Avv. Pino Cupito
Senza certificato di agibilità l’immobile è incommerciabile
Il “Certificato di Agibilità o di Abitabilità” di un immobile è quel documento rilasciato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio del Comune di competenza, con il quale si attesta che sussistono tutte le condizioni di sicurezza, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti installati, sulla base della vigente normativa in materia edilizia.
In poche parole detto documento certifica, con riferimento ad un dato immobile, che sono stati rispettati i requisiti imposti dalla legge per garantire a chi lo utilizza di farlo in totale sicurezza.
Ciò premesso, secondo il pacifico orientamento della Corte di Cassazione in tema di vendita immobiliare (v. Cass. Civ. Sez. II, sent. 30.01.2017, n. 2294), la mancanza assoluta di abitabilità (agibilità) integra ipotesi di consegna di “aliud pro alio” ovvero di consegna di un bene totalmente differente rispetto a quello convenuto tra le parti nel contratto di compravendita.
Detto principio giurisprudenziale si applica anche nelle ipotesi in cui l’agibilità non possa essere ottenuta a causa di gravi ed insanabili abusi edilizi commessi in violazioni della legge urbanistica.
Ciò posto, chiunque intenda vendere il proprio immobile dovrà obbligatoriamente consegnare all’acquirente il certificato di agibilità/abitabilità.
In assenza di tale documentazione obbligatoria per legge, l’immobile è incommerciabile.
In caso di inadempimento del venditore e dunque in caso di mancata consegna, il compratore avrà diverse alternative giudiziali ed in particolare potrà agire:
- per la risoluzione del contratto;
- per l’ottenimento del risarcimento del danno subito;
- con l’eccezione di inadempimento.
Inoltre, preme sottolineare che il venditore non può invocare, come esimente della propria responsabilità, la mera circostanza per la quale, al momento della sottoscrizione del vendita, la domanda di condono sia già stata presentata al fine di sanare l’irregolarità amministrativa dell’immobile ed inoltre è del tutto irrilevante che l’immobile risultava regolarmente utilizzato da eventuali precedenti proprietari (cfr. Cass. 23.1.2009, n. 1701; cfr. Cass. 20.4.2006, n. 9253).
Certificato di agibilità: il caso affrontato dalla Cassazione 2020
Una società stipulava un preliminare “ad effetti anticipati” con due promissari acquirenti (persone fisiche) consentendo che questi ultimi la detenzione anticipata dell’immobile promesso in vendita in cambio del pagamento di una parte del prezzo di vendita.
Nell’ambito di tale preliminare le parti pattuivano inoltre che i promissari acquirenti si sarebbero accollati la quota di mutuo ipotecario di loro spettanza.
Successivamente i promissari acquirente scoprivano che l’immobile era sprovvisto del “certificato di agibilità” e pertanto si rifiutavano di procedere con l’accollo del mutuo.
La società promittente venditrice citava in giudizio i promissari acquirenti chiedendo la risoluzione del contratto preliminare e la restituzione del bene.
Questi ultimi spiegavano domanda riconvenzionale volta ad ottenere una sentenza ex art. 2932 c.c. di trasferimento del medesimo immobile ed anche una riduzione del prezzo di vendita per alcuni vizi e difetti del bene riscontrati sull’immobile.
Il Giudice di prime cure accoglieva parzialmente la domanda della società venditrice, rigettava la riconvenzionale dei promissari acquirenti e dichiarava risolto il contratto preliminare per l’inadempimento di questi.
I promissari acquirenti proponevano appello e la Corte, in accoglimento delle loro domande, riformava la sentenza di primo grado e trasferiva, ai sensi dell’art. 2932 c.c., l’immobile in favore degli appellanti, subordinando il trasferimento al pagamento, da parte degli stessi, del prezzo residuo di vendita che veniva anche decurtato in accoglimento della domanda di riduzione del corrispettivo di vendita.
A sostegno della propria decisione la Corte territoriale evidenziava che l’eccezione di inadempimento formulata dai promissari acquirenti ex art. 1460 c.c. era fondata in ragione della mancata consegna del certificato di abitabilità da parte della società promittente venditrice.
Detta mancata consegna del certificato dei agibilità, secondo la Corte d’Appello, anche se non poteva considerarsi come un grave inadempimento della promittente venditrice ai sensi dell’art. 1453 c.c., giustificava in fatto che i promissari acquirenti si erano rifiutati di accollarsi la quota di mutuo ipotecario di spettanza ed avevano differito tale accollo soltanto al momento della stipula del rogito definitivo di vendita.
