazionalità dei provvedimenti impugnati che trovano presupposto in frequentazioni/contatti risalenti a 19 anni fa.
Anche perché seguendo il ragionamento della Prefettura, il dato delle frequentazio-ni/contatti (nella spese aver prestato lavoro da dipendente a favore della Edil Tecno Fer s.r.l.) diverrebbe un elemento “ineliminabile” e non “aggiornabile” ai fini di una prognosi liberatoria ed è proprio per tale ragione che semmai, in sede di aggiornamento, il dato che doveva essere maggiormente valorizzato era quello semmai che il ricorrente non avesse proprio più avuto contatti con i sigg. Diana o con altri soggetti controindicati. Il che, peraltro, conferma l’episodicità del “contatto”, singolarità, l’unicità ed occasionalità del contatto che non può assurgere ad elemento di controindicazione, peraltro, con effetti sine die.
Il TAR di Napoli ha annullato evidenziando, tra l’altro, che: “..Orbene, con riguardo alla prima vicenda, in assenza di ulteriori fattori, non solo la stessa non appare (più) idonea a sorreggere il giudizio prognostico sulla pericolosità del soggetto, già titolare del revocato titolo da numerosi anni, ma neppure consente, in presenza di un fatto isolato non strettamente connesso all’utilizzo delle armi e/o alla loro detenzione (e, peraltro, non sostenuto dall’accertamento in sede penale successivo alla sua mera originaria rilevazione), di ritenere che il titolare della licenza abbia perso il possesso dei requisiti soggettivi, non offrendo più garanzia nel non abuso delle armi.
Può trovare applicazione il condivisibile orientamento della giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Piemonte, sez. I, 19/07/2018, n. 894) secondo cui ad un singolo ed isolato episodio di scarsa gravità non può conseguire automaticamente anche un divieto generale di detenzione delle armi nonché il mancato rinnovo della licenza.
A fronte dell’oggettiva tenuità del fatto, del suo effettivo sviluppo in sede penale, della sua occasionalità, oltre che della mancanza di ulteriori elementi sopravvenuti nel corso degli anni idonei a palesare una qualche reiterazione di comportamenti espressivi di inaffidabilità, risulta del tutto parziale l’istruttoria valorizzata dall’amministrazione, basandosi quest’ultima su un fatto isolato e collocato in un preciso e delimitato arco temporale (anno 2003), neppure fattualmente accertato in carenza di vaglio specifico in sede penale e di distinto vaglio in sede amministrativa, senza evidenziare profili di attualità cui ancorare la valutazione di inaffidabilità.
Il giudizio di inaffidabilità è rimesso alla valutazione discrezionale dell’amministrazione che deve, tuttavia, svilupparlo tenendo conto anche della situazione attuale, specie allorché, come nel caso in esame, gli elementi negativi a carico dell’istante si sostanziano in un unico episodio di cui sia stata accertata l’irrilevanza penale, in assenza peraltro di ulteriori condotte negative.
In tale contesto, il provvedimento risulta fondato su un’istruttoria parziale e reca una motivazione inadeguata, perché ancorata ad un fatto che, per gli elementi appena indicati, non si può giudicare espressivo dell’attuale inaffidabilità del ricorrente.
Orbene, ritiene il Collegio che il contestato episodio, considerato nella sua unicità, ma neppure valutato adeguatamente sotto il profilo della sua gravità, non sia tale da compromettere l’affidabilità del ricorrente in assenza di una concreta ed attuale valutazione del comportamento complessivo che faccia, cioè, riferimento non solo alla vicenda richiamata ma anche ad ulteriori precedenti o successivi atti idonei a fondare un ragionevole giudizio prognostico di pericolosità sociale e di possibile abuso.
Quanto, poi, alla frequentazione con persone contigue ad ambienti collegati alla criminalità organizzata, la resistente amministrazione si è limitata ad addurre che il ricorrente aveva intrattenuto rapporti lavorativi con soggetti inseriti in tali contesti delinquenziali, senza tuttavia supportare tale affermazione mediante una puntuale descrizione (occasionalità, continuità, unicità) e datazione (in epoca recente ovvero risalente nel tempo, come invece sostiene il ricorrente) di tali rapporti, non emergendo dagli atti del procedimento in esame il riscontro, sul piano oggettivo, di una stabile frequentazione e contiguità attuale del ricorrente con i predetti soggetti, cui possa collegarsi il paventato abuso del titolo autorizzatorio. Non vengono, in altri termini, allegate ulteriori e concrete circostanze di fatto tali da far emergere il potenziale vulnus alle condizioni di sicurezza e di incolumità delle persone per la possibile sottrazione o abusivo impiego dell’arma.
