Avv. Pino Cupito
La Cassazione nella recente sentenza in commento (sent. n. 25790 del 13.11.2020 testo integrale in calce) analizza una fattispecie particolarmente sentita nei condomini, ovvero l’istallazione, da parte del singolo condomino, di una canna fumaria in appoggio alla facciata del fabbricato.
Si discute in particolare dell’applicazione dell’articolo 1102 comma 1 c.c. secondo il quale:
“Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.”
Rispetto a tale norma la suprema Corte approfondisce in particolare il fumoso concetto di “decoro architettonico” del palazzo.
Tale espressione, secondo la giurisprudenza si riferisce alla fisionomia dell’edificio condominiale ed è per questo identificabile come un bene comune ai sensi dell’art. 1117 c.c..
Il mantenimento del decoro architettonico è tutelato a prescindere dal fatto che le eventuali modifiche che saranno eseguite sul fabbricato siano piacevoli e/o valide sotto il profilo meramente estetico.
Per tali ragioni, tale concetto non si lega solo alla mera estetica del palazzo ma inerisce anche alle condizioni dei singoli elementi o delle parti che lo compongono.
Bisogna poi fare una differenza fondamentale: una cosa è il “decoro architettonico”, altra cosa è l’“aspetto architettonico”.
Quest’ultimo riguarda in realtà, come si evince dall’art. 1127 c.c., il limite alle sopraelevazioni; limite che si valuta sulla base delle caratteristiche stilistiche del fabbricato condominiale e sulla verifica del danno economico valutabile.
Diversamente, come detto, il decoro architettonico si riferisce alle linee essenziali ovvero alla fisionomia del palazzo condominiale, alla sua particolare struttura estetica e alla sua armonica complessiva: caratteristiche queste che conferiscono allo stabile una sua particolare identità.
Dunque, venendo al punto, la Cassazione stabilisce che l’appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale rappresenta una modifica della cosa comune.
E tale modifica, seppur conforme alla destinazione della cosa comune, può essere eseguita da ciascun condomino a sue cure e spese, a meno che detta modifica:
- non impedisca l’uso paritario degli altri condomini della medesima cosa comune;
- non rechi ovviamente pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza del palazzo;
- non ne alteri il decoro architettonico complessivamente considerato.
L’alterazione del decoro architettonico, infatti, chiarisce la sentenza, è un fenomeno che non va confuso con la modifica delle originali linee architettoniche del fabbricato condominiale.
Al contrario il pregiudizio del decoro si verifica allorché la nuova opera eseguita va ad impattare in modo negativo sull’armonia e sull’aspetto “complessivo” dello stabile.
E ciò anche a prescindere dal fatto che l’edificio sul quale avviene l’intervento modificatore abbia in sé un suo pregio.
Ma v’è di più.
La Corte, ai fini della tutela prevista dall’art. 1102 c.c., non valuta come importante neppure il grado di visibilità delle innovazioni realizzate dal condomino in relazione ai diversi punti di osservazione dell’edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate.
A norma dell’art. 1102, comma 1 c.c., applicabile al condominio negli edifici in virtù del rinvio operato dall’art. 1139 c.c., ciascun condomino può apportare a sue spese le “modificazioni” necessarie per il migliore godimento delle cose comuni, sempre che osservi il duplice limite di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso, secondo il loro diritto.
Entro questi limiti, perciò, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti, ciascun condomino può servirsi altresì dei muri perimetrali comuni dell’edificio ed appoggiarvi tubi, fili, condutture, targhe, tende e altri manufatti analoghi.
Testo della Sentenza
Cassazione Civile, Sez. 2, Sent. 25790 del 13.11.2020
FATTI DI CAUSA
La “Omissis” (già “Omissis”) ha proposto ricorso articolato in nove motivi avverso la sentenza n. 315/2015 della Corte d’appello di Trieste, depositata il 12 maggio 2015.
