Cassazione: in appello la mediazione è condizione di procedibilità solo se è il giudice a disporla in via discrezionale

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Nell’ordinanza in oggetto (testo integrale in calce), la Cassazione fa chiarezza in materia di mediazione obbligatoria, delegata e di improcedibilità della domanda.

Nello specifico la Corte precisa che, nel giudizio d’appello, qualora la parte decade dall’eccezione di improcedibilità della domanda basata sul mancato esperimento della mediazione obbligatoria ad iniziativa della controparte, il giudice non è obbligato ad invitare le parti processuali ad esperire il tentativo obbligatorio di mediazione.

La scelta di non disporre la mediazione delegata da parte del giudice di appello deve inoltre considerarsi discrezionale e non sindacabile in Cassazione.

Più in particolare, in materia di mediazione obbligatoria, disciplinata dal D.Lgs. n. 28 del 2010, l’art. 5 comma 1-bis stabilisce l’obbligo del preventivo esperimento della mediazione e sancisce che detto obbligo è condizione di procedibilità della domanda.

In caso di mancato esperimento del procedimento di mediazione l’improcedibilità della domanda deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.

Qualora ciò non avvenga, il giudice d’appello può certamente disporre la mediazione, ma, si badi, non vi è obbligato.

E questo vale anche nel caso in cui il caso sub iudice rientra nelle materie indicate dal predetto art. 5, comma 1-bis.

La ragione di tale conclusione risiede nel fatto che, in grado d’appello, l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda soltanto quando è il giudice a disporla in via discrezionale, ai sensi dell’art. 5, comma 2 e sul punto vedasi anche Cass. n. 25155 del 2020.


Corte di Cassazione

Sezione Civile VI – 2

Ordinanza del 11.08.2021, n. 22736

Svolgimento del processo

che:

– M.N.O. impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Milano che, rigettandone il gravame, ha confermato la decisione di risoluzione del contratto di compravendita del (OMISSIS) con il quale ella aveva venduto a F.A. e Y.S. l’appartamento sito a (OMISSIS) per il prezzo di Euro 162.500,00;

– gli acquirenti avevano chiesto con rito sommario di cognizione la declaratoria di risoluzione per inadempimento della venditrice perchè costei aveva dichiarato che l’agibilità/abitabilità dell’immobile sussisteva a seguito di rilascio di licenza da parte del Comune in data (OMISSIS) mentre, in realtà, il Comune aveva precisato che a seguito della ristrutturazione eseguita con pratica edilizia del 1995 non risultavano il certificato di agibilità, la denuncia dei cementi armati e il certificato di collaudo statico, nonchè la relazione tecnica L. n. 10 del 1991, ex art. 28;

– ritenendo che il bene non fosse regolarizzabile per la presenza di umidità nelle murature e per mancanza di qualità essenziali, gli acquirenti chiedevano la declaratoria di risoluzione, la restituzione del prezzo ed il risarcimento del danno;

– si costituiva la venditrice che contestava la fondatezza della domanda avversaria dando atto che la ristrutturazione era stata disposta dal di lei padre e che, in effetti, non era stata comunicata dal padre la c.d. “fine lavori” e non era stato richiesto il sopralluogo dell’UTE ma precisava che si stava adoperando per ottenere il certificato di agibilità;

– la causa, istruita a mezzo di ctu, veniva decisa in primo grado con sentenza di accoglimento della domanda degli acquirenti sia in ordine alla risoluzione del contratto che alla restituzione del prezzo;

– proposto gravame da parte della venditrice, che contestava l’affermata non scarsa importanza dell’adempimento e l’entità del risarcimento del danno in quanto erano stati in esso ricompresi gli interessi del mutuo contratto dagli acquirenti e le spese di mediazione, la corte d’appello spiegava le ragioni del mancato accoglimento della mediazione delegata come formulata dall’appellante e nel merito confermava la valutazione di non scarsa importanza dell’inadempimento riguardante sia la irregolarità urbanistica del bene accertata sotto tre distinti aspetti sia gli accertati vizi dell’edificazione (muffe nere ed efflorescenze saline determinate dal convogliamento del pluviale di scarico delle acque meteoriche direttamente a terra anzichè nelle relative vasche come previsto nel Progetto);

– inoltre la corte territoriale spiegava la correttezza del risarcimento danno comprensivo degli interessi corrisposti per il mutuo contratto per l’acquisto del bene e rilevante quale danno emergente;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dalla venditrice M. con ricorso affidato a due motivi;

– non hanno svolto attività difensiva gli intimati.

