Dott. Luca Procopio
CTR LAZIO n. 2621 del 17.09.2020
È radicalmente illegittimo l’accertamento analitico-induttivo basato sullo strumento del c.d. “bottigliometro” laddove, nel periodo di imposta oggetto di accertamento, la competente Autorità amministrativa aveva vietato in modo assoluto l’utilizzo di acqua corrente nelle cucine dei pubblici esercizi.
L’Agenzia delle entrate emetteva, per il periodo di imposta 2014, un avviso di accertamento nei confronti di una società di persone esercente l’attività di ristorazione, con cui rideterminava i ricavi di quest’ultima sulla base del metodo analitico – induttivo, utilizzando lo strumento del c.d. “bottigliometro”, ossia il volume di litri di acqua imbottigliata acquistata nel medesimo anno, attribuendo, nello specifico, mezzo litro di acqua ad ogni coperto.
Il contribuente, sin dal primo grado del giudizio, ha dedotto che nella fattispecie concreta in esame l’utilizzo da parte dell’Ufficio impositore di tale tecnica accertativa era illogico e irrazionale alla luce della circostanza, ampiamente documentata e ricorrente nell’anno oggetto dell’accertamento, del «divieto assoluto di uso di acqua corrente nelle cucine dei pubblici esercizi, e quindi del rilevantissimo numero di bottiglie di acqua minerale destinate a “cottura, reidratazione e ricostituzione di alimenti” e in genere alla “preparazione di alimenti e bevande”, stante il divieto d’uso dell’acqua corrente disposto dall’Autorità per l’eccessiva presenza di arsenico (cfr. ordinanza commissariale n. 130 del 17/04/2014 in atti)».
La CTP di Roma, in considerazione della suddetta deduzione difensiva, si è limitata ad un accoglimento parziale del ricorso, ritenendo che il 40% della quantità di acqua minerale acquistata dalla società ricorrente doveva considerarsi utilizzata per altri usi diversi dal consumo da parte della clientela.
La CTR Lazio, a seguito del ricorso in appello spiegato dalla società contribuente e pur consapevole dei poteri, da parte del giudice tributario, di rideterminazione della maggiore imposta accertata in virtù della specifica natura del processo tributario, annoverabile tra i giudizi di “impugnazione-merito” e non di “impugnazione-annullamento”, ha ritenuto di dover annullare integralmente l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate.
Nello specifico, i giudici di seconde cure, muovendo dalla circostanza, documentata ampiamente e non contestata dall’Ufficio impositore, che nell’anno oggetto di accertamento la competente Autorità amministrativa aveva imposto il divieto assoluto di utilizzare l’acqua corrente nelle cucine dei pubblici esercizi, in quanto non potabile per la eccessiva presenza di arsenico, hanno osservato che nella fattispecie concreta esaminata lo strumento accertativo analitico-induttivo del “bottigliometro” risulta in radice illogico, irrazionale e, quindi, inattendibile, giacché, in conseguenza dell’impossibilità di utilizzare l’acqua corrente nella preparazione dei piatti, vi era l’obbligo per i ristoratori di utilizzare l’acqua minerale in bottiglia per usi diversi rispetto a quelli strettamente alimentari da parte della clientela.
La sentenza emessa dai giudici di prime cure, pertanto, è stata riformata in quanto essi, limitandosi a ridurre i maggiori ricavi accertati, hanno «sostanzialmente riprodotto, negli effetti, le risultanze dell’accertamento, come si è detto, illogiche», non cogliendo che, nella fattispecie concreta in esame, alcuna valenza presuntiva poteva essere attribuita al consumo di bottiglie di acqua minerale all’interno dell’attività di ristorazione.