Resiste con controricorso il Condominio “Omissis”, Vicolo XXX, XXX.
La Corte d’appello di Trieste ha respinto il gravame avanzato dalla “Omissis” contro l’ordinanza 19 giugno 2012 resa dal Tribunale di Pordenone su ricorso ex art. 702 bis c.p.c. della stessa società, la quale aveva domandato di accertare il proprio diritto a realizzare sulla facciata retrostante dell’edificio del Condominio “Omissis”, Vicolo “XXX”, una condotta di aspirazione imposta dall’amministrazione sanitaria e destinata a servizio dell’attività commerciale di ristorazione svolta nell’unità immobiliare di proprietà dell’attrice.
Il giudice di primo grado ritenne che la canna fumaria deturpasse l’architettura del fabbricato.
Fu avanzato appello con atto del 17 luglio 2012 dalla “Omissis”, sul presupposto che la canna fumaria non ledesse il decoro architettonico, giacché inserita in una facciata condominiale posteriore, già caratterizzata dalla presenza di altri manufatti.
La Corte di Trieste ha evidenziato come, che si tratti di canna fumaria o di condotta di aspirazione, la relativa tubazione, per quanto affermato dall’espletata CTU, avrebbe leso la linearità dell’edificio ed avrebbe avuto un impatto significativo su di una facciata avente mensole, ringhiere, travetti ed altri elementi di dimensioni “esili”, per ottenere la “leggerezza ricercata dal progettista per l’involucro del fabbricato”.
La sentenza impugnata ha poi ritenuto inutile un sopralluogo, trovando riscontro l’impianto nella documentazione fotografica allegata.
Inoltre, ha aggiunto la Corte d’appello, “l’installazione causerebbe (a parte le emissioni di odori e la costituzione di un precedente) aspetti pregiudizievoli nei confronti dell’edificio per quanto attiene il superamento della linda, che non risulta fattibile se non con interventi ulteriormente impattivi dal punto di vista del decoro architettonico”.
Le soluzioni alternative proposte nel corso nel giudizio di appello, infine, sono state ritenute dalla Corte di Trieste estranee alle allegazioni originarie e da sottoporre al Condominio.
Venne rinviata l’udienza pubblica inizialmente fissata per il giorno 7 aprile 2020.
Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
RAGIONE DELLA DECISIONE
1.11 primo motivo di ricorso della “Omissis” deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione ove l’affermazione “l’installazione causerebbe (a parte le emissioni di odori e la costituzione di un precedente)”, contenuta nella sentenza impugnata, costituisse una ratio decidendi, essendosi discusso in giudizio della sola lesione al decoro architettonico.
1.1. Tale motivo di ricorso va ritenuto inammissibile per difetto di interesse all’impugnazione, in quanto censura per vizio di ultrapetizione un argomento in sé del tutto superfluo, che il giudice di appello, confermando la sentenza impugnata per ragioni di per sé sufficienti al rigetto del gravame, ha ritenuto di aggiungere. Nonostante l’effetto sostitutivo della sentenza d’appello, il riferimento alla “emissione di odori” operato dalla Corte di Trieste non riveste alcuna influenza sulla pronuncia adottata, e, in quanto considerazione fatta in via di abbondanza, resta un obiter dictum (cfr. Cass. Sez. L, 07/06/1995, n. 6397).
2.11 secondo motivo di ricorso della “Omissis” denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102, comma 1, c.c.: assume la ricorrente che, essendo la fattispecie in esame fuori dall’ambito di operatività dell’art. 1122 c.c., come modificato dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, e dovendo trovare applicazione soltanto l’art. 1102 c.c., quest’ultima norma pone quale limite all’uso della cosa comune l’alterazione della destinazione, e non anche il “semplice mutamento dell’aspetto architettonico”, ovvero il “pregiudizio al decoro architettonico”; né potrebbe estendersi all’art. 1102 c.c. il limite del decoro architettonico stabilito per le innovazioni dall’art. 1120 c.c..
