Cassazione 2020: se il condominio sostituisce la delibera impugnata cessa la materia del contendere

Avv. Pino Cupito

Il caso:

Un condomino impugna, ex art. 1137 c.c., una delibera condominiale tacciandone l’invalidità per molteplici motivazioni.

Il convenuto Condominio eccepisce in causa di aver provveduto ad approvare nelle more successive delibere assembleari che di fatto hanno sanato le invalidità e le illegittimità della precedente delibera oggetto di impugnazione.

In primo grado, il Tribunale adito annulla la delibera impugnata e nega la cessazione della materia del contendere in ragione dell’impugnazione da parte del condomino attore anche delle successive deliberazioni nonché dell’interesse di quest’ultimo ad ottenere una decisione di merito sulla lite.

Il Condominio propone quindi appello e la Corte investita della causa dichiara cessata la materia del contendere compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio tra le parti, rilevando che le successive delibere condominiali avevano cambiato la situazione giuridica in contestazione e l’inutilità della pronuncia richiesta.

La decisione:

Nel recente pronunciato (testo integrale dell’ordinanza in calce all’articolo), la Corte di Cassazione si occupa della particolare fattispecie che si verifica allorchè un condomino impugni una delibera assembleare ed il Condominio, quale parte resistente nel giudizio di impugnazione, ravvedendosi delle cause di invalidità che inficiano la delibera impugnata, provveda ad adottare, nelle more del processo, una successiva delibera con il preciso fine di far venir meno la materia del contendere.

La Cassazione, infatti, ribadisce chiaramente che, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi in materia, nelle ipotesi di impugnazione delle delibere condominiali, quando il provvedimento impugnato venga sostituito con una successiva delibera assembleare che si ponga in linea con le previsioni di legge, tale condotta riparatoria del Condominio produce l’effetto di far venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determinando al contempo e conseguentemente la cessazione della materia del contendere nel processo di impugnazione.

Ciò che residuerebbe, dell’originario processo di impugnazione, sarebbe soltanto la questione attinente la pronuncia finale sulle spese con una valutazione virtuale di soccombenza da parte del giudice.

Naturalmente, affinché la nuova delibera condominiale possa produrre tale effetto “sanante” e “retroattivo”, è sicuramente necessario che, nelle more del processo di impugnazione instaurato dal condomino, la deliberazione tacciata di invalidità sia sostituita dal Condominio diligente con un’altra delibera assembleare che:

  1. presenti un contenuto identico alla precedente;
  2. abbia ad oggetto gli stessi argomenti deliberati dall’assemblea di Condominio;
  3. non presenti più le cause di invalidità che hanno provocato l’impugnazione giudiziale da parte del condomini;

Diversamente, qualora il Condominio intenda revocare la precedente delibera assembleare e procedere all’adozione di una nuova delibera avente però portata e contenuti nuovi, non si verificherà l’effetto processuale della cessazione della materia del contendere in quanto non si produrrà l’effetto sanate e retroattivo sopra indicato e gli effetti della nuova decisione decorreranno soltanto dalla data di adozione.

Testo dell’ordinanza

Cassazione Civile Ordinanza – Sez. 6 – n. 10847 – Anno 2020

Data pubblicazione: 08/06/2020

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

XXX propone ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 1759/2018 pronunciata il 26 luglio 2018 dalla Corte d’Appello di Catania.

Il Condominio YYY resiste con controricorso.

Con citazione del 21 maggio 2015 XXX impugnò ex art. 1137 c.c., per motivi attinenti al procedimento di convocazione ed alla costituzione dell’assemblea, nonché alle condizioni dettate dall’art. 71 bis disp. att. c.c., la deliberazione adottata in data 9 dicembre 2014 dal Condominio YYY avente ad oggetto la nomina di un amministratore in sostituzione del precedente revocato.

Il convenuto Condominio YYY eccepì l’avvenuta approvazione di successive delibere che avrebbero sanato la deliberazione impugnata. Con sentenza del 20 aprile 2016 il Tribunale di Catania annullò la delibera del 9 dicembre 2014, negando la cessazione della materia del contendere, stante l’impugnazione anche delle successive deliberazioni e la persistenza dell’interesse ad una decisione di merito sulla lite.

