Avv. Pino Cupito
Nel caso di immobile promesso in vendita libero da ipoteche quando in realtà è gravato da tali garanzie il promissario acquirente ha la facoltà, non l’obbligo, ai sensi dell’art. 1482 c.c., comma 1 – applicabile al contratto preliminare – di chiedere al giudice la fissazione di un termine entro il quale il promittente venditore deve liberare l’immobile dal vincolo.
Diversamente, nel caso in cui il promissario acquirente ha esercitato il recesso ex art. 1385 c.c. oppure ha chiesto la risoluzione del preliminare ex art. 1453 c.c., comma 2, il promittente venditore non può più attivarsi per ottenere la cancellazione della garanzia.
La risoluzione prevista dall’art. 1482 c.c., che ha carattere automatico e stragiudiziale, operando allo stesso modo della diffida ad adempiere, non costituisce per l’acquirente un rimedio speciale o esclusivo, ma alternativo di ulteriore protezione e tutela del suo interesse all’adempimento, sicchè egli conserva la possibilità di esperire l’azione ordinaria di risoluzione del contratto, in presenza del presupposto già richiamato della gravità dell’inadempimento.
Una volta intervenuta la stipulazione del contratto preliminare ed una volta che sia stata dedotta in esso una obbligazione specifica, in caso di inadempimento della stessa, il contraente non inadempiente è tenuto ad esercitare a tutela dei suoi diritti le azioni contrattuali, senza poter esperire, in via alternativa, l’azione per responsabilità precontrattuale, riconducibile alla supposta malafede della parte promissaria acquirente durante le trattative.
Ciò in quanto, la cristallizzazione delle reciproche prestazioni, operata mediante la stipula del preliminare, comporta la perdita di ogni autonomia e di ogni giuridica rilevanza di dette trattative, convergendo queste nella nuova struttura contrattuale che, pertanto, viene a costituire la sola fonte di responsabilità risarcitoria.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Sentenza 13 aprile 2022, n. 12032
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 7408 del 21.11.2018 la Corte di appello di Roma rigettò l’appello proposto da C.F.S. avverso l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. pronunciata del Tribunale di Roma, che, in accoglimento della domanda proposta da S.F., aveva dichiarato legittimo il recesso da questi esercitato con la missiva del 24.4.2014 dal contratto preliminare stipulato in data (OMISSIS) con C.F.S. per inadempimento di
quest’ultimo, che aveva altresì condannato al pagamento della somma di Euro 1.020.000,00, pari doppio della caparra ricevuta. A sostegno della conclusione accolta la Corte romana affermò che il recesso dal contratto esercitato dal S., quale promissario acquirente, era legittimo in ragione del fatto che la controparte aveva scientemente taciuto, in sede di stipula del preliminare, che l’immobile compromesso era sottoposto, da circa due anni, ad una procedura esecutiva attivata da Ce.Gi. in forza della provvisionale contenuta in una sentenza del Tribunale di Roma che lo aveva condannato per il reato di truffa, e che tale condotta, costituente grave inadempimento dell’obbligo di correttezza contrattuale, aveva pregiudicato la parte promissaria acquirente, in ordine alla possibilità sia di nominare un terzo acquirente al momento della stipula del contratto definitivo, che di accedere al mutuo bancario necessario per il pagamento del saldo del prezzo, che gli era stato rifiutato.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 25.1.2019, ha proposto ricorso C.F.S., sulla base di un unico motivo.
Resiste con controricorso S.F..
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte come in epigrafe indicate.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
La trattazione del ricorso si è svolta, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con la L. 18 dicembre 2010, n. 176, in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, non essendo stata presentata richiesta di discussione orale.
Motivi della decisione
L’unico, articolato motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1184, 1337, 1375, 1385 e 1440 c.c. ed omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio.