Né, sul piano soggettivo, vengono posti in rilievo precedenti penali a carico del ricorrente o una condotta di vita che sia segnata da episodi idonei a far dubitare della sua affidabilità o sintomatici di un’attuale e consolidata vicinanza ad organizzazioni criminali.
In fattispecie analoghe, la costante ed oramai consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato l’illegittimità del provvedimento di inibitoria “basato sul solo elemento soggettivo del rapporto di parentela, di affinità o lavorativo, senza indicare eventi e circostanze da cui possa derivare in fatto il periculum per omessa o insufficiente custodia”, ovvero che “dà rilievo unicamente al dato soggettivo del rapporto di frequentazione con soggetto nei cui confronti siano riscontrati pregiudizi e contiguità alla criminalità organizzata” (Cons. di Stato, III, sent. n. 2312/2014; IV, sent. n. 1671/2003; III, sent. n. 581/2014).
Si rende, pertanto, opportuna una aggiornata valutazione tale da integrare una motivazione più rigorosa, anche alla luce del provvedimento favorevole adottato all’esito del concluso procedimento penale, che investa, nel rispetto dei canoni di ragionevolezza e di coerenza, il complesso della condotta di vita, all’attualità, del soggetto interessato (T.A.R. Molise, 8.05.2015, n. 192 e 4.05.2015, n. 169)…”.
Sentenza per esteso: Pubblicato il 17/02/2022
N. 01079/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00088/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 88 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Mario Caliendo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Caserta, in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;
per l’annullamento:
1.- L’odierno ricorrente ha esposto che, con decreto n.15383 del 12 febbraio 2021, il Prefetto della Provincia di Caserta aveva emesso nei suoi confronti il divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti, ai sensi dell’art. 39 del T.U.L.P.S., reputando essere venuto meno il requisito dell’affidabilità in relazione al fatto che lo stesso era stato denunciato all’A.G. per delitti contro la Pubblica Amministrazione e per il trasferimento fraudolento di valori.
Premesso di non aver impugnato il suddetto provvedimento, il ricorrente ha riferito di aver successivamente presentato alla Prefettura di Caserta l’istanza volta a conseguire la revoca della misura interdittiva, evidenziando la mancanza di fondatezza ed attualità del giudizio sfavorevole in precedenza espresso sul suo conto, atteso che, da un lato, le predette denunce non avevano condotto ad alcuna pronuncia di condanna, in quanto il GIP presso il Tribunale di Salerno aveva disposto l’archiviazione nei suoi confronti, e, dall’altro, dalla vicenda oggetto del procedimento penale, avvenuta nell’anno 2003, non aveva avuto più rapporti con gli altri coimputati , cosicché dal casellario giudiziale non emergeva alcuna pendenza a suo carico.
Poiché, in data 6 dicembre 2021, la Prefettura di Caserta, pronunciandosi sull’istanza di riesame l’aveva respinto, adducendo a fondamento dell’adottato provvedimento di diniego la medesima vicenda penale oggetto della disposta archiviazione nonché i rapporti intrattenuti con gli altri coimputati nel medesimo procedimento, ritenuti “contigui” ad ambienti malavitosi, il ricorrente ha proposto il gravame in epigrafe.
In particolare, ha censurato la condotta dell’amministrazione deducendo l’erroneità della motivazione sia per violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 39 e 43 del Testo Unico delle Leggi di P.S. approvato con Regio decreto del 18 giugno 1931 n. 773, sia per violazione dei canoni di buon andamento, imparzialità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, stante il difetto di motivazione e di istruttoria.
Si costituiva l’avvocatura erariale per resistere alla proposta impugnazione.
Alla camera di consiglio del 8 febbraio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione, previo avviso di una sua possibile definizione in forma semplificata.
2.- In via preliminare, il Collegio dà atto che la presente controversia può essere definita in forma semplificata, ex art. 60 c.p.a., stante l’integrità del contraddittorio, l’avvenuta esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti nei propri scritti. Il ricorso è fondato e va accolto per le considerazioni che seguono, potendosi procedere alla congiunta disamina di entrambi i motivi articolati in ricorso stante l’evidente omogeneità censoria.
2.1.- Premette il Collegio di condividere l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa che riconosce, in materia di armi, la sussistenza di una ampia discrezionalità in capo all’Amministrazione. Tale discrezionalità deriva, sotto un primo profilo, dall’assenza, nel nostro Ordinamento, di posizioni di diritto soggettivo con riguardo alla detenzione ovvero al porto di armi, costituendo tali situazioni delle eccezioni al generale divieto di cui art. 699 c.p. e all’art. 4, c. 1, l. n. 110 del 1975; sotto altro profilo, dalla circostanza che, ai sensi degli art. 11, 39 e 43 del t.u.l.p.s., il compito dell’Autorità di P.S., da esercitare con ampia discrezionalità, non è sanzionatorio o punitivo, ma è quello cautelare di prevenire abusi nell’uso delle armi a tutela della privata e pubblica incolumità, sicché, ai fini della revoca dell’autorizzazione o, come nel caso qui in esame, del divieto di detenzione di armi e munizioni, non è necessario un obiettivo ed accertato abuso delle armi, bensì è sufficiente la sussistenza di circostanze che dimostrino come il soggetto non sia del tutto affidabile al loro uso.
