Avviso di rettifica e liquidazione: la corretta modalità di calcolo del valore dell’immobile (CTR Lazio 2021)

Dott. Luca Procopio


La rettifica del corrispettivo pattuito nell’atto di vendita di un unico fabbricato costituito da più unità immobiliari è radicalmente illegittima e infondata se si prendono a paragone trasferimenti di singole unità immobiliari avvenuti in un periodo successivo e non anteriore di non oltre tre anni alla data della compravendita sottoposta a controllo, a maggior ragione se le singole unità immobiliari prese a confronto si caratterizzano per uno stato conservativo ottimale e non fatiscente.

Dalla sentenza in esame, emerge che l’Agenzia delle entrate, nell’avviso di rettifica e liquidazione di maggiori imposte di registro, catastale e ipotecaria emesso nei confronti di una società acquirente un intero fabbricato costituito da varie unità immobiliari, rettifica il valore venale di quest’ultimo identificato dalle parti contraenti nel corrispettivo pattuito utilizzando in modo combinato i seguenti criteri:

  1. il criterio “sintetico – comparativo”, consistente nell’applicazione dei valori normali desunti dalla banca dati dell’Osservatorio Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle entrate – territorio (O.M.I.);
  2. il criterio “sintetico per comparazione diretta”, attraverso l’esame dei valori desunti da altri contratti di compravendita riguardanti beni immobili aventi caratteristiche analoghe;
  3. il criterio basato sulla capitalizzazione delle rendite catastali.

Ciò detto, dopo che il primo grado del giudizio sorrideva alla società accertata, la CTR LAZIO rigettava il ricorso in appello dell’Agenzia delle entrate, muovendo espressamente dal tenore letterale dell’art. 51, comma 3, del D.P.R. n. 131/1986, che, nel legittimare la rettifica del valore venale dichiarato in un atto di compravendita sulla base del valore venale in comune commercio, guarda «ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni […]».

Nel caso di specie, ad avviso dei Giudici di seconde cure, il modus operandi dell’Agenzia delle entrate si presentava in netto contrasto con la lettera e la ratio della norma testé richiamata, con «ripercussioni inevitabili sul risultato finale del valore venale dell’immobile determinato dall’Amministrazione», in quanto Essa, nel ricorrere al criterio “sintetico per comparazione diretta”, assumeva quale termine di paragone n. 6 contratti preliminari di altrettante singole unità immobiliari stipulate nel secondo semestre dell’anno 2016, quando, invece, l’atto di compravendita immobiliare sottoposto a controllo era stato stipulato nel novembre 2015.

Nello specifico, la CTR Lazio ritiene che lo scostamento tra il valore venale dichiarato nell’atto di compravendita e quello rideterminato nell’avviso di rettifica e liquidazione, quantificabile nella misura dell’8%, sia giustificato dai seguenti vizi metodologici dell’avviso di rettifica e liquidazione:

  1. i contratti preliminari di compravendita presi a confronto sono stati stipulati in un periodo successivo a quello in cui ricadeva la compravendita immobiliare, «diversamente da quanto richiesto dal legislatore che richiama, infatti, atti traslativi o costitutivi di diritti reali su beni immobili intervenuti entro e non oltre il triennio precedente» e «Tale arco temporale ben può avere determinato un incremento del valore di mercato dei beni immobili della zona» e ciò a prescindere
  2. rispetto allo stato fatiscente del complesso immobiliare acquistato dalla società accertata, le unità immobiliari oggetto dei contratti preliminari presi a paragone erano stati interessate da lavori migliorativi di ristrutturazione;

Ad avviso dei Giudici di seconde cure, a prescindere dalla «considerazione di comune esperienza che diverso è il potere di trattativa nel caso di acquisto dell’intero fabbricato, rispetto all’acquisto delle singole unità che lo compongono», l’approccio valutativo adottato dall’Agenzia delle Entrate si palesa integralmente illegittimo in quanto si discosta dalla norma recata dal comma 3 dell’art. 51 del D.P.R n. 131/1986 e va ad inficiare in radice l’impianto metodologico della rettifica di valore, con la conseguenza che tale discostamento non può essere sanato dai correttivi utilizzati nell’avviso di rettifica e liquidazione per tener conto delle specifiche caratteristiche del complesso immobiliare compravenduto, quali l’ubicazione del fabbricato, le caratteristiche commerciali della zona e lo stato conservativo del bene, in quanto le corrispondenti riduzioni percentuali «risultano, di fatto, apportate su un valore iniziale viziato da una non corretta valutazione comparativa con altri atti traslativi dei beni di analoghe caratteristiche e condizioni» e se si considera anche la rilevante circostanza che il valore venale in comune commercio definitivamente stabilito nell’atto impositivo era anche superiore a quello stimato nella perizia redatta dal consulente tecnico della Banca che aveva concesso il finanziamento alla società contribuente per realizzare l’operazione di acquisto.