Con una prima censura il ricorrente critica la sentenza impugnata per avere ritenuto legittimo il recesso dal contratto della controparte nonostante esso fosse stato esercitato nell’aprile 2014, ben prima quindi della scadenza della data del 31.12.2014 prevista per la stipula del contratto definitivo, violando così il termine di adempimento che, a mente dell’art. 1184 c.c., doveva presumersi stabilito a favore del promittente venditore. Assume che, se tale termine gli fosse stato effettivamente concesso, egli sarebbe stato senz’altro in grado, prima della sua scadenza, di provvedere sia alla cancellazione dell’ipoteca iscritta per il mutuo in favore di un istituto bancario, sia alla estinzione della procedura esecutiva gravante sull’immobile compromesso per il credito di Euro 100.000,00, considerato sia l’importo di Euro
510.000,00 della caparra ricevuta, che il prezzo complessivo della compravendita, fissato in Euro 2.000.000,00. In presenza di un termine per l’adempimento, deve essere concessa infatti al promittente venditore la facoltà di liberazione del bene dalle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli e, fino a che tale termine non sia spirato, l’altra parte non può legittimamente esercitare il recesso o chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento.
La possibilità concreta di eliminare queste iscrizioni pregiudizievoli e di giungere quindi senza ostacoli alla stipulazione del contratto definitivo era stata del resto debitamente considerata dallo stesso Tribunale, che per tale ragione aveva respinto il ricorso per sequestro conservativo proposto dalla controparte.
Con una seconda censura si assume l’erroneità della decisione impugnata per avere considerato la condotta omissiva del promittente venditore contraria al dovere di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1375 c.c., senza considerare che la mancata informazione circa l’esistenza della procedura esecutiva si era consumata nella fase della trattativa contrattuale e non nella fase esecutiva.
Con una terza censura si lamenta che la Corte territoriale abbia affermato, sic et simpliciter, che il fatto che il promittente venditore avesse taciuto l’esistenza del pignoramento integrasse di per sè un grave inadempimento, senza accertare dapprima la natura della violazione, che si era verificata nella fase delle trattative, e quindi l’effettivo pregiudizio subito dall’altro contraente. Si assume così che il giudice,
laddove avesse voluto dare rilievo giuridico a tale omissione, avrebbe dovuto applicare la disposizione di cui all’art. 1440 c.c., in tema di dolo incidente, e liquidare il danno in modo conseguente in relazione al c.d. interesse negativo e quindi non ammettere la facoltà di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. Il motivo è inammissibile ed in parte infondato.
La prima parte del motivo è inammissibile in quanto formula censure che si arrestano sul piano di una critica generica e formale, senza investire l’effettiva ratio della decisione impugnata, che ha accolto la domanda in ragione dell’affermazione che la mancata informazione da parte del promittente venditore, in sede di contratto preliminare, della esistenza di una procedura esecutiva gravante sull’immobile
integrava di per sè un grave inadempimento avente carattere definitivo, dal momento che aveva di fatto pregiudicato la possibilità della controparte sia di nominare un terzo in sede di stipula del definitivo, che di accedere al mutuo bancario necessario per l’acquisto, che le era stato effettivamente rifiutato. La Corte ha ritenuto quindi, implicitamente, irrilevante che il recesso fosse stato esercitato prima della scadenza del termine convenuto per la stipula del contratto definitivo, escludendo che la sua gravità venisse meno in ragione della possibilità dedotta dall’appellante di rimuovere la trascrizione pregiudizievole prima della sua scadenza.
Va allora sottolineato, da un lato, che, diversamente da quanto evocato nel ricorso, la Corte di appello ha specificatamente e puntualmente verificato la gravità dell’inadempimento ascritto al promittente venditore, in forza di un apprezzamento che, avendo natura di giudizio di merito, non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 12182 del 2020; Cass. n. 6401 del 2015); dall’altro, che il relativo giudizio
appare conforme, dal punto di vista giuridico, alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il promissario acquirente di un immobile, garantito libero da ipoteche, ma, in realtà, da esse gravato, ha la facoltà, non l’obbligo, ai sensi dell’art. 1482 c.c., comma 1, applicabile al contratto preliminare, di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la liberazione dal vincolo da parte del promittente venditore, ma se si è avvalso della facoltà di recesso a mente dell’art. 1385 c.c. ovvero ha chiesto la risoluzione del preliminare, per effetto dell’art. 1453 c.c., comma 2, il promittente venditore non può più attivarsi per ottenere la cancellazione della garanzia (Cass. n. 15380 del 2000; Cass., n. 20961 del 2017; Cass. n. 3565 del 2002; Cass. n. 19097 del 2009; Cass. n. 23956 del 2013). Secondo l’opinione preferibile, accolta anche da larga parte della dottrina, la risoluzione prevista dall’art. 1482 c.c., che ha carattere automatico e stragiudiziale, operando allo stesso modo della diffida ad adempiere, non costituisce per l’acquirente un rimedio speciale o esclusivo, ma alternativo, di ulteriore protezione e tutela del suo interesse all’adempimento, sicchè egli conserva la possibilità di esperire l’azione ordinaria di risoluzione del contratto, in presenza del presupposto già richiamato della gravità dell’inadempimento (Cass. n. 9498 del 1994; Cass. n. 10506 del 1996; Cass. n. 15380 del 2000).
