Avv. Giuseppe Mappa
CTP Torino 511\2020, depositata il 05 agosto 2020
Il termine di prescrizione per esigere il canone Rai è di 5 anni dalla notifica della cartella.
La Commissione Tributaria Provinciale di Torino esamina un ricorso avanzato avverso una cartella per canone Rai e conosciuta dal contribuente per il tramite di estratto di ruolo.
TESTO DELLA SENTENZA
Commissione Tributaria di Torino 511\2020, depositata il 05 agosto 2020
MOTIVAZIONE
Poiché la cartella è stata notificata il 21/7/2011, occorre esaminare l’eccezione di prescrizione quinquennale, ossia la prescrizione eventualmente maturata tra la notifica della cartella e e la notifica del ricorso (26/07/2019).
La questione dei termini entro cui l’agente della riscossione può far valere il proprio credito riportato nella cartella esattoriale notificata al contribuente, ma da questi mai opposta, continua ad essere oggetto di controversie.
Da un lato, infatti, l’amministrazione finanziaria sostiene puntualmente, nei propri atti difensivi, che l’Agente per la Riscossione ha dieci anni di tempo (dalla data di consegna della cartella al debitore) per agire con un pignoramento, appellandosi a una norma del codice civile che, in via generale, stabilisce che la prescrizione è di dieci anni tutte le volte in cui il creditore agisce in forza di una sentenza di condanna.
Il punto è dunque se la cartella di Equitalia possa essere equiparata o meno a una sentenza di condanna come quella emessa da un giudice. Certamente la cartella esattoriale è un titolo esecutivo e, come tale, ha la stessa efficacia della sentenza, specie se non opposta entro i termini di legge dal contribuente (perché, in tal caso, assomiglierebbe ancor di più a una sentenza passata in giudicato).
Tuttavia, a parere del Collegio, la cartella di pagamento, ha natura ben diversa da una sentenza, è piuttosto simile a un atto di precetto, prodromico all’esecuzione forzata.
Si veda in proposito: “L’ingiunzione fiscale, in quanto espressione del potere di autoaccertamento e di autotutela della P.A., ha natura atto amministrativo che cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, ma è priva di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato: la decorrenza del termine per l’opposizione, infatti, pur determinando la decadenza dall’impugnazione, non produce effetti di ordine processuale, ma solo l’effetto sostanzia/e dell’irretrattabilità del credito (qualunque ne sia la fonte, di diritto pubblico o di diritto privato), con la conseguente inapplicabilità dell’art. 2953 cod. civ. ai fini della prescrizione” (Cass. civ., Sez. V, 25/05/2007, n. 12263).
E ancora:
“Il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine ai dieci anni, per diretta applicazione dell’art. 2953 cod. civ., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta “actio iudicati”, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall’art. 20 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. “4–72”. Cass. civ., Sez. Unite, 10/12/2009, n. 25790.
Infine:
“La irretrattabilità del credito per sanzioni pecuniarie ed interessi, in conseguenza della mancata opposizione agli avvisi di irrogazione delle sanzioni, non determina, peraltro, la commutazione del titolo del pagamento, come si verifica invece a seguito di “giudicato” intervenuto sull’accertamento del dritto alla riscossione con conseguente decorrenza del termine ordinano di prescrizione (cfr. Corte Cass. SU 10.12.2099 n. 25790 che ha affermato il seguente principio di diritto applicabile anche alle violazioni anteriori alla disciplina del D.Lgs. n. 472 del 1997 secondo cui “il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione ai norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell’art. 2953 e.e., che disciplina specificamente ed in via generate la cosiddetta “actio indicati”, mentre, e la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dal D.Lgs. 8 dicembre 1997, n. 472, art. 20, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario, atteso che gli avvisi di irrogazione, rivestendo la natura di atti amministrativi, sono privi di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato, e la decadenza del contribuente dal termine per l’opposizione non produce effetti di ordine processuale ma solo l’effetto sostanziale della definitività dell’ accertamento del credito, rimanendo pertanto inapplicabile l’art. 2953 e.e. ai fini della prescrizione (cfr. Corte Cass. 51\ sez. 25.5.2007 n. 12263 in relazione a titolo esecutivo “stragiudiziale” costituito dalla ingiunzione fiscale non opposta)”. Cassazione civile, sez. Tributaria, 22-07-2011, n. 16099.