Ferma restando l’ampia discrezionalità che connota il potere valutativo dell’amministrazione in materia, a tutela degli interessi primari della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, non può obliarsi che la discrezionalità deve essere esercitata in coerenza con la situazione di fatto, oggettivamente esistente, e mediante la formulazione di una congrua motivazione circa le ragioni, concrete ed attuali, dalle quali possa desumersi il rischio di un abuso delle armi.
In tema di divieto di detenzione e porto d’armi, o di revoca dei titoli autorizzativi, il potere discrezionale della pubblica amministrazione va esercitato nel rispetto dei canoni tipici della discrezionalità amministrativa, sia sotto il profilo motivazionale, sia sotto quello della coerenza logica e della ragionevolezza, dandosi conto in motivazione dell’adeguata istruttoria espletata al fine di evidenziare circostanze di fatto in ragione delle quali il soggetto sia ritenuto pericoloso o comunque capace di abusi.
Il pericolo di abuso delle armi deve essere comprovato e richiede un’adeguata valutazione non solo del singolo episodio, ma anche della personalità del soggetto sospettato, che possa giustificare un giudizio prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità, come in caso di personalità violente, aggressive o prive della normale capacità di autocontrollo (cfr. tra le altre, T.A.R. Campania – Salerno, sez. II, 01 giugno 2017, n. 994; T.A.R. Umbria, n. 97 del 23 gennaio 2017; T.A.R. Basilicata, n. 261 del 26 maggio 2015).
In altri termini, “i requisiti attitudinali o di affidabilità dei richiedenti tali licenze devono pur sempre essere desunti da condotte del soggetto interessato, anche diverse da quelle aventi rilievo penale e accertate in sede penale, ma devono essere significative in rapporto al tipo di funzione o di attività da svolgere, non essendo ammissibile che da episodi estranei al soggetto finiscano per discendere conseguenze per lui negative, diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge e non suscettibili, secondo una valutazione ragionevole, di rilevare un’effettiva mancanza di requisiti o di qualità richieste per l’esercizio delle funzioni o delle attività di cui si tratta, traducendosi così in una sorta di indebita sanzione extralegale” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 4 gennaio 2013, n. 120, e 14 gennaio 2014, n. 279).
La valutazione di segno negativo in ordine al possesso di detto requisito deve, in ogni caso, collegarsi a fatti e circostanze che, per la loro gravità, la reiterazione nel tempo, l’idoneità a coinvolgere l’intera vita familiare, sociale e di relazione dell’interessato, vengano a incidere su un piano di effettività sul grado di moralità e sull’assenza di mende ordinariamente esigibili per potere aspirare al rilascio della licenza di polizia” (Cons. di St., sez. III, 9.06.2014, n. 2907; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 8.01.2018, n. 114).
2.2.- Sinteticamente richiamati i principi giurisprudenziali alla luce dei quali esaminare l’odierna vicenda, emerge con evidenza che, nel caso in esame, l’Amministrazione non ha esercitato in modo esaurientemente motivato la propria discrezionalità.
Invero, gli esclusivi profili ritenuti fondativi della disposta revoca del titolo di polizia, menzionati nel provvedimento impugnato, attengono, da un lato, all’unico episodio per cui il ricorrente è stato deferito all’autorità giudiziaria per i reati contro la Pubblica Amministrazione, nonostante l’instaurato procedimento penale si fosse concluso con la sua archiviazione stante l’inconsistenza del fatto di reato; dall’altro, al rapporto di lavoro intrattenuto dal ricorrente con gli altri coimputati nel medesimo procedimento, ritenuti contigui ad ambienti malavitosi.
Orbene, con riguardo alla prima vicenda, in assenza di ulteriori fattori, non solo la stessa non appare (più) idonea a sorreggere il giudizio prognostico sulla pericolosità del soggetto, già titolare del revocato titolo da numerosi anni, ma neppure consente, in presenza di un fatto isolato non strettamente connesso all’utilizzo delle armi e/o alla loro detenzione (e, peraltro, non sostenuto dall’accertamento in sede penale successivo alla sua mera originaria rilevazione), di ritenere che il titolare della licenza abbia perso il possesso dei requisiti soggettivi, non offrendo più garanzia nel non abuso delle armi.
Può trovare applicazione il condivisibile orientamento della giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Piemonte, sez. I, 19/07/2018, n. 894) secondo cui ad un singolo ed isolato episodio di scarsa gravità non può conseguire automaticamente anche un divieto generale di detenzione delle armi nonché il mancato rinnovo della licenza.
