Cassazione: come va interpretata la clausola compromissoria

Avv. Pino Cupito


Con l’Ordinanza in questione (Ord. n. 23147 del 19.08.2021 – testo integrale in calce) la Cassazione precisa come dev’essere interpretata la clausola compromissoria che devolve le controversie ad un arbitrato irrituale.

La Suprema Corte sottolinea al riguardo che “detta clausola va interpretata, in mancanza di volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a pretese aventi la “causa petendi” nel contratto cui la clausola si riferisce, con esclusione, quindi, di quelle che nello stesso contratto hanno unicamente un presupposto storico”.

Nel caso in esame, si discute di un giudizio insorto per il pagamento di compensi richiesti da un soggetto nella qualità di amministratore di una società.

In particolare, lo statuto sociale della s.p.a. in questione stabiliva espressamente che “qualsiasi controversia relativa all’interpretazione e alla esecuzione del presente statuto su qualunque altra materia inerente direttamente o indirettamente ai rapporti sociali, tra società e soci, amministratori e liquidatori, o soci tra di loro…sarà deferita ad un collegio di tre arbitri amichevoli compositori…”.

Ebbene, in secondo grado la Corte distrettuale aveva dichiarato improponibili le domande dell’amministratore della società facendo ricadere nell’ambito applicativo della suddetta clausola compromissoria anche tutte la controversia relativa al rapporto di lavoro subordinato, con qualifica dirigenziale, sulla base del quale l’amministratore aveva avanzato la propria richiesta di compensi.

Sul punto, la Cassazione interviene asserendo al contrario che il rapporto dirigenziale dedotto dall’amministratore a fondamento delle proprie istanze monetarie deve necessariamente ritenersi estraneo al rapporto sociale tra società e soci, amministratori e liquidatori o soci tra di loro, ovvero ai rapporti cui la clausola compromissoria faceva riferimento.

E ciò in quanto, il predetto rapporto di lavoro si profila inerente al diverso e distinto contratto di lavoro subordinato (ovvero quello dirigenziale) del ricorrente con la società.


Corte di Cassazione

SEZIONE LAVORO

Ordinanza n. 23147 del 19.08.2021

Svolgimento del processo

XXX, già componente del consiglio di amministrazione della YYY s.p.a. con varie deleghe, convenne la società davanti al Tribunale di Livorno rivendicando il compenso per l’attività gestoria e quello che gli sarebbe spettato per attività ulteriori, eccedenti i compiti di amministratore, assumendo l’insufficienza degli importi ricevuti in corso di rapporto (circa Euro 40.000, pagati con buste paga nelle quali il rapporto era qualificato come co.co.co.).

La società resisteva eccependo pregiudizialmente l’incompetenza funzionale del giudice del lavoro, l’inammissibilità della domanda per la presenza di clausola compromissoria contenuta nello Statuto della società, contestando anche nel merito le domande e svolgendo riconvenzionale per i danni ricevuti.

Il Tribunale riteneva la propria competenza, ed accoglieva nel merito parzialmente la domanda, anche ex art. 36 Cost., e condannando la società (in esito a c.t.u. contabile elaborata sulla base del c.c.n.l. dirigenti) al pagamento di Euro 67.962; respingeva la riconvenzionale.

XXX impugnava la sentenza ritenendo che avesse sostanzialmente omesso di pronunciarsi sulla domanda relativa al compenso di amministratore, che non avrebbe dovuto essere liquidato sulla base dell’art. 36 Cost. ma delle delibere assembleari che avevano attribuito un compenso unitario all’intero consiglio di amministratore, composto da tre persone.

Rivendicava quindi un terzo del totale riconosciuto al C.d.A.

In ogni caso il Tribunale avrebbe erroneamente considerato complessivamente l’attività svolta da XXX (compiti gestori e operativi), per poi compensarla sulla base di un parametro (retribuzioni previste dal c.c.n.l. dirigenti aziende commerciali) applicabile invece alle sole attività non gestorie e avrebbe per di più, sempre erroneamente, decurtato le somme risultanti dall’applicazione di tali parametri.

Resisteva la società, reiterando le eccezioni pregiudiziali e svolgendo appello incidentale, con cui riproponeva la riconvenzionale respinta in primo grado.

Con sentenza depositata il 19.10.17, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della pronuncia impugnata, dichiarava improponibili le domande attoree per l’esistenza di clausola compromissoria contenuta nello Statuto societario (art. 39), e compensava le spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso XXX, affidato a due motivi, assistiti da memorie, cui resiste la società con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 409 c.p.c., n. 3 e art. 1322 c.c., per avere la Corte fiorentina erroneamente esteso la clausola compromissoria sopra indicata anche al concorrente e ben ammissibile rapporto di lavoro subordinato, con qualifica dirigenziale, in base al quale egli aveva richiesto il pagamento dei relativi compensi.

Il motivo è fondato nei sensi che seguono.

La sentenza impugnata, infatti, ha dichiarato inammissibile il ricorso per l’esistenza di clausola compromissoria (art. 39 dello Statuto sociale del 4.11.04: “qualsiasi controversia relativa all’interpretazione e alla esecuzione del presente statuto su qualunque altra materia inerente direttamente o indirettamente ai rapporti sociali, tra società e soci, amministratori e liquidatori, o soci tra di loro…sarà deferita ad un collegio di tre arbitri amichevoli compositori..”).

Occorre tuttavia rimarcare che la clausola compromissoria devolutiva della controversia ad un arbitrato irrituale deve essere interpretata, in mancanza di volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a pretese aventi la “causa petendi” nel contratto cui la clausola si riferisce, con esclusione, quindi, di quelle che nello stesso contratto hanno unicamente un presupposto storico, cfr. Cass. n. 28011/19, n. 3795/19.

Nella specie il dedotto rapporto dirigenziale è estraneo al rapporto sociale (tra società e soci, amministratori e liquidatori o soci tra di loro), ma inerisce il diverso e distinto contratto di lavoro subordinato (come dirigente) del XXX con la società.

La circostanza, evidenziata dalla Corte di merito (e peraltro pacifica), della teorica compromettibilità ad arbitri anche dei rapporti di lavoro subordinato (a seguito del D.Lgs. n. 40 del 2006), nulla spiega in ordine alla ritenuta ricomprensione, nel caso di specie, anche di tali tipi di rapporti all’interno della clausola compromissoria sopra riportata.

Nè rilevano le considerazioni della Corte di merito in ordine alla natura parasubordinata dei rapporti tra amministratore e società nè, in quanto a monte dichiarata inammissibile, la questione dell’effettiva sussistenza o meno del dedotto rapporto di lavoro subordinato dirigenziale.

Deve dunque accogliersi il primo motivo di ricorso, restando assorbito il secondo (con cui il XXX denuncia la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., artt. 2697 e 1322 c.c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere la sentenza impugnata omesso di pronunciarsi sulle richieste istruttorie formulate in ordine alla sussistenza del dedotto rapporto di lavoro dirigenziale).

La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio alla medesima Corte fiorentina per l’ulteriore esame della controversia, oltre che per la regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2021

 

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