Il terzo motivo di ricorso allega, sotto altro profilo, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c..
Si premette dalla ricorrente che la nozione di “decoro architettonico”, in quanto clausola generale, consente un sindacato anche in sede di legittimità, e perciò si evidenzia come il pregiudizio al medesimo decoro non possa ravvisarsi in un semplice mutamento dell’aspetto del fabbricato, occorrendo, piuttosto, una lesione dell’insieme della sua armonica fisionomia.
2.1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.
La Corte d’appello di Trieste, apprezzando in fatto le risultanze della CTU e le riproduzioni fotografiche, ha affermato che la tubazione della canna fumaria, o condotta di aspirazione, che avrebbe voluto installare la condomina “Omissis”, arrecasse pregiudizio alla linearità dell’edificio, cagionando un impatto significativo su di una facciata avente mensole, ringhiere, travetti ed altri elementi con caratteristiche di “esilità”, secondo l’idea progettuale del fabbricato.
E’ conforme all’interpretazione consolidata di questa Corte l’affermazione secondo cui l’utilizzazione con impianti destinati a servizio esclusivo di un’unità immobiliare di proprietà individuale di parti comuni dell’edificio condominiale (nella specie: installazione di una canna fumaria a servizio dell’attività di ristorazione esercitata nella proprietà della condomina “Omissis”) esige il rispetto delle regole dettate dall’art. 1102 c.c.
La domanda, quale quella in esame, azionata da un condomino per accertare la legittimità dell’uso di una parte comune, quale, nella specie, la facciata dell’edificio, in base al disposto di cui all’art. 1102 c.c., ha natura reale, in quanto si fonda sulla verifica dei limiti del diritto di comproprietà su un bene.
Al fine di conclamare la legittimità dell’uso particolare del bene comune, ai sensi dell’art. 1102 c.c., spetta al giudice di verificare altresì se l’opera arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio condominiale, trattandosi di limite legale compreso nel principio generale dettato da tale norma e che perciò deve guidare l’indagine giudiziale sulla verifica delle condizioni di liceità del mutamento di uso.
In particolare, l’appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale individua una modifica della cosa comune che, seppur conforme alla destinazione della stessa, ciascun condomino può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio e non ne alteri il decoro architettonico; fenomeno -quest’ultimo – che si verifica non già quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull’insieme dell’armonico aspetto dello stabile, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio.
Neppure può attribuirsi alcuna influenza, ai fini della tutela prevista dall’art. 1102 c.c., al grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell’edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate (Cass. Sez. 2, 16/01/2007, n. 851).
La relativa valutazione spetta al giudice di merito (e risulta compiuta, sia pur succintamente, alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata, avendo riguardo a dimensioni, consistenza e tipologia del manufatto), rimanendo insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. 2, 31/07/2013, n. 18350; Cass. Sez. 2, 23/02/2012, n. 2741; Cass. Sez. 2, 11/05/2011, n. 10350; Cass. Sez. 2, 10/05/2004, n. 8852; Cass. Sez. 2, 16/05/2000, n. 6341; Cass. Sez. 2, 05/10/1976, n. 3256).
Ha ragione la ricorrente a sostenere che l’art. 1102 c.c. e l’art. 1120 c.c. sono disposizioni non sovrapponibili, avendo presupposti ed ambiti di operatività diversi. Le innovazioni, di cui all’art. 1120 c.c., non corrispondono alle modificazioni, cui si riferisce l’art. 1102 c.c., atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, 19/10/2012, n. 18052).