Proposto gravame dal Condominio YYY, la Corte d’appello di Catania dichiarò cessata la materia del contendere e compensò tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi, rilevando come le successive delibere del 16 febbraio 2015, del 22 settembre 2015 e del 6 giugno 2016 (ed in particolare l’ultima, che aveva riconfermato la nomina dell’amministratore già designato nella riunione del 9 dicembre 2014) avessero mutato “la situazione giuridica in contestazione, in modo da rendere inutile la pronuncia richiesta alla Corte, essendosi verificata una situazione in fatto ed in diritto nuova rispetto a quella esistente al tempo della prima impugnazione”.

In particolare, avendo le successive assemblee “deliberato sui medesimi argomenti della delibera oggetto dell’impugnazione, ponendo in essere un atto sostanzialmente sostitutivo di quello invalido”, per la Corte di Catania occorreva affermare la cessazione della materia del contendere.

Il primo motivo di ricorso di XXX denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per “omessa pronuncia su fatto decisivo per il giudizio”, consistente nel “motivo di opposizione all’appello” del Condominio YYY, con cui si contestava il difetto dell’interesse ad agire dell’appellante, il quale aveva impugnato la sentenza di primo grado solo per far valere l’avvenuta sostituzione della deliberazione assembleare del 9 dicembre 2014 con altra che aveva fatto cessare la materia del contendere.

Il secondo motivo di ricorso censura la “violazione e/o falsa applicazione delle norme che disciplinano il principio della cessazione della materia del contendere e della soccombenza virtuale di cui all’art. 306 c.p.c.”, deducendosi l’errore della Corte di Catania nel ritenere sanata la deliberazione assembleare originariamente impugnata con altra successivamente approvata, senza aver verificato la sussistenza effettiva delle condizioni della cessazione della materia del contendere.

Il terzo motivo di ricorso assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto sussistere giusti motivi di compensazione delle spese processuali di entrambi i gradi, invece che decretare la soccombenza integrale del Condominio.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato limitatamente al suo terzo motivo, ed invece manifestamente infondato nei suoi Corte di Cassazione – copia non ufficiale primi due motivi, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, per la loro connessione, e si rivelano infondati.

Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall’assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall’art. 2377, comma 8, c.c. dettato in tema di società di capitali (Cass. Sez. 6 – 2, 11/08/2017, n. 20071; Cass. Sez. 2, 10/02/2010, n. 2999; Cass. Sez. 2, 28/06/2004, n. 11961), rimanendo affidata soltanto la pronuncia finale sulle spese (a differenza, peraltro, di quel che espressamente statuisce il medesimo comma 8 dell’art. 2377 c.c., nel testo successivo al d.lgs. n. 6 del 2003, il quale dispone che “… il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società…”) ad una valutazione di soccombenza virtuale.

La cessazione della materia contendere conseguente alla revoca assembleare della delibera impugnata si verifica anche quando la stessa sia stata sostituita con altra dopo la proposizione dell’impugnazione ex art. 1137 c.c., in quanto la sussistenza dell’interesse ad agire deve valutarsi non solo nel momento in cui è proposta l’azione, ma anche al momento della decisione.

In particolare, quanto al primo motivo di ricorso, che ravvisa un’omessa pronuncia della Corte di Catania sull’eccezione di insussistenza di un interesse del Condominio ad appellare la sentenza di primo grado, va evidenziato come la sentenza impugnata abbia, al contrario, espressamente esaminato tale eccezione a pagina 4, sicché il ricorrente avrebbe dovuto dedurre soltanto la violazione di norma di diritto con riguardo alla decisione raggiunta, e non lamentare il difetto di attività del giudice.

E’ peraltro evidente che, a fronte di una sentenza di primo grado che abbia annullato la deliberazione condominiale impugnata ai sensi dell’art. 1137 c.c. ed abbia condannato il convenuto Condominio alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’attore (come avvenuto nella specie con la decisione resa dal Tribunale di Catania), sussiste l’interesse ad impugnare del soccombente che pretenda la declaratoria di cessazione della materia del contendere, per l’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame può derivargli.

Invero, ove il giudice dell’appello constati la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall’assemblea in conformità della legge, la dichiarazione di cessazione della materia del contendere determina il venir meno dell’efficacia della sentenza di primo grado appellata per una ragione attinente al “merito” della controversia, non potendosi perciò affatto configurare un disinteresse del Condominio soccombente a proporre gravame (arg. da Cass. Sez. U, 11/04/2018, n. 8980).

Nel caso in esame, il condomino XXX aveva impugnato la deliberazione approvata il 9 dicembre 2014 dal Condominio YYY, avente ad oggetto la nomina dell’amministratore, lamentando l’omessa convocazione, l’incompletezza dell’ordine del giorno, l’insussistenza dei quorum costitutivo e deliberativo, la mancanza dei requisiti di cui all’art. 71 bis disp. att. c.c. in capo al soggetto incaricato.