Testo della Sentenza

Commissione Tributaria Regionale Lazio n. 1098 del 19.02.2021

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Roma, Sezione 27, con la sentenza n. […], pronunciata all’udienza del […], accoglieva il ricorso proposto dalla contribuente, disponendo la compensazione delle spese di lite tra le parti.

Si era rivolta quel giudice la Srl […], impugnando l’avviso di rettifica liquidazione n. […], con il quale l’Agenzia delle Entrate […], aveva provveduto ad elevare il valore di una porzione immobiliare sita nel Comune di Roma, alla Via […], che aveva costituito oggetto di un atto di compravendita nel quale la contribuente figurava quale parte acquirente, dichiarato dalle parti in 1.275.000 ed elevato dall’Ufficio ad 1.386.800.

La ricorrente aveva eccepito la nullità dell’atto impugnato, per carenza di motivazione, in relazione all’errata falsa applicazione degli artt. 51 e 52 del d.P.R. n. 131/86 e la carenza di elementi probatori, posto che le unità immobiliari oggetto della compravendita risultavano locate, per cui l’applicazione del metodo di stima utilizzato dall’Ufficio si era rivelato frutto di una serie di errori metodologici, in contrasto con principi dell’estimo urbano.

Nel merito, aveva eccepito l’illegittimità ed infondatezza della rettifica in riferimento allo stato di fatiscenza in cui versava l’immobile alla data di trasferimento, avendo l’Ufficio posto raffronto tale immobile con altri beni caratterizzati da uno stato di conservazione diverso, come risultante anche dalla perizia di stima redatta dal tecnico incaricato dall’Istituto bancario mutuatario, della quale l’Ufficio non aveva tenuto conto determinando un valore elevato rispetto quello reale.

Era stato contestato anche il raffronto operato con altri immobili similari non in analogo stato di conservazione e, infine, il ricorso alle quotazioni OMI che, per effetto della legge comunitaria, doveva ritenersi avessero perso qualsiasi efficacia presuntiva riducendosi dati statistici di per sé non idonei fondare una rettifica di valore.

La Commissione giudicante riteneva, in via preliminare, destituita di fondamento l’invocata nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, risultando lo stesso corredato da tutti gli elementi criteri necessari sufficienti per consentire un pieno consapevole esercizio del diritto di difesa: in particolare, risultava indicato il criterio di stima seguito l’utilizzazione dei dati relativi ai valori medi degli immobili simili quelli compravenduti nella medesima zona, anche per effetto del riconoscimento del diritto di accesso, da parte del contribuente, tutti documenti agli atti che avevano costituito il presupposto dell’atto impositivo contestato.

Nel merito, di contro, primi giudici riconoscevano la fondatezza delle argomentazioni esposte dalla ricorrente, in quanto l’Ufficio, nell’individuare immobili similari a quello oggetto di accertamento, avrebbe dovuto considerare beni con analogo stato di conservazione, come richiesto dalla normativa di riferimento, mentre, nel caso in esame, risultava aver determinato il valore del bene sulla base di meri elementi statistici, di massima rilevati da Banche dati sulla valenza delle quotazioni OMI che, ai fini fiscali, hanno un rilievo probatorio di massima, in quanto sul prezzo influiscono altri fattori, quali lo stato dei luoghi, ubicazione dell’accesso delle strade, il pregio della zona, collegamenti ecc..

Osservavano, inoltre, i primi giudici, che la metodologia adottata dall’Ufficio appariva non sufficientemente corretta nell’indicare valori di mercato di larga massima quelli determinati mediante le quotazioni OMI, in quanto non sempre consoni alle specifiche caratteristiche intrinseche ed estrinseche dei beni oggetto di trasferimento che, al momento di cessione, influenzano la domanda l’offerta del prezzo di vendita.

Di conseguenza, il valore del bene accertato dall’Ufficio era da ritenersi eccessivo, in quanto lo stesso avrebbe dovuto individuare il prezzo medio normalmente praticato nella zona di riferimento per beni similari confrontarlo con quello in argomento al fine di determinare il valore venale in comune commercio più coerente, circostanza che non risultava essere avvenuta nel caso di specie.