A tale considerazione merita aggiungere che, pur rilevando la non pertinenza dei fatti successivi alla comunicazione del recesso dal contratto da parte del promissario acquirente, la Corte territoriale ha comunque verificato e dato atto che entro la data stabilita indicata per la sottoscrizione del contratto definitivo non si erano verificate nè la cancellazione della formalità ipotecaria nè l’estinzione del pignoramento, accertamento che evidentemente rende privo di pregnanza l’argomento del ricorrente secondo cui egli avrebbe potuto sanare il proprio inadempimento entro tale termine.
La seconda censura è manifestamente infondata.
Come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, con particolare riguardo alla ricostruzione del fatto mediante rinvio all’ordinanza di primo grado, l’esistenza del pignoramento a carico dell’immobile compromesso risultava un fatto non solo taciuto, ma espressamente escluso dal promittente venditore, che all’art. 2 del contratto preliminare dava atto che il bene, a tale data, si presentava libero da oneri,
iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, ad eccezione della sola ipoteca iscritta a garanzia di un mutuo. Non vi è dubbio quindi che la violazione addebitata al convenuto si era verificata, come ritenuto dalla Corte di merito, al momento della formazione e sottoscrizione del contratto preliminare, mentre il rilievo secondo cui la circostanza omessa avrebbe dovuto essere rappresentata già nel corso delle trattative non vale evidentemente ad attrarre nell’ambito esclusivo di esse il titolo della responsabilità, laddove la condotta della parte contraente si sostanzi comunque, concluso il contratto, in un inadempimento tale da pregiudicare la possibilità dell’altra parte di conseguire la prestazione che gli spetta. Al riguardo questa Corte ha avuto modo anche di precisare che, una volta intervenuta la
stipulazione del contratto preliminare e che sia stata dedotta in esso una obbligazione specifica, in caso di inadempimento di essa, il contraente non inadempiente è tenuto ad esercitare a tutela dei suoi diritti le azioni contrattuali, senza poter esperire, in via alternativa, l’azione per responsabilità precontrattuale, riconducibile alla supposta malafede della parte promissaria acquirente durante le
trattative, atteso che la cristallizzazione delle reciproche prestazioni, operata mediante la stipula del preliminare, comporta la perdita di ogni autonomia e di ogni giuridica rilevanza di dette trattative, convergendo queste nella nuova struttura contrattuale che, pertanto, viene a costituire la sola fonte di responsabilità risarcitoria (Cass. n. 7545 del 2016; Cass. n. 16937 del 2006).
In tale rilievi trova risposta anche la terza ed ultima censura, con cui la parte ricorrente lamenta la mancata applicazione della disposizione di cui all’art. 1440 c.c., che prevede l’annullabilità del contratto per dolo, e l’omessa motivazione al riguardo,
che oltre ad essere inammissibile per novità ed estraneità al thema disputandum, non essendo stata una tale domanda di annullamento mai proposta dall’attore, nè la relativa fattispecie mai evocata, risulta altresì infondata nel merito, ponendosi la condotta ascritta all’odierno ricorrente violativa dell’obbligo da questi contrattualmente assunto in ordine alla assenza di vincoli pregiudizievoli sul bene
compromesso.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Deve darsi atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 10.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2022