Dott. Luca Procopio
Un contribuente, esercente l’attività di medico di medicina generale convenzionato con il SSN, provvedeva al pagamento rateale dell’IRAP richiesta bonariamente dall’Agenzia delle entrate con le “comunicazioni di irregolarità” (cc.dd. “avvisi bonari”) emesse, in relazione a diversi periodi di imposta, a conclusione delle attività di controllo “automatico” e “formale” previste, rispettivamente, dagli artt. 36 bis e 36 ter del D.P.R. n. 600 del 1973.
Successivamente all’effettuazione degli anzidetti versamenti ma entro il termine decadenziale di due anni, il contribuente, ritenendo di non soddisfare il presupposto impositivo dell’IRAP costituito dall’“autonoma organizzazione”, presentava un’unica istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate, la quale opponeva il proprio “silenzio-rifiuto” che veniva tempestivamente impugnato dinanzi alla CTP di Roma.
I Giudici di prime cure accoglievano il ricorso del contribuente ritenendo che nella fattispecie concreta in esame non sussistesse il requisito, valido ai fini dell’applicazione dell’IRAP, dell’“autonoma organizzazione”, osservando che lo studio medico del ricorrente soddisfaceva i requisiti minimi previsti dall’art. 22 dell’accordo collettivo dei medici di medicina generale.
L’Agenzia delle entrate appellava la sentenza della CTP di Roma non contestando l’inesistenza in capo al contribuente del presupposto applicativo dell’IRAP, ma deducendo l’inammissibilità dell’istanza di rimborso e del ricorso introduttivo del giudizio avverso il relativo “silenzio – rifiuto” in quanto i versamenti che un contribuente effettua a seguito del ricevimento di un “avviso bonario” emesso in forza dell’art. 36 bis o 36 ter del D.P.R. n. 600 del 1973 non sarebbero suscettibili di essere richiesti a rimborso, in quanto espressione di acquiescenza alla pretesa tributaria.
La tesi erariale viene bocciata dalla CTR Lazio, che esclude che i versamenti conseguenti al ricevimento di una “comunicazione di irregolarità” emessa a seguito di un controllo “automatico” o “formale” svolto dall’Agenzia delle entrate possano essere espressione di acquiescenza del contribuente alla pretesa impositiva, posto che quest’ultimo può decidere di effettuare gli anzidetti versamenti “per mere ragioni di convenienza”, quali, ad esempio, ottenere la riduzione delle sanzioni rispetto a quelle contenute nella successiva cartella di pagamento.
Pertanto, ragionano ancora sostanzialmente i Giudici di seconde cure, il pagamento dei tributi negli importi risultanti dal tenore letterale di un “avviso bonario” non impedisce al contribuente di contestarne successivamente l’effettiva debenza per insussistenza del relativo presupposto impositivo, con la presentazione dell’istanza di rimborso e l’eventuale esercizio dell’azione giurisdizionale avverso il diniego opposto dall’Agenzia delle entrate.
La sentenza emessa dalla CTR Lazio, seppur implicitamente, risulta conforme a quanto statuito dalla Corte di Cassazione, sez. trib., nell’ordinanza 16.12.2019, n. 33055, in cui si è riconosciuto il diritto del contribuente di presentare istanza di rimborso dei versamenti effettuati a seguito della notifica di un “avviso bonario” emesso ai sensi dell’art. 36 bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e di impugnare il conseguente diniego, «essendo l’impugnazione di detto avviso solo facoltativa (onde la mancanza della stessa non può comportare la cristallizzazione del credito)».
Testo della Sentenza
Commissione Tributaria Regionale LAZIO n. 3748 del 26.11.2020
FATTO
Con l’appello in epigrafe, l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale II di Roma ha impugnato, per l’annullamento, la sentenza n. 1890/2019 dell’11 febbraio 2019, con cui la CTP di Roma ha accolto il ricorso proposto dal contribuente XXXX avverso il silenzio rifiuto formatosi sulla istanza di rimborso IRAP relativamente agli anni di imposta dal 2012 al 2015.
La CTP ha accolto il ricorso del contribuente facendo applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale dominante secondo cui, per gli studi medici convenzionati con il SSN, non sussiste il presupposto impositivo IRAP ove detto studio presenti requisiti minimi previsti dall’art. 22 dell’accordo collettivo dei medici di medicina generale. Poiché nel caso di specie lo studio medico del contribuente rispondeva ai predetti requisiti minimi, non era ravvisabile il requisito dell’autonoma organizzazione, ad avviso della CTP sono da ritenere sussistenti presupposti per il diritto al rimborso dell’imposta versata.