Testo della Sentenza
Commissione Tributaria Regionale LAZIO n. 2621 del 17.09.2020
Fatto e diritto
[Omissis]
7.Ciò non toglie che le osservazioni fatte valere dai contribuenti si riverberino (fondatamente) sulla legittimità dell’accertamento in relazione, in particolare, alla tesi della difesa dei contribuenti che contestano, in radice, l’attendibilità del criterio impiegato dall’Agenzia per la ripresa a tassazione di maggiori ricavi, incentrata, com’è, sul metodo c.d. “bottigliometro”, metodo in astratto legittimo (si veda anche Cass. n. 17408/2010, citata pure nel pvc), ma nella specie contraddetto dall’omessa considerazione (oltre che delle variabili stagionali) soprattutto della circostanza, risultante per tabulas, dell’emanazione, nel periodo esaminato, dall’ordinanza commissariale n. 130 del 17/04/2014 (in atti) di divieto assoluto dell’acqua corrente (in quanto non potabile per la eccessiva presenza di arsenico) nelle cucine dei pubblici esercizi (nonché dalle non contestate ordinanze comunali n. 554 del 31/12/2012, nn. 10 del 13/01/2015 e 327 del 28/08/2015):
donde, l’obbligo dell’utilizzo di acqua confezionata anche per usi diversi rispetto a quelli strettamente alimentari da parte della clientela, con conseguente illogicità e irrazionalità dell’applicazione del suddetto metodo nel caso di specie caratterizzato dalle suddette particolari ed anomale circostanze.
Invero a fronte di non esigui ricavi dichiarati dalla società pari ad euro 118.291,32 e quindi di un non esiguo numero di bottiglie destinate alla clientela, la imputazione operata dall’Ufficio dell’intero numero di bottiglie di acqua minerale acquistate (n. 9276) a parametro di ricostruzione presuntiva degli effettivi ricavi conseguiti dalla società secondo il metodo induttivo definito “bottigliometro” (vale a dire il volume di litri di acqua imbottigliata acquistata nel periodo, attribuita ad un coperto per ogni mezzo litro) appare del tutto illogica ed irrazionale in presenza della circostanza – dedotta dai contribuenti fin dalle osservazioni al PVC e mai presa in considerazione dall’Ufficio (nèppure nelle controdeduzioni in questo grado) – della presenza del divieto assoluto di uso di acqua corrente nelle cucine dei pubblici esercizi, e quindi del rilevantissimo numero di bottiglie di acqua minerale destinate a “cottura, reidratazione e ricostituzione di alimenti” e in genere alla “preparazione di alimenti e bevande”, stante il divieto d’uso dell’acqua corrente disposto dall’Autorità per l’eccessiva presenza di arsenico (cfr. ordinanza commissariale n. 130 del 17 /04/2014 in atti).
7.1, Per chiarezza anche con riferimento al decisum della CTP che ha ritenuto di rideterminare la ricostruzione dei ricavi innalzando al 40% la riduzione del 30% operata dall’Ufficio dei ricavi accertati, deve aggiungersi come nel pvc si dia atto (come sopra accennato) della sentenza Cass. n. 17408/2010 sulla legittimità del metodo del cd. “bottigliometro” (in quanto il consumo dell’acqua minerale deve ritenersi un ingrediente fondamentale, se non addirittura indispensabile, nelle consumazioni effettuate sia nel settore del ristorante che della pizzeria, più di altri elementi – gas, elettricità, tovaglie e tovaglioli o dal numero di coperti disponibili, dal personale dipendente e dai prezzi praticati-), riportando il pvc altresì il passaggio motivazionale dei giudici di legittimità, secondo cui “la quantità di acqua minerale è particolarmente eccedente in quantità da quella che mediamente può essere consumata dal singolo avventore, tenuto anche conto di una percentuale, calcolata [dalla C. T.R.] nella misura del 30%, per dispersione per usi vari”.
Tuttavia, diversamente da quanto supposto nella sentenza della CTP, nel pvc non risulta operato detto abbattimento del 30% “per dispersione per usi vari”, posto che i maggiori ricavi di euro 119.513,32 dati dalla differenza tra i ricavi dichiarati (euro 118.291,32) e quelli accertati in base al numero delle bottiglie acquistate dal ristorante (pari a n. 9276, con conseguenti ricavi accertati pari ad euro 237.804,54) sono stati contestati nella loro interezza (come anche nel successivo avviso di accertamento), senza operare alcuna riduzione percentuale.