La Corte d’appello ha accertato che quanto meno l’assemblea del 6 giugno 2016 aveva sostituito la delibera del 9 dicembre 2014, rinnovando la nomina dell’amministratore.

Perché possa verificarsi la rinnovazione sanante con effetti retroattivi, alla stregua dell’art. 2377, comma 8, c.c., è necessario che la deliberazione impugnata sia sostituita con altra che abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della prima deliberazione, ferma soltanto l’avvenuta rimozione dell’iniziale causa di invalidità (Cass. Sez. 2, 09/12/1997, n. 12439; Cass. Sez. 2, 30/12/1992, n. 13740; Cass. Sez. 2, 19/04/1988, n. 3069). Ove, invece, l’assemblea decida di revocare la precedente deliberazione e di adottarne altra avente una portata organizzativa del tutto nuova, gli effetti di quest’ultima decorrono soltanto da quando sia stata assunta.

Con riguardo all’efficacia sanante retroattiva attribuita dalla Corte d’appello alla delibera del 6 giugno 2016, che ha riconfermato la nomina dell’amministratore, i giudici del merito, nell’ambito di apprezzamento di fatto loro spettante, sindacabile in sede di legittimità soltanto nei limiti di cui al vigente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., hanno così verificato l’avvenuta rimozione della precedente causa di invalidità della delibera del 9 dicembre 2014, ed accertato, ai limitati fini della ratifica-rinnovazione, che la più recente deliberazione fosse immune da vizi.

2. E’ invece manifestamente fondato il terzo motivo, nei termini di seguito precisati.

La Corte d’appello di Catania, dichiarata cessata la materia del contendere, ha ritenuto sussistere “giusti motivi, in considerazione della particolarità e del complessivo esito della controversia, con la reciproca parziale soccombenza di entrambe le parti, per compensare integralmente le spese dei due gradi del giudizio”.

Ove tuttavia il giudice rilevi la cessazione della materia del contendere in tema di impugnazione di delibera condominiale, analogamente a quanto disposto dall’art. 2377, comma 8, c.c. (il quale peraltro stabilisce che “… il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società …”), la pronuncia finale sulle spese viene regolata sulla base di una valutazione di soccombenza virtuale, sicché il giudice del merito deve espressamente procedere ad un complessivo ed unitario giudizio circa l’originaria fondatezza delle contrapposte domande ed eccezioni proposte dalle parti, al fine di decidere circa la incidenza della potenziale soccombenza sull’onere delle spese.

La nozione di soccombenza reciproca, cui fa cenno la Corte d’appello di Catania (senza però fornire alcuna motivazione al riguardo), e che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, sottende – anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo (Cass. Sez. 1, 24/04/2018, n. 10113; Cass. Sez. 6 – 2, 23/09/2013, n. 21684; Cass. Sez. 3, 21/10/2009, n. 22381).

Nella specie, avendo la Corte d’appello ritenuto che l’annullamento della deliberazione (invalida) non poteva avere luogo – essendo stata la stessa sostituita con altra legittima -, e così dichiarato cessata la materia del contendere in ordine all’unica domanda oggetto di causa, non risulta sussistere alcuna virtuale soccombenza reciproca tra le parti.

Altrimenti, per giustificare la compensazione delle spese, trattandosi di giudizio introdotto il 21 maggio 2015, occorre dare applicazione, ratione temporis, all’art. 92, comma 2, c.p.c., come sostituito dall’art. 13, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, modificato in sede di conversione dalla I. 10 novembre 2014, n. 162 (testo invero operante per i procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della citata legge di conversione).

In forza di tale norma, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, soltanto se vi è soccombenza reciproca, ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, o ancora, «qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni» (ciò a seguito della sentenza 19 aprile 2018, n. 77, della Corte Costituzionale).

In tale regime, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per gravi ed eccezionali ragioni” deve comunque essere esplicitamente motivato e riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (cfr. Cass. Sez. U, 22/02/2012, n. 2572).

III. Il terzo motivo di ricorso va perciò accolto, mentre vanno rigettati i primi due motivi, e la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti della censura accolta, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Catania, la quale esaminerà nuovamente il profilo legato alla regolamentazione delle spese dei gradi di merito e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due motivi, cassa la sentenza impugnata limitatamente alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Catania.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 9 gennaio 2020.

 

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