Avverso la predetta sentenza, l’appellante deduce che la CTP avrebbe errato nel non considerare che il contribuente non aveva presentato specifica dichiarazione IRAP per gli anni in esame che, quanto ai modelli F24 prodotti nel giudizio di primo grado, riportanti il codice “9006” “9001”, sarebbero conseguenti controlli formali ex artt. 36-bis 36-ter del DPR n. 600 del 1973, per essi sarebbe precluso il rimborso. Benché ritualmente evocato, non si costituito in giudizio l’appellato.
All’udienza del 10 novembre 2020, la causa stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
L’appello infondato nei termini limiti appresso precisati. Risulta per tabulas che il contribuente ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi sulla propria istanza di rimborso IRAP per gli anni di imposta dal 2012 al 2015 (e non, come per errore materiale riportato nella decisione appellata, per gli anni dal 2013 al 2016), per complessivi euro 7.125,00.
E’ del pari documentalmente provato che la istanza di rimborso per le predette annualità IRAP stata presentata in data 14 luglio 2016 che ad essa l’Agenzia delle Entrate Ufficio di Civitavecchia non ha dato alcuna formale risposta.
Con la sentenza appellata la CTP di Roma ha accolto il ricorso del contribuente, statuendo che nella specie non ricorreva il presupposto impositivo IRAP della autonoma organizzazione, essendo il soggetto passivo di imposta un medico di medicina generale, convenzionato con il SSN, operante in uno studio professionale avente requisiti strutturali ed organizzativi minimi previsti dal vigente Accordo collettivo applicabile ai medici di medicina generale. Su questa conclusione l’appellante non articola alcun motivo di gravame.
L’appello invece esclusivamente orientato contestare che versamenti IRAP siano stati effettivamente compiuti dal contribuente, tenuto conto che non potrebbero essere considerati tali quelli rateali conseguenti controlli ex artt. 36-bis 36-ter del DPR n. 600 del 1973.
Le censure sono prive di pregio.
Osserva anzitutto il Collegio che, come evincibile dal fascicolo del giudizio di primo grado, il contribuente ha prodotto gli F24 recanti attestazione di avvenuto versamento degli importi di cui richiede il rimborso.
Quanto al motivo di appello riferito alla presunta non rimborsabilità degli importi versati ratealmente dal contribuente in seguito controlli eseguiti dall’Ufficio ai sensi degli artt. 36- bis 36-ter del DPR n. 600 del 1973 (versamenti eseguiti con F24 recanti codici “9006” “9001”, rispettivamente riferiti alle predette procedure di controllo), esso si palesa privo di ondamento, se solo si consideri che l’avvenuto versamento non può implicare, come affermato dall’Ufficio, acquiescenza.
Come è noto, ai sensi dell’art. 36-bis, comma 4, del DPR n. 600 del 1973 “I dati contabili risultanti dalla liquidazione prevista nel presente articolo si considerano, tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente dal sostituto d’imposta”, mentre il successivo art. 36-ter, comma 4, stabilisce che l’esito del controllo formale comunicato al contribuente “per consentire anche la segnalazione di eventuali dati elementi non considerati valutati erroneamente in sede di controllo formale”.
Dalle predette disposizioni si desume che trattasi di procedure di verifica delle dichiarazioni del contribuente, svolte anche con la sua partecipazione al procedimento, da cui può scaturire una rettifica della dichiarazione sottoposta verifica. Il contribuente può conseguentemente decidere di versare gli importi richiesti, nei termini stabiliti, per mere ragioni di convenienza, non ultima quella di non essere sottoposto sanzioni. Ma ciò non può ovviamente pregiudicare l’esercizio futuro dei propri diritti, né la possibilità di approfondire la effettiva debenza degli importi già versati ed, eventualmente, di richiederne il rimborso nel termine di decadenza previsto dalla legge.
Ne discende che l’aver provveduto al versamento dell’TRAP all’esito dei procedimenti di controllo ex artt. 36-bis 36-ter del DPR n. 600 del 1973 non può impedire l’eventuale istanza di rimborso ove si accerti, come avvenuto nel caso di specie, che l’imposta non era dovuta per difetto del presupposto impositivo.
In conclusione, per le ragioni che precedono, l’appello dell’Ufficio va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata. Per la mancata costituzione dell’appellato, non vi luogo pronuncia sulle spese di giudizio
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sez. 2, respinge l’appello dell’Ufficio; nulla per le spese.