7.2. Chiarito ciò, se l’abbattimento del 30% dell’accertato secondo il metodo c.d. “bottigliometro” è considerato normale anche dallo stesso Ufficio, in quanto connaturato “per dispersione per usi vari” (anche se poi non computato), deve ribadirsi che le risultanze dell’applicazione al caso di specie del suddetto metodo calcolato sul consumo di bottiglie di acqua minerale risultano del tutto viziate da irrazionalità ed illogicità (vanificandone in concreto ogni valenza presuntiva idonea a disattendere la contabilità formalmente corretta), in presenza cioè di divieto assoluto di uso dell’acqua corrente (in quanto non potabile) nelle cucine dei pubblici esercizi.
In ragione di tale preliminare ed assorbente rilievo in ordine alla inattendibilità o insufficienza del metodo seguito dall’Ufficio, questo Collegio, pur consapevole dei poteri, da parte del giudice tributario, di rideterminazione dell’accertato (trattandosi di giudizio, quello tributario, di “impugnazione-merito”), non ritiene, quindi, di confermare sotto tale profilo la sentenza appellata, che, ritenendo invece legittimo il metodo induttivo adottato (c.d. “bottigliometro”), ha sostanzialmente riprodotto, negli effetti, le risultanze dell’accertamento, come si è detto, illogiche irrazionali nel caso di specie (avendo la CTP ritenuto che la riduzione accordata dall’Ufficio sugli acquisti di bottiglie da questo operata nella misura del 30% per “dispersione per usi vari”, dovesse essere aumentata di 10 punti percentuali e così portata al 40% pure in considerazione dell’ordinanza comunale di divieto assoluto di uso dell’acqua corrente, in quanto non potabile, nelle cucine dei pubblici esercizi).
8.L’appello va dunque accolto sotto tale profilo (con conseguente annullamento dell’accertamento), risultando assorbito l’esame degli ulteriori motivi, ivi compresi quelli con i quali si deduce l’illegittimità dell’accertamento sotto il profilo della ritenuta parziale inattendibilità delle scritture contabili dei contribuenti in quanto – si asserisce nell’appello – incongruamente fondato su dati extracontabili, quali un’agenda delle prenotazioni solo parziale e incompleta; si ribadisce invero il principio secondo cui “in tema di accertamento presuntivo del reddito di impresa, a norma dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è legittimo l’accertamento che ricostruisca i ricavi di un’impresa di ristorazione [nella fattispecie sulla base del numero dei tovaglioli utilizzati, risultante dalle ricevute di lavanderia], sempreché l’esito del metodo adottato non confligga con le possibilità teoriche di servizio dell’esercizio commerciale, in quanto in tale ipotesi viene meno l’attendibilità nel suo complesso della metodologia di accertamento, dato, quest’ultimo, la cui dimostrazione grava sull’Amministrazione, perché solo a seguito della valutazione di sufficienza della medesima metodologia, l’onere della prova si trasferisce sul contribuente” (Cass. n. 13068/2011) – come sopra osservato, nella fattispecie il Collegio ha ritenuto appunto di ravvisare una inattendibilità o insufficienza nel suo complesso della “metodologia di accertamento” seguita dall’Ufficio -.
9.In ordine al regime delle spese di lite da valutare secondo l’esito definitivo del giudizio e quindi secondo il criterio della totale soccombenza, l’Agenzia va condanna al rimborso delle stesse liquidate come da dispositivo.
Per questi motivi
in accoglimento del ricorso in appello, annulla l’avviso di accertamento impugnato; condanna
l’Agenzia delle entrate al rimborso, in favore dei contribuenti, delle spese del doppio grado di giudizio, che si liquidano in complessivi € 6.000,00, comprensivi del rimborso forfettario delle spese generali, oltre ad € 240,00 per spese, da distrarsi in favore dei difensori dichiaratisi antistatari.