Pertanto trattandosi si reciproci inadempimenti la domanda riconvenzionale dei promissari acquirenti doveva necessariamente esser lette in quest’ottica.
Per contro, la riduzione del prezzo della compravendita, secondo la Corte, si giustificava per l’acclarata esistenza dei gravi difetti strutturali, accertati con c.t.u.
Assenza di agibilità? Il promissario acquirente può rifiutare il pagamento
Come chiarito dalla sentenza di seguito integralmente riportata, è ormai orientamento pacifico della Corte di Cassazione che il promissario acquirente può legittimamente rifiutarsi di stipulare il contratto definitivo di compravendita avente ad oggetto un immobile che non sia in regola con i certificati di abitabilità o di agibilità, ed anche di conformità edilizia.
È quindi evidente come il rifiuto alla stipula immobiliare si traduca nella giustificata volontà del promissario acquirente di non corrispondere il prezzo d’acquisto convenuto nel preliminare.
E ciò, si badi bene, anche nelle ipotesi in cui il mancato rilascio delle certificazioni sopra indicate non dipenda dal venditore ma dall’inerzia del Comune.
La ratio sottesa all’orientamento descritto è piuttosto chiara: l’acquirente ha tutto l’interesse ad acquistare la proprietà di un immobile che sia in regola con le normative vigenti e come tale idoneo a soddisfare i propri bisogni, la piena fruibilità e la libera commerciabilità (Cass. 19 dicembre 2000 n. 15969).
Per tali ragioni allorché l’agibilità dell’immobile non vi sia e il promittente venditore richieda il pagamento del prezzo (anche in occasione della stipula del contratto definitivo di vendita), il promissario acquirente, ove mai fosse ancora interessato all’acquisto del bene (e quindi non intenda optare per la risoluzione del contratto e/o il risarcimento del danno), potrà proporre l’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. art. 1460 del codice civile.
Detta norma stabilisce: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto.
Tuttavia non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede.
Come noto, ai fini della proponibilità dell’eccezione in oggetto, si rende necessario che l’inadempimento della controparte non sia di lieve entità.
Detta eccezione (eccezione di inadempimento) consente al promissario acquirente di rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione e dunque di stipulare la vendita definitiva, nel caso in cui il promittente venditore non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria prestazione.
E nel caso di specie il venditore dovrebbe, come detto, consegnare il certificato di agibilità secondo legge.
In altri termini, il suddetto articolo 1460 c.c., autorizza il promissario acquirente che non ha ricevuto il documento di agibilità a rifiutarsi di eseguire di stipulare la vendita, senza incorrere, qualora sia in buona fede, in alcuna responsabilità di inadempimento.
In linea con quanto testé considerato si muove anche l’orientamento di legittimità secondo il quale, nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, nel caso in cui le parti denuncino l’inadempimento reciproco delle rispettive prestazioni si rende sempre necessario eseguire una valutazione comparativa tra le condotte assunte tra entrambe le parti medesime, al fine di stabilire quali tra di esse si responsabile delle trasgressioni più importanti ed abbia quindi causato il comportamento dell’altro contraente (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 13627 del 30.05.2017)
In particolare, nel caso in cui il promissario acquirente proponga l’eccezione “inadimplenti non est adimplendum” (eccezione d’inadempimento) non fa altro che imporre al giudice di eseguire una valutazione comparativa tra gli inadempimenti di entrambe le parti contraenti.
Nello svolgere tale compito l’organo giudicante dovrà tener conto della proporzionalità di tali adempimenti rispetto alla funzione economico-sociale del contratto sottoscritto tra i contraenti.
Dovrà altresì considerare come tali condotte vadano effettivamente ad incidere sull’equilibrio sinallagmatico del contratto, sulle reciproche posizioni delle parti e sugli interessi di queste ultima.
E soltanto nel caso in cui l’inadempimento di colui nei cui confronti è opposta l’eccezione di inadempimento non è grave o comunque è di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c. (ovvero rispetto all’interesse dell’altra parte), il giudice dovrà ritenere che il rifiuto di adempiere la prestazione da parte di chi invece ha proposto l’eccezione non sia giustificato ai sensi dell’art. 1460, comma 2, c.c. (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 22626 del 08.11.2016)
In conclusione, nonostante, come riferito dalla Cassazione, la mancata consegna del certificato di agibilità dell’immobile promesso in vendita da parte del promittente venditore potrebbe non determinare un “grave” inadempimento contrattuale ai sensi dell’art. 1453 c.c., tale violazione può comunque fondare la legittima proposizione di un’eccezione di inadempimento processuale da parte del promissario acquirente.