Motivi della decisione

che:

– con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 1-bis e 2, per non avere la corte territoriale disposto la mediazione delegata e per avere affermato la non obbligatorietà della mediazione in quanto il procedimento non afferirebbe alla materia dei diritti reali;

– il motivo è infondato rispetto ad entrambe le prospettate violazioni della legge in materia di mediazione;

– la prima, quella del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, si riferisce alla mediazione obbligatoria nelle materie ivi indicate, fra cui quella dei diritti reali, che deve essere introdotta prima dell’instaurazione del giudizio, quale condizione di procedibilità dello stesso e la cui mancanza ai fini della declaratoria di improcedibilità deve essere eccepita a pena di decadenza dalla parte o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza;

– la seconda, disciplinata dal D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, attiene alla mediazione c.d. delegata, che può essere disposta dal giudice sulla base di una valutazione discrezionale che tiene conto della natura della causa, dello stato dell’istruzione e del comportamento delle parti;

– ciò premesso, la corte territoriale ha, nella sentenza impugnata, esaminato entrambe le fattispecie di mediazione: in primo luogo quella c.d. delegata, possibile in appello, ed ha argomentato il rigetto dell’istanza con la natura della causa e, in secondo luogo, quella obbligatoria precisando che il giudizio non verte in materia di diritti reali ma di inadempimento contrattuale;

– le statuizioni sono esenti da vizi;

– in primo luogo, non si verte in materia di diritti reali ma in materia di risoluzione contrattuale, non compresa nelle materie indicate nel D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto d’azienda, risarcimento del danno derivante da responsabilità mediche sanitaria e da diffamazione con mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancarie finanziari);

– in ogni caso, comunque, va data continuità al principio che, in tema di mediazione obbligatoria D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 1-bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ma l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza; ove ciò non avvenga, il giudice d’appello può disporre la mediazione, ma non vi è obbligato, neanche nelle materie indicate dallo stesso art. 5, comma 1-bis, atteso che in grado d’appello l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2 (Cass. n. 25155 del 2020); nel caso in esame la corte d’appello ha, con apprezzamento di

fatto, ritenuto la causa non mediabile in ragione della sua stessa natura e tale valutazione discrezionale non è sindacabile in sede di legittimità;

– occorre, peraltro, segnalare che la ricorrente -che nel ricorso ripropone la obbligatorietà della mediazione in ragione della materia – non indica dove, in applicazione della disciplina del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, abbia eccepito avanti al primo giudice, come previsto a pena di decadenza, il mancato esperimento della mediazione;

– con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 1455 c.c., e dell’art. 1477 c.c., comma 3, per avere la corte d’appello ritenuto, sulla scorta delle risultanze della CTU, che la mancata consegna del certificato di abitabilità renda l’immobile non commerciabile e che gli altri inconvenienti riscontrati giustifichino la domanda di risoluzione del contratto nonchè quella di risarcimento del danno;

– la censura è infondata; costituisce principio consolidato che, in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. n. 6401 del 2015; id. Cass. n. 12182 del 2020);

– ciò posto nel caso di specie la corte territoriale ha valorizzato, a giustificazione della conclusione in ordine alla risoluzione del contratto di compravendita, l’accertato duplice inadempimento desunto dalle risultanze della CTU, e cioè ha considerato che il concorso della riscontrata irregolarità urbanistica con i vizi riguardanti le modalità organizzative delle opere di ristrutturazione deponevano nel senso della gravità del pregiudizio arrecato al sinallagma contrattuale, considerato dal punto di vista degli acquirenti;

– poichè tale apprezzamento di fatto è sindacabile in cassazione nel limiti ora previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (cfr. Cass. Sez. Un. 8053 del 2014) quale omesso esame di fatto decisivo, la censura nei termini formulati dalla ricorrente è destinata rigetto;

– l’esito sfavorevole di entrambi i motivi giustifica il rigetto del ricorso;

– nulla va disposto in ordine alle spese di lite atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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