In realtà, tra le nozioni di modificazione della cosa comune e di innovazione (e, pertanto, tra le sfere di operatività delle norme di cui all’art. 1102 e dell’art. 1120 c.c.) corre una differenza che è di carattere innanzitutto soggettivo, giacché, fermo il tratto comune dell’elemento obiettivo consistente nella trasformazione della “res” o nel mutamento della destinazione, quel che rileva nell’art. 1120 c.c. (mentre è estraneo all’art. 1102 c.c.) è l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata dei partecipanti, espresso da una deliberazione dell’assemblea.
Le modificazioni dell’uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c., non si confrontano con un interesse generale, poiché perseguono solo l’interesse del singolo, laddove la disciplina delle innovazioni segna un limite alle attribuzioni dell’assemblea (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712).
Non di meno, e in ciò sta l’infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso, anche alle modificazioni apportate dal singolo condomino, ex art. 1102 c.c., si applica, per identità di “ratio”, il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato previsto in materia di innovazioni dall’art. 1120 dello stesso codice (Cass. Sez. 2, 29/01/2020, n. 2002; Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712; Cass. Sez. 2, 31/07/2013, n. 18350; Cass. Sez. 2, 22/08/2012, n. 14607; Cass. Sez. 2, 22/08/2003, n. 12343; Cass. Sez. 2, 29/03/1994, n. 3084; Cass. Sez. 2, 14/01/1977, n. 179).
Tanto meno trova applicazione per le modifiche della facciata dell’edificio l’art. 1122 c.c., che viene richiamato nel secondo motivo, in quanto tale norma, sia prima che dopo la modifica introdotta con la legge n. 220 del 2012, ha riguardo alle opere fatte dal condomino nella porzione o unità immobiliare di proprietà esclusiva (o comunque “destinata all’uso individuale”).
Osserva la ricorrente, tuttavia, che per l’art. 1102, comma 1, c.c., rileva soltanto l’alterazione della destinazione della cosa comune, e non anche il pregiudizio del decoro architettonico, contemplato unicamente dall’art. 1120 c.c. Deve, invece ribadirsi, che il Codice civile stabilisce diverse limitazioni alle modifiche all’uso delle parti comuni, secondo che vengono apportate dai singoli o deliberate dai partecipanti riuniti in assemblea.
A norma dell’art. 1102, comma 1, c.c. , applicabile al condominio negli edifici in virtù del rinvio operato dall’art. 1139 c.c., ciascun condomino può apportare a sue spese le “modificazioni” necessarie per il migliore godimento delle cose comuni, sempre che osservi il duplice limite di non alterare la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso, secondo il loro diritto.
Entro questi limiti, perciò, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti, ciascun condomino può servirsi altresì dei muri perimetrali comuni dell’edificio ed appoggiarvi tubi, fili, condutture, targhe, tende e altri manufatti analoghi.
Per quanto già ricordato in precedenza, allora, alle “modificazioni” consentite al singolo ex art. 1102, comma 1, c.c., sebbene esse non alterino la destinazione delle cose comuni, si applica altresì il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato, statuito espressamente dall’art. 1120 c.c. in tema di innovazioni.
Ritenendo che il divieto di ledere il decoro architettonico del fabbricato – previsto esplicitamente per le nuove opere, deliberate dall’assemblea – non riguardi anche le modificazioni, apportate a vantaggio proprio dal singolo condomino, questi, operando individualmente, subirebbe, nell’uso delle parti comuni, restrizioni minori di quante ne incontri la maggioranza dei partecipanti riuniti in assemblea (così Cass. Sez. 2, 29/03/1994, n. 3084; Cass. Sez. 2, 14/01/1977, n. 179).
Altrimenti, proprio dal collegamento che deve comunque farsi tra l’art. 1102, l’art. 1120 e l’art. 1122 c.c., questa Corte ha specificato come l’istallazione sulla facciata dell’edificio condominiale di una canna fumaria, di pertinenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, non debba recare danno alla cosa comune, alterandone il decoro architettonico (Cass. Sez. 2, 31/07/2013, n. 18350).