Testo della Sentenza
Cassazione Civile sez. II, 30.01.2020 n. 2196
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 22 giugno 1999 la XXX s.r.l. evocava, dinnanzi il Tribunale di Catania, G.F. e P. chiedendo la risoluzione del contratto preliminare, concluso fra le parti il (OMISSIS), avente ad oggetto l’immobile sito in (OMISSIS), con condanna alla restituzione del bene.
Il giudice adito, instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali spiegavano domanda riconvenzionale volta ad ottenere sentenza ex art. 2932 c.c. di trasferimento del medesimo immobile con riduzione del prezzo per vizi e difetti del bene, con sentenza n. 483/2008, in parziale accoglimento della domanda attorea, rigettata la riconvenzionale, dichiarava risolto per inadempimento dei convenuti, promissari acquirenti, il contratto preliminare.
I G. interponevano appello e la Corte di appello di Catania, costituiti i successori a titolo particolare della XXX s.r.l., M.G.C., + ALTRI OMESSI, accoglieva il gravame e in riforma della sentenza del giudice di prime cure, in accoglimento della riconvenzionale, trasferiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. l’immobile in favore degli appellanti, subordinando l’efficacia della traslazione al pagamento, da parte degli stessi, del residuo prezzo, determinato nella minor somma di Euro 37.734,73, così ridotto in accoglimento della domanda di riduzione del prezzo.
A sostegno della decisione impugnata la corte territoriale evidenziava che l’eccezione di inadempimento formulata dai convenuti, ai sensi dell’art. 1460 c.c., per mancata consegna del certificato di abitabilità, seppure non costituiva ipotesi di grave inadempimento ex art. 1453 c.c., tuttavia giustificava la condotta dei promissari acquirenti che pertanto legittimamente avevano rifiutato di accollarsi il mutuo ipotecario per la quota di spettanza, differendo tale atto al momento della stipula del contratto definitivo. In detta ottica era formulata la domanda riconvenzionale, trattandosi di reciproci inadempimenti. Aggiungeva che l’esistenza dei gravi difetti strutturali, accertati con c.t.u., giustificava la riduzione del prezzo.
Avverso detta sentenza i M. hanno proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi, cui resistono i G. con controricorso.
In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
In limine litis va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.
Essa è infondata giacchè il ricorso non risulta carente dei requisiti imposti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, essendo chiara l’esposizione dei fatti e dello sviluppo processuale, illustrati in modo da consentire al Collegio di rinvenire gli elementi indispensabili di conoscenza per la trattazione del ricorso, come meglio di seguito verrà illustrato.
Passando al merito, con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1460,1476 e 1477 c.c., per non avere il giudice di merito tenuto conto degli effetti meramente obbligatori del contratto preliminare di compravendita, con la conseguenza che il certificato di abitabilità avrebbe dovuto essere consegnato solo al momento della stipula del contratto definitivo, per cui non vi era stato alcun inadempimento da parte della promittente venditrice. In altri termini, il giudice del gravame avrebbe erroneamente equiparato i due momenti del contratto preliminare ad effetti obbligatori e del contratto definitivo ad effetti reali.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362,1454 e 1453 c.c., nonchè l’omesso esame di circostanza rilevante ai fini del decidere, che è stata oggetto di discussione, relativa all’effettiva volontà contrattuale delle parti. In particolare, i ricorrenti lamentano che il giudice del gravame abbia ritenuto requisito essenziale per l’adempimento la consegna del certificato di abitabilità già al momento della stipula del contratto preliminare, pure in assenza di una qualunque pattuizione al riguardo delle parti.