Inoltre, proseguiva la Commissione giudicante, l’Ufficio avrebbe dovuto effettuare un abbattimento applicando dei coefficienti di ragguaglio in diminuzione del valore accertato, riconoscendo lo stato di fatiscenza, la locazione la crisi del mercato immobiliare, elementi che influiscono sul prezzo medio individuato normalmente praticato nella zona di riferimento per beni similari, di conseguenza avrebbe dovuto determinare un valore venale in comune commercio più coerente correttamente adattabile al caso concreto.

Avverso tale sentenza ha proposto appello l’Agenzia delle Entrate […], eccependo, quale primo motivo di censura, la falsa rappresentazione, da parte dei giudici, dei fatti di causa.

L’avviso di rettifica risultava, infatti, emesso seguito del controllo, ai sensi degli artt. 51 52 del d.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986, dei valori dichiarati in relazione ad un fabbricato sito nel Comune di Roma, poiché il valore venale del bene in oggetto alla data del trasferimento era risultato superiore quello dichiarato.

Sulla base della normativa di riferimento, deve, pertanto, ritenersi consentito rettificare il prezzo di vendita dichiarato, facendo riferimento al “valore venale in comune commercio”, il quale può essere determinato, ai sensi dell’art. 51, comma 3, dello stesso decreto “avendo riguardo ai trasferimenti qualsiasi titolo alle divisioni perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto quella in cui se ne produce l’effetto traslativo costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili altri di analoghe caratteristiche condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni”.

Evidenzia, inoltre, l’appellante che l’art. 1, comma 307, della Legge 27.12.2006, n. 296 (Finanziaria 2007) ha successivamente previsto che “con provvedimento del direttore dell’ Agenzia delle entrate sono individuati periodicamente criteri utili per fa determinazione del valore normale dei fabbricati ai sensi … dell’articolo 51, comma 3” del più volte menzionato decreto 131/1986. tale disposto normativo ha fatto seguito il Provvedimento del Direttore dell’ Agenzia, del 27.07.2007, il quale ha fornito una chiave di lettura concreta del concetto di “valore venale” rilevante per il controllo del valore degli immobili dichiarato ai fini dell’imposta di registro, individuando, in particolare, nell’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’ Agenzia del Territorio (O.M.I.) la sua fonte principale di riferimento.

Nel caso di specie, evidenzia l’appellante, l’Ufficio ha correttamente indicato non solo criteri in base al quale ha rettificato il valore dell’immobile oggetto di trasferimento, ma ha effettuato una ponderazione dei valori ottenuti da tutte le metodologie applicate, con conseguente legittimità dell’avviso impugnato anche sotto il profilo della motivazione dell’onere della prova.

Nella valutazione del valore dell’immobile in contestazione nell’applicare valori indicati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare, risultano, inoltre, essere state tenute in debito conto le specifiche caratteristiche dell’immobile compravenduto, quali l’ubicazione del fabbricato, le caratteristiche commerciali della zona, caratterizzata da un’alta intensità abitativa da una discreta propensione commerciale, nonché lo stato conservativo dell’immobile, ritenuto mediocre.

Ad avviso dell’appellante i primi giudici sarebbero, inoltre, incorsi in errore nel ritenere che l’Ufficio non abbia applicato coefficienti in diminuzione del valore accertato. Si evidenzia, di contro, che l’Ufficio ha adottato una serie di coefficienti di ragguaglio in diminuzione, quali una riduzione del 20% per l’acquisto “in blocco” dell’intero fabbricato, una riduzione del 15% per lo stato di conservazione, ritenuto mediocre una riduzione del 5% in ragione della crisi del settore immobiliare.

Ciò ha consentito, ad avviso dell’appellante, di determinare un valore venale del bene il più possibile aderente alla realtà del caso, come comprovato anche dalla valutazione effettuata dalla banca mutuataria che, nella propria perizia, ha stimato in 1.347.708 il valore di mercato del bene oggetto di rettifica, in misura, quindi, superiore quello dichiarato dalle parti.

L’appellante censura, inoltre, la sentenza nella parte in cui si afferma che l’Ufficio non avrebbe individuato il prezzo medio normalmente praticato nella zona di riferimento per beni similari. Si ribatte che, nel caso di specie, non solo risulta essere stato applicato il criterio di comparazione diretta mediante il raffronto con valori dichiarati in altri contratti preliminari di vendita di unità abitative del medesimo fabbricato, ma nella determinazione del valore sono stati applicati valori OMI inferiori ai minimi.