3.11 quarto motivo di ricorso della “Omissis” deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per l’acritica adesione della sentenza della Corte di Trieste alla C.T.U., quanto alla ravvisata lesione del decoro architettonico, identificata con la semplice simmetria della facciata.
Il quinto motivo di ricorso della “Omissis” deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non risultando dalla C.T.U. che l’apposizione della canna fumaria comportasse un’alterazione significativa della unitarietà di linee e di stile dell’edificio.
Il sesto motivo di ricorso deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in quanto la lesione del decoro architettonico suppone l’accertamento di un’alterazione che possa procurare un pregiudizio estetico suscettibile di una apprezzabile valutazione economica, dato eluso dalla C.T.U.
Il settimo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non avendo la sentenza impugnata comparato il criterio estetico con quello utilitario, quanto al carattere di essenzialità della canna fumaria per la utilizzazione dell’immobile di proprietà della “Omissis”.
3.1. I motivi dal quarto al settimo, che possono essere esaminati congiuntamente, rivelano diffusi profili di inammissibilità, e sono comunque infondati. L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Il ricorrente, quindi, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.
Non integrano, pertanto, il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. le considerazioni svolte nei motivi quarto, quinto, sesto e settimo del ricorso, che si limitano a contrapporre una diversa opinione circa l’insussistenza del pregiudizio al decoro architettonico, con riguardo agli accertamenti inerenti alla “bellezza” dell’edificio, alla “non trascurabile entità della unitarietà di linee e di stile”, al “deprezzamento” del fabbricato o alla “essenzialità” della canna fumaria.
E’ evidente come tali doglianze non indicano “fatti” in senso storico e normativo, ossia fatti principali, ex art. 2697 c.c., o fatti secondari (cioè fatti dedotti ed affermati in funzione di prova di un fatto principale), precisi accadimenti ovvero circostanze in senso storico-naturalistico, o dati materiali, episodi fenomenici.
La nozione di decoro architettonico, contemplata dagli artt. 1120, comma 4, 1122, comma 1, e 1122-bis c.c., e sottesa, come visto, anche ai limiti di uso della cosa comune ex art. 1102 c.c., ha una portata diversa da quella di “aspetto architettonico”, cui si riferisce l’art. 1127, comma 3, c.c., quale limite alle sopraelevazioni. Il giudizio relativo all’impatto della sopraelevazione sull’aspetto architettonico dell’edificio va condotto esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell’immobile condominiale e verificando l’esistenza di un danno economico valutabile (cfr. Cass. Sez. 6-2, 12/09/2018, n. 22156; Cass. Sez. 6-2, 28/06/2017, n. 16258; Cass. Sez. 2, 15/11/2016, n. 23256; Cass. Sez. 2, 24/04/2013, n. 10048; Cass. Sez. 2, 07/02/2008, n. 2865; Cass. Sez. 2, 22/01/2004, n. 1025; Cass. Sez. 2, 27/04/1989, n. 1947).
Viceversa, il decoro architettonico attiene a tutto ciò che si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia estetica ed armonica, che contribuisce a dare ad esso una sua specifica identità (si veda, ad es., Cass. Sez. 2, 30/08/2004, n. 17398).
Ai fini della tutela del decoro architettonico dell’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale fisionomia sia stata già gravemente ed evidentemente compromessa da precedenti interventi sull’immobile (Cass. Sez. 2, 19/06/2009, n. 14455; Cass. Sez. 2, 14/12/2005, n. 27551; Cass. Sez. 2, 30/08/2004, n. 17398).
Neppure è decisiva la diminuzione di valore economico correlata alla modifica, in quanto, ove, come nella specie, sia accertata una alterazione della fisionomia architettonica dell’edificio condominiale, per effetto della realizzazione di una canna fumaria apposta sulla facciata, il pregiudizio economico risulta conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico, che, costituendo una qualità del fabbricato, è tutelata – in quanto di per sé meritevole di salvaguardia – dalle norme che ne vietano l’alterazione (così Cass. Sez. 2, 31/03/2006, n. 7625; Cass. Sez. 2, 24/03/2004, n. 5899; Cass. Sez. 2, 15/04/2002, n. 5417).