Con il terzo mezzo i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1460,1455 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 1460 c.c. in relazione agli artt. 1453 e ss., 1175 e 1375 c.c., oltre ad omesso esame da parte del giudice di merito di un fatto rilevante ai fini del decidere che è stato oggetto di discussione. Ad avviso dei ricorrenti la Corte territoriale erroneamente avrebbe ritenuto fondata la domanda riconvenzionale sul presupposto del mancato tempestivo rilascio del certificato di abitabilità, mentre detta circostanza non poteva costituire causa di imputabilità dell’inadempimento della promittente venditrice, neanche ai sensi dell’art. 1453 c.c.. Del resto i G. avevano denunciato gli asseriti vizi dell’immobile solo a seguito della notifica da parte della XXX di diffida di adempiere. Tutto ciò avrebbe dovuto indurre la corte territoriale a confermare il giudizio del primo giudice, essendo stata illegittimamente rilevata l’eccezione di inadempimento.
I motivi – da trattare congiuntamente per la evidente connessione argomentativa e logica che li avvince, riferendosi tutti, seppure sotto diversi profili, alla medesima circostanza del mancato tempestivo rilascio del certificato di abitabilità – sono inammissibili, in quanto non censurano l’autonoma ratio decidendi posta dalla Corte territoriale a fondamento dell’inadempimento della promittente venditrice. E d’altro canto le censure sollevate non possono trovare in ogni caso accoglimento.
I ricorrenti, infatti, non tengono conto dell’iter logico giuridico della sentenza gravata, da cui emerge chiaramente che era rimasto accertato, alla luce dell’indagine condotta dal giudice di merito, non solo che la promittente venditrice non aveva ottenuto il rilascio del certificato di abitabilità al momento della notifica della diffida ad adempiere, certificazione ottenuta solo nell’aprile 2013, già pendente l’odierno giudizio, ma anche la sussistenza di vizi strutturali, già di per sè idonei a consentire ai promissari acquirenti di sospendere il pagamento del prezzo equivalente ai ratei di mutuo ipotecario oggetto di accollo. Trattasi all’evidenza di reciproci inadempimenti che hanno indotto la corte territoriale a ritenere fondata l’eccezione sollevata dai promissari acquirenti ex art. 1460 c.c..
E’, infatti, appena il caso di puntualizzare l’irrilevanza della eventualità che il mancato rilascio della menzionata documentazione, ossia del certificato di abitabilità, fosse riconducibile a fatto della pubblica amministrazione ovvero che la pattuizione del pagamento del prezzo attraverso l’accollo del mutuo per i ratei in scadenza fosse stata concordata in considerazione dell’anticipato possesso del bene, atteso che a seguito del rapporto negoziale instaurato con i promissari acquirenti e dei conseguenti obblighi assunti nei confronti di questi ultimi, il promittente venditore aveva l’onere di attivarsi presso la pubblica amministrazione onde ottenere tempestivamente il certificato, indispensabile per accertare l’esistenza dei requisiti inerenti l’immobile oggetto del contratto preliminare. Infatti il mancato o il tardivo rilascio del suddetto certificato, a prescindere dalle cause che abbiano determinato una tale evenienza, comporta comunque l’inadempimento del promittente venditore agli obblighi contrattuali sussistenti verso il promissario acquirente.
Del resto le Sezioni Unite di questa Corte, con la pronuncia n. 7930 del 2008, hanno avuto modo di affermare il principio in base al quale l’anticipato possesso dell’immobile oggetto di compravendita va ricollegato ad una situazione di fatto, che si concretizza nell’esercizio di un potere oggettivo sulla cosa manifestantesi in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale. Tale principio non soffre deroga nei casi in cui il soggetto, che assume di essere possessore, abbia ricevuto il godimento dell’immobile per effetto di una convenzione negoziale, con la precisazione che, se la convenzione ha effetti obbligatori, perchè diretta ad assicurare il mero godimento della cosa, senza alcun trasferimento immediato o differito del bene, colui che, avendo ricevuto la consegna per questo solo scopo, si è immesso, nomine alieno, nel godimento del bene, necessariamente stabilisce con la cosa un rapporto di mera detenzione.
La situazione giuridica in esame, come evidenziato anche in dottrina, è, invero, il portato di una prassi contrattuale sviluppatasi, essenzialmente nel settore immobiliare, in ragione della sua attitudine a fornire uno strumento idoneo a soddisfare sollecitamente determinate esigenze delle parti, principalmente la disponibilità del bene per l’una e del denaro per l’altra, ma ben se ne possono agevolmente ipotizzare di ulteriori.