Tali valori unitari, moltiplicati per la superficie catastale complessiva, hanno determinato un valore di mercato al quale sono stati applicati succitati coefficienti in diminuzione, che hanno consentito di determinare un valore complessivo dell’immobile pari ad 1.425.924. Infine, tale stima è stata ulteriormente riconciliata con la valutazione effettuata della banca mutuataria che, nella propria perizia, ha stimato in 1.347.708 il valore di mercato del bene oggetto di rettifica, operando una media tra due valori (€ 1.425.924, stima dell’Ufficio ed 1.347.708, stima della Banca), ottenendo il valore rettificato di 1.386.800.

L’appellante, infine, ha evidenziato che la circolare n. 18/E dell’Agenzia delle Entrate ha inteso valorizzare la presenza di una serie di elementi presuntivi quali, associati tra loro, risultano pienamente idonei sostenere la pretesa tributaria, proprio com’è avvenuto nel caso in esame, precisando la mancanza di qualsivoglia obbligo normativo posto carico dell’Ufficio di ricorrere perizie redatte da tecnici professionisti di effettuare sopralluoghi, in quanto le caratteristiche degli immobili possono essere acquisite anche con gli strumenti informatici disponibili in ufficio. Su tali basi, in conclusione, l’appellante ha chiesto la riforma della sentenza impugnata, con conferma della legittimità dell’operato dell’Ufficio con vittoria di spese per entrambi gradi di giudizio.

Con atto di controdeduzioni, ritualmente tempestivamente depositato, si costituita nel presente grado di giudizio la società contribuente vittoriosa in primo grado, resistendo argomentando ex adverso in ordine ciascuno dei motivi di impugnazione proposti dall’appellante chiedendo la conferma integrale della pronuncia adottata dai primi giudici.

In particolare, si evidenzia che il valore assunto dall’Ufficio alla base della rettifica del valore dell’immobile poggia essenzialmente sulla mera elaborazione quantitativa statistica dell’OMI sui valori elaborati da tale organismo che, però, nel caso in esame, si rivelano fallaci in quanto riferibili immobili che presentano uno stato di conservazione normale non fatiscente, non corrispondente, quindi, alla realtà investigata.

Si contesta, inoltre, la circostanza del raffronto operato dall’Ufficio con valori di sei contratti preliminari, riguardanti singoli appartamenti del fabbricato oggetto di verifica, metodo da ritenersi erroneo non potendosi correttamente raffrontare la compravendita di un intero fabbricato con la cessione di singoli appartamenti, aventi natura mercato diversi rispetto all’oggetto stimato riferiti anche un arco temporale differente, dal momento che contratti preliminari di vendita risultano tutti stipulati nel secondo semestre del 2016, mentre la compravendita dell’immobile oggetto di contestazione risale al novembre del 2015.

Infine, non appare corretto il confronto con atti preliminari di compravendita trattandosi di un negozio giuridico dal quale deriva solo un obbligo delle parti stipulare un successivo contratto per il trasferimento della proprietà dell’immobile, che interverrà in un periodo successivo rispetto alla stipula del preliminare.

Per tali ragioni, deve ritenersi che il valore individuato dall’Agenzia delle entrate non sia rappresentativo del “valore normale” indicato nella prospettiva degli accertamenti.

All’odierna udienza la causa viene trattenuta per la decisione.

 MOTIVI DELLA DECISIONE

[…]

Nel caso di specie, peraltro, risulta che l’Ufficio abbia fatto ricorso applicazione dei criteri indicati dalla normative di settore per la determinazione del valore venale del bene, utilizzandoli in modo combinato tra loro, in particolare, il criterio “sintetico comparativo”, consistente nell’applicazione dei valori normali desunti dalla banca dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate-Territorio (O.M.I.); il criterio sintetico per comparazione diretta, attraverso l’esame dei valori desunti da altri contratti di compravendita riguardanti beni immobili aventi caratteristiche analoghe; infine, il criterio basato sulla capitalizzazione dalle rendite catastali.

Tali criteri il relativo metodo di approssimazione al valore venale dell’immobile, risultano essere stati esplicitati anche nell’avviso di rettifica impugnato, consentendo così alla contribuente, come risulta realmente avvenuto, un pieno consapevole esercizio del diritto di difesa, con conseguente legittimità dell’avviso impugnato sotto il profilo della motivazione.

Tuttavia, ritiene questa Commissione che l’operato dell’Ufficio evidenzi dei vizi proprio con riferimento al raffronto con valori desumibili dagli altri contratti di compravendita assunti quali termine di comparazione.

