Un cenno sulla comunione legale
Come noto, la comunione legale dei beni, rappresenta il regime patrimoniale “legale” della famiglia.
In base a tale regime si considerano di proprietà di entrambi i coniugi gli acquisti compiuti da questi ultimi, insieme o separatamente, durante il matrimonio.
Tali acquisti possono essere divisi con lo scioglimento del matrimonio e nei casi espressamente previsti dalla legge.
Il suddetto regolamento legale diviene operante automaticamente all’atto del matrimonio.
Restano esclusi i beni considerati come “personali” (art. 177 lett. a) c.c.).
L’immobile realizzato sul suolo di un solo dei coniugi
Uno dei temi più controversi in materia di comunione legale riguarda gli acquisti a titolo originario.
In particolare, grande interesse dottrinario e giurisprudenziale ha destato l’ipotesi della costruzione di immobile realizzata con danaro proveniente da entrambi i coniugi (in comunione legale) ma sul suolo di proprietà di uno solo di essi.
Innanzitutto, l’immobile cade in comunione?
Un primo orientamento (minoritario), ha sostenuto che, ferma restando la proprietà del suolo in capo al coniuge effettivamente proprietario, l’immobile costruito durante il matrimonio con danaro di entrambi i coniugi, cada immediatamente in comunione legale dei beni.
Secondo tale tesi, infatti, siffatto edificio dovrebbe essere considerato come un bene nuovo.
Ciò sia dal punto di vista giuridico, sia sotto il profilo economico.
Pertanto, esso dovrebbe essere considerato completamente distinto rispetto al suolo sul quale insiste.
Ciò, nonostante quest’ultimo sia di proprietà di uno solo dei coniugi finanziatori delle opere.
Conseguenza immediata è che l’immobile dovrebbe essere considerato, ai sensi dell’art. 177, comma 1, lett. a) c.c., come un vero e proprio acquisto compiuto insieme dai coniugi durante la comunione legale dei beni.
La tesi prevalente della Giurisprudenza
La dottrina prevalente e la costante giurisprudenza, sia di merito che della Corte di Cassazione, ritengono diversamente.
Quando tra i coniugi vige il regime di comunione legale, la costruzione realizzata durante il matrimonio con il danaro di entrambi ma sul suolo di proprietà esclusiva di uno solo di essi, appartiene soltanto a quest’ultimo.
In tale ipotesi, infatti, troverebbero applicazione le disposizioni generali in tema di “accessione” vigenti nel nostro ordinamento giuridico (v. Cass. Sez. Un. 27.01.1996 n. 651).
Quando si parla di accessione ci si riferisce generalmente ad una modalità di acquisto della proprietà.
In particolare, si tratta di un acquisto a titolo originario che si verifica quando il proprietario di una cosa “principale” (nel nostro caso il coniuge proprietario del suolo) acquista la proprietà delle cose che si uniscono e si incorporano a questa (nel nostro caso l’immobile costruito con i soldi di entrambi in coniugi).
In altri termini, tale tipologia di acquisto si verifica per il mero fatto dell’incorporazione del secondo bene nel primo.
Orbene, nel caso esaminato, seguendo la disciplina dell’accessione, si può evincere con palmare evidenza che l’accessione medesima comporta necessariamente la “confusione” diretta, immediata ed automatica, del suolo di proprietà di uno solo dei coniugi con la costruzione su di esso edificata con il danaro di entrambi.
Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalla prima teoria, la nuova costruzione non può considerarsi come un bene “nuovo” e “distinto” da suolo sul quale insiste.
La stessa andrà infatti considerata come una vera e propria espansione del suolo sul quale insiste (anche sotto il profilo giuridico).
Ciò accade in quanto, come detto, l’istituto dell’accessione non determina mai un nuovo acquisto, bensì l’ampliamento dell’originario diritto preesistente.
E tale ampliamento non può che verificarsi a vantaggio del coniuge proprietario del suolo per cui in definitiva l’immobile su di esso realizzato non entrerà in comunione.
Secondo la Cassazione, infatti, qualora per assurdo l’immobile costruito sul suolo di proprietà di uno solo dei coniugi (ma con il danaro di entrambi) cadesse in comunione legale, si verificherebbe la coesistenza del diritto di proprietà esclusiva del singolo coniuge sul suolo con la comunione di entrambi i coniugi sulla costruzione realizzata.