Infatti la sentenza emessa dalla Corte Suprema di Cassazione, Sezione V, n. 12263 del 25.5.2007 ha qualificato la cartella esattoriale quale atto di natura amministrativa, che cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto ed è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato, con conseguente inapplicabilità dell’articolo 2953 del codice civile.
Corollario del suddetto principio è che la mancata impugnazione della cartella non produce effetti di ordine processuale, ma solo l’effetto della irretrattabilità del credito, con la conseguente inapplicabilità della norma predetta ai fini della prescrizione, la quale stabilisce il termine decennale di prescrizione per le sentenze di condanna passate in giudicato.
Tradotto in altri termini, il principio di diritto contenuto nella sentenza della Suprema Corte consente ai contribuenti • che non abbiano impugnato l’ingiunzione nei termini previsti per impugnarla, di usufruire comunque dell’eventuale termine “breve” (e non decennale) per la prescrizione. In buona sostanza una cartella di pagamento non è assimilabile ad una sentenza passata in giudicato.
A questo punto occorre stabilire quale termine prescrizionale sia applicabile al caso in esame.
Con la sentenza n. 4283/201, depositata il 23/02/201 , la Suprema Corte ha fissato in cinque anni il termine prescrizionale per la riscossione di diversi tributi, contributi e canoni (per l’uso di suolo pubblico, per la concessione d’uso per passo carrabile ed il canone acqua). Tale termine prescrizionale sì applica successivamente alla notificazione della cartella di pagamento per la notificazione della quale, almeno nelle ipotesi relative alla riscossione a mezzo ruolo, si applicano i diversi termini di cui all’articolo 25 D.P.R. 602/1973 o i termini stabiliti dalle singole leggi d’imposta. In particolare la Cassazione sostiene che i tributi locali (a differenza di quelli erariali) sono “prestazioni periodiche” e, come tali, rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2948 comma 4 del Codice civile, che stabilisce appunto la prescrizione quinquennale. I tributi locali (tassa per lo smaltimento rifiuti, per l’occupazione di suolo pubblico, per concessione di passo carrabile, contributi di bonifica) – dice la Corte – sono “elementi strutturali di un rapporto sinallagmatico caratterizzati da una ‘causa debendi’ di tipo continuativo suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo in relazione alla quale l’utente e’ tenuto ad una erogazione periodica, dipendente dal prolungarsi sul piano temporale della prestazione erogata dall’ente impositore, o dal beneficio dallo stesso concesso” (Cassazione, sezione tributaria civile, sentenza n. 4283/2010, depositata il 23/02/201 O).
Il ragionamento fatto dalla Corte di Cassazione sì fonda sull’applicabilità al caso di specie della norma di cui all’art. 2948, n. 4 del Codice civile e non della prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c..
Tale applicabilità muove dall’assunto che nei casi portati all’attenzione della Corte (Tarsu, contributi consortili e canoni per passo carrabile e occupazione aree pubbliche) il contribuente paga per una prestazione periodica autonoma (annuale o infra – annuale). Il pagamento, cioè, della Tarsu, dei contributi e dei canoni suddetti è stato assimilato ai pagamenti dei corrispettivi dovuti per forniture elettriche o idriche. Il tributo in esame (canone Rai), a parere dl questo Collegio (pur avendo indubbiamente natura erariale) rientra nella categoria anzidetta (con conseguente quinquennalità del termine prescrizionale) poichè (come ha sempre affermato la stessa Agenzia delle Entrate) il canone di abbonamento televisivo è’ predeterminato per legge e non può essere confuso con un’imposta il cui importo deve essere calcolato mediante dichiarazione dei redditi in base ad un reddito imponibile, bensì esso è certo ed è stabilito da decreto ministeriale pubblicato su Gazzetta Ufficiale e quindi non ha rilevanza alcuna far riferimento ad un eventuale “potere di accertamento” da parte di qualsivoglia soggetto.
Inoltre, il R.D.L. n. 246-38, convertito in L. 4.06.1938 n. 880 non prevede alcuna sequenza procedimentale di accertamento.
Infine (a dire della stessa Agenzia delle Entrate) il canone televisivo non dev’essere liquidato all’interno di una dichiarazione. Il contribuente in questo caso paga per una prestazione periodica autonoma annuale.
Il pagamento del canone suddetto appare quindi pienamente assimilabile ai pagamenti dei corrispettivi dovuti per forniture elettriche o idriche e come tale non può che soggiacere al termine di prescrizione quinquennale, termine che nel caso in esame era già spirato essendo la cartella stata notificata il 21/7/2011 e il ricorso il 26/07/2019