Non rileva altresì che si tratti della facciata principale o di una facciata secondaria dell’edificio, in quanto, nell’ambito del condominio edilizio, le facciate stanno ad indicare l’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che connotano il fabbricato, imprimendogli una fisionomia autonoma e un particolare pregio estetico.
La facciata rappresenta, quindi, l’immagine stessa dell’edificio, la sua sagoma esterna e visibile, nella quale rientrano, senza differenza, sia la parte anteriore, frontale e principale, che gli altri lati dello stabile. Ancora, non è un “fatto”, ai fini dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’essenzialità, che si prospetta nel settimo motivo, della installazione della canna fumaria per consentire lo svolgimento di un’attività di ristorazione all’interno di un edificio condominiale.
E’ vero che, agli effetti dell’art. 1102 c.c., con particolare riguardo proprio al muro perimetrale del fabbricato, bisogna ritenere che vada preservato l’uso potenziale, spettante a tutti i condomini, di collocarvi gli impianti che possano considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità dei rispettivi appartamenti, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene (cfr. Cass. Sez. 2, 15/07/1995, n. 7752; Cass. Sez. 2, 18/06/1991, n. 6885; Cass. Sez. 2, 05/12/1990, n. 11695).
Non può, però, con gli stessi argomenti giustificarsi l’esigenza di un condomino di trarre dal bene comune una utilità aggiuntiva e più intensa, sia pure in spregio al decoro architettonico dell’edificio, per consentirgli lo svolgimento di un’attività commerciale o industriale.
Il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo del ricorso della “Omissis”, appigliandosi al parametro del vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., intendono, allora, indurre questa Corte ad una rivalutazione delle emergenze istruttorie, e non ad un controllo di legittimità, sollecitando una nuova indagine di fatto rivolta a stabilire se in concreto ricorra il denunciato pregiudizio all’aspetto dell’edificio, e proponendo apprezzamenti difformi da quelli operati nella sentenza impugnata.
Il concetto di “decoro architettonico”, come tutti quelli elaborati dalle scienze idiografiche (qual è appunto l’architettura), che non poggiano su leggi generalizzabili, ma studiano oggetti singoli, non è connotato dall’assolutezza dell’inferenza induttiva tipica delle scienze che, al contrario, elaborano frequenze statistiche direttamente rilevanti per l’accertamento del fatto litigioso.
Si tratta, perciò, di nozione che la legge configura con disposizione delineante un modulo generico, il quale richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante l’accertamento della concreta ricorrenza, nella vicenda dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo, ponendosi sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici.
Quanto, infine, all’adesione prestata dalla Corte di Trieste alle conclusioni peritali, spetta comunque al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuale dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono. Tale valutazione non può essere sindacata in sede di legittimità invocando dalla Corte di cassazione un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in maniera da pervenire ad una nuova validazione e legittimazione dei risultati dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.
4.L’ottavo motivo di ricorso della “Omissis” deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., ovvero, in subordine, l’omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., con riguardo all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui “l’installazione causerebbe … aspetti pregiudizievoli nei confronti dell’edificio per quanto attiene il superamento della linda, che non risulta fattibile se non con interventi ulteriormente impattivi dal punto di vista del decoro architettonico”. La ricorrente contesta che l’inserimento nel tetto di una canna fumaria di pochi centimetri di diametro possa costituire di per sé lesione del decoro architettonico; mancherebbe, in ogni caso, la motivazione sul punto.
4.1. L’ottavo motivo di ricorso è inammissibile: con esso si intende far valere la divergenza della ricostruzione fattuale operata dalla Corte d’appello rispetto al convincimento soggettivo della ricorrente, prospettando un più appagante coordinamento dei dati acquisiti.
La tesi asserita nella censura è che una canna fumaria “di pochi centimetri di diametro”, che sporga dalla falda del tetto, non possa, per principio, pregiudicare il decoro del fabbricato, e ciò, evidentemente, a prescindere dalle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, e dall’esistenza, o meno, di una unitarietà di linee e di stile, suscettibile comunque di alterazione in rapporto alla modificazione dedotta in giudizio.
Quanto alla censura di omessa motivazione, tale vizio non è più configurabile alla stregua del nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., atteso che la norma suddetta, come visto in precedenza, attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Volendo ritenersi che la ricorrente abbia inteso, in realtà, denunciare il vizio di omessa motivazione quale ipotesi di nullità della sentenza, per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., va evidenziato come la pronuncia impugnata contenga le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.
5.11 nono motivo di ricorso allega il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. o di omesso esame di fatto decisivo, relativamente alla proposta alternativa di realizzazione della tubazione invocata già nell’atto di appello. Si fa riferimento alla richiesta di perizia avanzata tra le istanze istruttorie contenute nell’atto di gravame ed alla soluzione migliorativa prospettata dal consulente tecnico di parte, che ipotizzava di portare la condotta al livello del marciapiede.
5.1. Il nono motivo di ricorso è fondato. La Corte di Trieste si è limitata ad affermare che le soluzioni alternative proposte nel corso del giudizio di appello non potessero trovare “sfogo” in quella fase, nella quale doveva decidersi “intra (originariamente) alligata”.
Ciò valeva a prospettare una implicita inammissibilità per novità della deduzione operata dall’appellante. La sentenza impugnata assume che tali soluzioni alternative avrebbero potuto, invece, “essere offerte dall’appellante al Condominio”. Deve tuttavia considerarsi che la domanda azionata da un condomino, volta, come nella specie, all’accertamento del diritto di un condomino ad installare una canna fumaria sulla facciata dell’edificio condominiale, in base al disposto di cui all’art. 1102 c.c., ha natura reale, in quanto si fonda sulla verifica dei limiti del diritto di comproprietà su un bene.
Essa perciò rientra nel novero delle azioni relative ai diritti autodeterminati, individuati sulla base del bene che ne forma l’oggetto, la cui “causa petendi” s’identifica con lo stesso diritto di comproprietà sul bene comune, sicché comunque non vi è diversità di domande, agli effetti degli artt. 183 e 345 c.p.c., ove l’attore, nel corso del giudizio, deduca a fondamento della sua pretesa modalità realizzative della medesima opera diverse da quelle originariamente prospettate, trattandosi di allegazione compresa nel medesimo “petitum”, consistente nella richiesta di accertamento giudiziale delle condizioni di liceità del mutamento di uso.
La Corte d’appello di Trieste avrebbe perciò dovuto verificare se accogliere la domanda di accertamento del diritto della ricorrente di servirsi della cosa comune, nei limiti di cui all’art. 1102 c.c., operando le modificazioni di consistenza e struttura ulteriormente specificate in sede di gravame.
Né si comprende perché i giudici di secondo grado abbiano sostenuto che le soluzioni alternative, proposte nel corso del giudizio di appello, andavano eventualmente “offerte dall’appellante al Condominio”, non risultando accertata, e neppure dedotta, l’esistenza, nella specie, di una apposita previsione di natura convenzionale che imponga il consenso preventivo dell’amministratore o dell’assemblea per le opere modificative delle parti comuni dell’edificio.
Deve pertanto accogliersi il nono motivo del ricorso della “Omissis”, mentre vanno rigettati i primi otto motivi. La sentenza impugnata viene cassata, in ragione della censura accolta, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione, la quale terrà conto dei rilievi svolti e si uniformerà al principio enunciato, provvedendo anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il nono motivo del ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 settembre 2020.