A fronte dell’oggettiva tenuità del fatto, del suo effettivo sviluppo in sede penale, della sua occasionalità, oltre che della mancanza di ulteriori elementi sopravvenuti nel corso degli anni idonei a palesare una qualche reiterazione di comportamenti espressivi di inaffidabilità, risulta del tutto parziale l’istruttoria valorizzata dall’amministrazione, basandosi quest’ultima su un fatto isolato e collocato in un preciso e delimitato arco temporale (anno 2003), neppure fattualmente accertato in carenza di vaglio specifico in sede penale e di distinto vaglio in sede amministrativa, senza evidenziare profili di attualità cui ancorare la valutazione di inaffidabilità.
Il giudizio di inaffidabilità è rimesso alla valutazione discrezionale dell’amministrazione che deve, tuttavia, svilupparlo tenendo conto anche della situazione attuale, specie allorché, come nel caso in esame, gli elementi negativi a carico dell’istante si sostanziano in un unico episodio di cui sia stata accertata l’irrilevanza penale, in assenza peraltro di ulteriori condotte negative.
In tale contesto, il provvedimento risulta fondato su un’istruttoria parziale e reca una motivazione inadeguata, perché ancorata ad un fatto che, per gli elementi appena indicati, non si può giudicare espressivo dell’attuale inaffidabilità del ricorrente.
Orbene, ritiene il Collegio che il contestato episodio, considerato nella sua unicità, ma neppure valutato adeguatamente sotto il profilo della sua gravità, non sia tale da compromettere l’affidabilità del ricorrente in assenza di una concreta ed attuale valutazione del comportamento complessivo che faccia, cioè, riferimento non solo alla vicenda richiamata ma anche ad ulteriori precedenti o successivi atti idonei a fondare un ragionevole giudizio prognostico di pericolosità sociale e di possibile abuso.
Quanto, poi, alla frequentazione con persone contigue ad ambienti collegati alla criminalità organizzata, la resistente amministrazione si è limitata ad addurre che il ricorrente aveva intrattenuto rapporti lavorativi con soggetti inseriti in tali contesti delinquenziali, senza tuttavia supportare tale affermazione mediante una puntuale descrizione (occasionalità, continuità, unicità) e datazione (in epoca recente ovvero risalente nel tempo, come invece sostiene il ricorrente) di tali rapporti, non emergendo dagli atti del procedimento in esame il riscontro, sul piano oggettivo, di una stabile frequentazione e contiguità attuale del ricorrente con i predetti soggetti, cui possa collegarsi il paventato abuso del titolo autorizzatorio. Non vengono, in altri termini, allegate ulteriori e concrete circostanze di fatto tali da far emergere il potenziale vulnus alle condizioni di sicurezza e di incolumità delle persone per la possibile sottrazione o abusivo impiego dell’arma.
Né, sul piano soggettivo, vengono posti in rilievo precedenti penali a carico del ricorrente o una condotta di vita che sia segnata da episodi idonei a far dubitare della sua affidabilità o sintomatici di un’attuale e consolidata vicinanza ad organizzazioni criminali.
In fattispecie analoghe, la costante ed oramai consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato l’illegittimità del provvedimento di inibitoria “basato sul solo elemento soggettivo del rapporto di parentela, di affinità o lavorativo, senza indicare eventi e circostanze da cui possa derivare in fatto il periculum per omessa o insufficiente custodia”, ovvero che “dà rilievo unicamente al dato soggettivo del rapporto di frequentazione con soggetto nei cui confronti siano riscontrati pregiudizi e contiguità alla criminalità organizzata” (Cons. di Stato, III, sent. n. 2312/2014; IV, sent. n. 1671/2003; III, sent. n. 581/2014).
Si rende, pertanto, opportuna una aggiornata valutazione tale da integrare una motivazione più rigorosa, anche alla luce del provvedimento favorevole adottato all’esito del concluso procedimento penale, che investa, nel rispetto dei canoni di ragionevolezza e di coerenza, il complesso della condotta di vita, all’attualità, del soggetto interessato (T.A.R. Molise, 8.05.2015, n. 192 e 4.05.2015, n. 169).
Sulla base delle sovraesposte considerazioni, il ricorso è, quindi, meritevole di accoglimento per difetto di istruttoria e di motivazione, cosicché va disposto l’annullamento del provvedimento gravato ai fini di un motivato riesame da parte dell’Amministrazione, da condursi sulla scorta dei principi sopra richiamati.
3.- Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini indicati in motivazione;
condanna la resistente amministrazione al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 1000,00 (mille/00), oltre accessori di legge, con attribuzione a favore dell’avvocato antistatario.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2022 con l’intervento dei magistrati: