La stipula di un contratto di locazione, per uso abitativo o per un uso diverso, può (anzi deve) prevedere un deposito cauzionale.
Ma a cosa serve? Qual è la sua funzione?
Il deposito cauzionale serve a garantire il locatore dall’inadempimento del conduttore rispetto ai canoni di locazione, ai danni cagionati all’immobile, al ripristino del bene nello stato di fatto in cui è stato consegnato.
Ne discende che la funziona tipica è quella di garantire l’esatto adempimento del conduttore in linea generale.
Il conduttore non può decidere di evitare di pagare alcuni canoni e sostenere che ha versato il deposito cauzionale, perché il suo diritto sorge solo dopo che il rapporto di locazione è terminato. Quando termina il rapporto, può chiedere la restituzione del deposito con gli interessi.
Ne discende, quale ragionamento logico-giuridico, che il conduttore, prima della risoluzione del contratto di locazione, può subire uno sfratto per morosità anche se ha il valore di tre canoni di locazione a titolo di deposito cauzionale.
Per contro, il deposito cauzionale deve essere restituito dal locatore, dopo la risoluzione del contratto e dopo che è stato redatto il verbale di consegna dell’immobile, salvo che non proponga domanda giudiziale volta richiedere canoni di locazione o specifici danni.
Quindi se non vi è domanda giudiziale anche in presenza di canoni di locazione non pagati, salvo accordo tra le parti, il locatore deve restituire la cauzione.
La Corte di Cassazione, sul punto innanzi indicato, ha statuito che “l’obbligazione del locatore di restituire al conduttore il deposito cauzionale dal medesimo versato in relazione gli obblighi contrattuali sorge al termine della locazione non appena avvenuto il rilascio dell’immobile locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dell’immobile da parte del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti, il conduttore può esigerne la restituzione (sentenze 15 ottobre 2002, n. 14655, e 21 aprile 2010, n. 9442)” (Cass. 25 febbraio 2015 n. 3882).