Non può non rilevarsi, infatti, che il legislatore ha precisato, al comma dell’art. 51 del d.P.R. in precedenza richiamato, che occorre avere riguardo “ai trasferimenti qualsiasi titolo alle divisioni perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto quella in cui se ne produce l’effetto traslativo costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili altri di analoghe caratteristiche condizioni”.

Nel caso in esame risulta, di contro, che l’Ufficio ha assunto quale termine comparativo nr. contratti preliminari riguardanti singole unità abitative dello stesso immobile, peraltro intervenuti nel secondo semestre dell’anno 2016, mentre la compravendita oggetto di rettifica risaliva al novembre dell’anno 2015.

Tale modus procedendo non risulta evidentemente conforme, ad avviso di questa Commissione, alla lettera alla ratio legis che finisce, infatti, con il risultarne tradita, con ripercussioni inevitabili sul risultato finale del valore venale dell’immobile determinato dall’Amministrazione.

A ciò si aggiunga che contratti preliminari assunti termine di raffronto risultano stipulati in un periodo successivo quello in cui intervenuta la compravendita del bene immobile in contestazione, diversa- mente da quanto richiesto dal legislatore che richiama, infatti, atti traslativi costitutivi di diritti reali su beni immobili intervenuti entro non oltre il triennio precedente.

Tale arco temporale ben può avere determinato un incremento del valore di mercato dei beni immobili della zona, dovendosi, peraltro, tenere conto della circostanza che le singole unità abitative, oggetto dei contratti preliminari di raffronto, erano state interessate da lavori migliorativi di ristrutturazione, evidentemente determinanti un apprezzamento di tali immobili.

Ciò, prescindere dalla considerazione di comune esperienza che diverso il potere di trattativa nel caso di acquisto dell’intero fabbricato, rispetto all’acquisto delle singole unità che lo compongono. Nemmeno risulta essersi fatto ricorso ad alcun atto peritale, al quale il legislatore pure opera un espresso richiamo, in alternativa agli atti negoziali che danno vita ad un trasferimento di immobili.

Il discostamento dell’operato dell’Amministrazione rispetto al dettato normativo in ordine agli aspetti testé evidenziati, appare significativo rilevante ai fini della determinazione del valore venale finale dell’immobile oggetto di rettifica, inficiando l’intero percorso metodologico seguito dall’Ufficio falsando anche successivi correttivi apportati nel tenere conto delle specifiche caratteristiche dell’immobile compravenduto, quali l’ubicazione del fabbricato, le caratteristiche commerciali della zona e lo stato conservativo del bene, in quanto le corrispondenti riduzioni percentuali di valore, operate applicando dei coefficienti di ragguaglio in diminuzione del valore accertato, nella misura del 20% per l’acquisto “in blocco” dell’intero fabbricato, del 15% per lo stato di conservazione, ritenuto mediocre del 5% per la crisi del settore immobiliare, risultano, di fatto, apportate su un valore iniziale viziato da una non corretta valutazione comparativa con altri atti traslativi dei beni di analoghe caratteristiche e condizioni.

D’altronde, deve rilevarsi che lo scollamento tra ii valore del bene come dichiarato nell’atto di compravendita quello attribuito dall’Amministrazione seguito della rettifica operata, quantificabile approssimativamente in misura dell’8%, ben può essere giustificato proprio alla luce di tale non corretta applicazione dei criteri metodologici indicati dalla normativa di settore. Significativa appare, peraltro, la circostanza che il valore finale individuato dall’Ufficio risulti superiore anche alla valutazione della banca mutuataria che, nella propria perizia, ha stimato in 1.347.708 il valore di mercato del bene oggetto di rettifica.

Alla luce di tali elementi deve, perciò ritenersi che l’avviso di rettifica originariamente emesso dall’Ufficio impugnato dal contribuente sia da ritenersi viziato nel modus procedendi per le ragioni suesposte ed errato nella determinazione finale del valore venale dell’immobile in considerazione e, pertanto, se ne impone l’annullamento, conferma di quanto già divisato dai giudici di prime cure in accoglimento dell’originario ricorso proposto dal contribuente. La peculiarità del caso in esame suggerisce di confermare anche la statuizione dei primi giudici riguardo alla compensazione delle spese di lite tra le parti.

 PQM

La Commissione tributaria regionale Lazio, Sezione 16°, rigetta l’appello dell’Ufficio. Dispone la compensazione delle spese di lite tra le parti.

 

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