Circostanza quest’ultima molto difficile da ipotizzare soprattutto ove si consideri che il diritto di “superficie” può nascere esclusivamente da una manifestazione di volontà del proprietario del suolo.
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Come si tutela il coniuge non proprietario del suolo?
Da quanto appena esposto sembrerebbe che il coniuge non proprietario del suolo sia del tutto sprovvisto di tutela giuridica.
Ma così non è!
Invero, anche secondo l’opinione della giurisprudenza, la tutela del coniuge che paga (anche solo in parte) la costruzione sul suolo dell’altro coniuge non è di carattere “reale” bensì di carattere “obbligatorio”.
In altri termini, al coniuge non proprietario spetterà un diritto di credito nei confronti dell’altro coniuge proprietario del suolo e dell’immobile edificato.
Tale diritto di credito è parametrato, normalmente e salvo prova contraria, alla metà del valore dei materiali impiegati per edificare la costruzione.
Ciò in quanto essi si presumono (appunto fino a prova contraria) acquistati con il danaro ricadente nella comunione legale in precedenza esistente tra i coniugi.
Occorre inoltre precisare che il predetto diritto di credito spettante al coniuge finanziatore (ma non proprietario del suolo), è esigibile al momento dello scioglimento della comunione legale o anche anteriormente, su provvedimento del giudice, qualora l’interesse della famiglia lo richieda (art. 192 c.c.).
Nessun rimborso per le migliorie
Se il coniuge non proprietario apporti, a proprie spese, delle migliorie all’immobile costruito (con danaro di entrambi) sul suolo di proprietà dell’altro coniuge, non nascerà alcun diritto di credito al riguardo.
Ciò nemmeno all’esito dell’scioglimento della comunione legale.
A ben vedere, infatti, la giurisprudenza esclude l’esistenza di un simile diritto di credito.
Tale tipo di opere devono in realtà ritenersi semplicemente “finalizzate a rendere più confacente alle esigenze della famiglia l’abitazione messa a disposizione” da uno dei due coniugi ed impiegata come casa comune.
Per questo, il pagamento delle migliorie, da parte del coniuge non proprietario, rientrano tra le spese compiute per il soddisfacimento dei bisogni familiari.
Malgrado tali argomentazioni, altra parte della giurisprudenza (tuttavia meno pacifica) sostiene che nel caso in cui gli esborsi per le migliorie vadano ad incrementare il valore patrimoniale dell’immobile, il coniuge che le ha pagate avrebbe diritto ad ottenere un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 1150 c.c., in qualità di compossessore dell’immobile migliorato.
Alla luce di tali evidenze appare quindi opportuno contemperare le due norme.
Da un lato abbiamo l’art. 143 c.c. che nega il rimborso dei pagamenti effettuati in esecuzione dell’obbligo di contribuzione alle spese familiari.
Dall’altro vi è l’art. 1150 c.c. che ammette il diritto del possessore al rimborso per le riparazioni, miglioramenti ed addizioni eseguiti.
Ebbene, la giurisprudenza più recente pare attribuire un valore prevalente al dovere di contribuzione ex art. 143 c.c. tralasciando l’applicazione delle norme afferenti allo scioglimento della comunione.
Nel consacrare tali principi, la Cassazione ha infatti chiarito che “Le migliorie apportate da un coniuge alla casa familiare, di proprietà esclusiva dell’altro, rientrano nei bisogni della famiglia e non sono ripetibili. Le spese che l’uno dei coniugi abbia affrontato per apportare migliorie sull’abitazione familiare, in costanza di matrimonio, non sono ripetibili nemmeno ai sensi dell’art. 2041 c.c. Infatti, in questi casi, l’effettuazione della spesa è avvenuta in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. e, conseguentemente, non sussiste il diritto al rimborso.” (Cass. civ., Sez. I, 27.05.2015, n. 10942).
Cosa accade quando si va in causa?
In via del tutto preliminare, è bene sapere che la totalità di liti giudiziarie aventi ad oggetto la fattispecie in questione si inseriscono nell’ambito di procedimenti relativi a separazioni e divorzi.