Sono usuali, al riguardo, particolarmente nella materia delle compravendite immobiliari, le ipotesi in cui il promittente venditore debba portare a termine procedimenti amministrativi di regolarizzazione dell’edificio od opere di completamento dell’edificio stesso o delle infrastrutture accessorie od estinguere ipoteche o mutui, in difetto di che non sussiste l’interesse e conseguentemente la volontà di perfezionare l’acquisto da parte del promissario acquirente; o quelle in cui quest’ultimo debba, a sua volta, procurarsi, anche in più riprese, le disponibilità necessarie alla corresponsione integrale del prezzo, il conseguimento del quale condiziona parimenti interesse e volontà del promittente venditore alla realizzazione della vendita.
Se tuttavia la volontà delle parti fosse stata di diverso tenore, vale a dire di subordinare il tempestivo rilascio del certificato di abitabilità all’accollo del mutuo da parte dei promissari acquirenti, ciò avrebbe dovuto formare oggetto di specifica clausola ed integrare un elemento essenziale del contratto.
Da tali considerazioni consegue, pertanto, che correttamente la corte di merito ha accertato, secondo una valutazione dei fatti non sindacabile in sede di legittimità, l’idoneità della mancanza di siffatto documento a giustificare l’exceptio ex art. 1460 c.c., e cioè la legittimità del rifiuto dell’accollo da parte dei promissari acquirenti del mutuo, inteso come pagamento e saldo del residuo prezzo di vendita.
Siffatto ordito argomentativo non ha formato oggetto di puntuale critica da parte dei ricorrenti, che si sono limitati ad una lettura frammentaria degli elementi di giudizio, senza comporre una valutazione complessiva degli stessi, spettando al giudice di merito il giudizio comparativo sui reciproci inadempimenti, valutazione che si sottrae al sindacato di legittimità ove sostenuti da motivazione logica ed adeguata, come nella specie.
Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1241,1242,1243 e 1249 c.c., per avere la corte di merito errato nel ritenere di ridurre l’ammontare del saldo del prezzo dedotto in contratto, così operando una illegittima compensazione giudiziale.
Il motivo è privo di pregio.
E’ pacifico che il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità, e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipenda da inerzia del Comune – nei cui confronti peraltro è obbligato ad attivarsi il promittente venditore – è giustificato, ancorchè si tratti di fenomeno occorso in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47, perchè l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono l’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, sì che i predetti certificati sono essenziali (Cass. 19 dicembre 2000 n. 15969).
In base a tale orientamento la corte territoriale, onerata del compito di accertare se i reciproci inadempimenti giustificassero le eccezioni sollevate, ha dedotto la legittimità del rifiuto di pagamento del saldo del prezzo da parte dei promissari acquirenti, ed espletata la c.t.u., ha ritenuto di ridurre il prezzo, giustificando siffatta operazione dalla presenza di vizi non trascurabili e non eliminabili altrimenti con un costo differente.
Nella vicenda in esame, dunque, la corte territoriale ha correttamente esaminato la fattispecie: dalla premessa delle reciproche inadempienze, ha concluso per la buona fede della condotta tenuta dai G., giustificando il loro inadempimento, rispetto all’accollo del mutuo, dal mancato rilascio del certificato di abitabilità, salvo poi accertare anche la presenza di gravi vizi, onde l’accoglimento della domanda di riduzione del prezzo.
Il giudice del gravame ha, inoltre, ritenuto che non fossero dovuti gli interessi, perchè l’inadempimento dei promissari acquirenti è stato valutato legittimo, per cui i danni per vizi andavano (correttamente) detratti dall’unitario prezzo concordato.
Tale accertamento è stato basato su circostanze di fatto e sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, che la corte ha fatto proprie, per cui per essere fondati i lamentati errori e le dedotte lacune della consulenza, rilevando quale vizio di motivazione della sentenza, è necessario che essi si traducano in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche e scientificamente errate, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del consulente e quelle della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico; al di fuori di tale ambito la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice (Cass. 17 aprile 2004 n. 7341).
La corte di merito, quindi, giustificando l’inadempimento di parte controricorrente, sulla base della consulenza tecnica, ha ritenuto di accogliere la domanda ex art. 2932 c.c. di esecuzione in forma specifica del preliminare e, per l’effetto, condizionarla al versamento del saldo del prezzo da cui, in considerazione dei vizi accertati, non poteva non essere detratto l’importo occorrente per l’eliminazione degli stessi.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Ne consegue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese sostenute dai controricorrente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna i ricorrente, in solido, alla rifusione in favore dei controricorrente delle spese di legittimità che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misure del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-qualer inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, il 26 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020