In un caso recentissimo posto all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione (Ord. n. 28258 del 4.11.2019) “Tizia” citava in giudizio l’ex coniuge “Caio” con il quale era stata coniugata in regime di comunione legale dei beni.
In particolare, “Tizia” chiedeva al giudice di condannare l’ex marito al pagamento in proprio favore della metà del danaro versato per la realizzazione, sul terreno di esclusiva proprietà dell’ex coniuge medesimo, dell’immobile destinato ad uso della famiglia.
Dopo aver perso la causa sia in primo grado che in secondo grado, “Tizia” ricorre in Cassazione lamentando la violazione dell’art. 177, comma 1, lett. a), c c.
Nello specifico la ricorrente sosteneva che il costo dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione in questione cadono automaticamente in comunione legale.
All’esito del giudizio, la Cassazione rigetta il ricorso enunciato importanti principi in materia:
a) Innanzitutto, viene ribadito che qualora, ex art. 934 c.c., il coniuge proprietario esclusivo del suolo diventi proprietario dell’immobile realizzato su di esso in regime di comunione legale, la tutela del coniuge non proprietario del suolo non opera sul piano del diritto reale.
b) Se il coniuge non proprietario non ha un titolo, non può vantare alcun diritto di comproprietà sulla costruzione.
c) La tutela del coniuge non proprietario si sposta sul piano obbligatorio: a quest’ultimo spetta esclusivamente un diritto di credito corrispondente alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati per la realizzazione dell’immobile.
d) L’accessione, in base alla quale il proprietario del suolo acquista ipso iure e per incorporazione la proprietà dell’immobile realizzato sul suolo medesimo, può essere derogata soltanto da una specifica pattuizione delle parti o da una specifica disposizione di legge.
e) Quindi la disciplina della comunione legale non può derogare alla disciplina dell’accessione;
f) Mentre l’acquisto del diritto di proprietà per accessione è un acquisto a titolo originario che si verifica senza la alcuna manifestazione di volontà delle parti, l’acquisto di un bene in comunione legale, ex art. 177 c.c. comma 1, ha carattere derivativo per cui ha natura negoziale.
g) Ne consegue, che non si verifica un alcun automatismo rispetto tra la costruzione dell’immobile ed il sorgere del diritto di credito del coniuge non proprietario del suolo che ha contribuito economicamente: quest’ultimo non sarà esonerato dall’onere della prova.
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La prova dei pagamenti eseguiti dal coniuge non proprietario del suolo
Da quando sopra esposto, emerge con cristallina chiarezza che il coniuge (non proprietario del suolo) che abbia contribuito economicamente alla costruzione dell’immobile durante la vigenza della comunione legale, dovrà essere in grado di provare in giudizio il proprio intervento monetario ed i propri esborsi economici.
Va da sé, dunque, che grande attenzione dovrà essere posta, prima dell’inizio delle opere, sulle modalità di pagamento adoperate.
Sarà innanzitutto importantissimo che ogni esborso possa essere tracciabile e sarà quindi necessario procurarsi gli estratti conto bancari per la dimostrazione di ogni pagamento effettuato.
Soltanto in questo modo si potrà offrire in un futuro giudizio una prova documentale del contributo economico offerto.
Anche la provenienza delle somme corrisposte, benché tracciabili, dovrà essere ben chiara.
Ciò si renderà indispensabile nell’ipotesi, tutt’altro che infrequente, di un conto intestato, durante la vigenza della comunione legale, ad entrambi i coniugi.
In una simile eventualità, infatti, la confusione delle somme portate sul conto potrebbe rendere più difficoltosa la prova sulla provenienza delle stesse.
Tali precauzioni assicureranno al coniuge, il quale intende provare il proprio diritto di credito nei confronti dell’ex coniuge, la prova in merito alla proprietà effettiva delle somme utilizzare per le spese di costruzione.
Infine, anche sotto il profilo contrattuale, sarà utile prevedere l’intervento del coniuge non proprietario del fondo in ogni fase di realizzazione dell’immobile.
Si considerino al riguardo gli aspetti legati al conferimento di incarichi professionali di progettazione, al contratto d’appalto con l’impresa esecutrice degli stessi e ai rapporti con i fornitori dei materiali edilizi.