Avv. Francesca De Carlo
In tema di appropriazione indebita, degna di nota è la sentenza della Seconda Sezione Penale della Cassazione, n. 11959/20201, la quale si è pronunciata circa la possibilità di qualificare il dato informatico quale bene suscettibile di appropriazione, ex art. 646 c.p2.
La pronuncia ha una portata innovativa in quanto modifica un orientamento consolidato che per lungo tempo ha escluso che potesse realizzarsi il reato di appropriazione indebita nel caso di sottrazione di file, trattandosi di bene immateriale.
In particolare, nella sentenza n. 44840 del 20103, si escludeva che i file potessero formare oggetto del reato di cui all’art. 624 c.p4 in quanto res incorporales e, in quanto tali, non suscettibili di detenzione, impossessamento, sottrazione o appropriazione. Solo in epoca recente, poi, si è profilata la possibilità di considerare la condotta di furto, anche in merito ai beni immateriali come i file5.
La vicenda oggetto della decisione in commento, riguardava le condotte poste in essere da un dipendente di una società operante nel campo delle telecomunicazioni, il quale all’atto di rassegnare le dimissioni dal lavoro, aveva restituito il computer aziendale con l’hard disk formattato.
Ciò aveva provocato il cattivo funzionamento dell’intero sistema informatico aziendale ed inoltre, i file sottratti alla memoria del dispositivo, erano stati, successivamente, rinvenuti su dei personal computer in suo esclusivo possesso.
La Corte di appello di Torino, parzialmente, riformava la decisione del giudice di prime cure, assolvendo l’imputato per il reato di danneggiamento di sistema informatico, di cui all’articolo 635 quater c.p.,6 e affermando, invece, la responsabilità per il delitto di appropriazione indebita.
L’imputato, ricorrendo in Cassazione, aveva dedotto la violazione di legge in riferimento all’articolo 646 c. p., per avere erroneamente qualificato i dati informatici come cose mobili e, di conseguenza, ritenuta integrata la fattispecie di appropriazione indebita. Secondo il ricorrente, non potendo, dei semplici dati informatici essere qualificati come cose mobili, non potevano nemmeno essere oggetto di tale reato, che richiede l’appropriazione di “denaro o cosa mobile altrui”.
La Cassazione ha sottolineato che già in altre pronunce, prima fra tutte la citata sentenza n. 44840/2010, è stata esclusa la configurabilità del reato di furto in relazione alla condotta appropriativa di file informatici evidenziando che “rispetto alla condotta tipica della sottrazione, la particolare natura dei documenti informatici rappresenta un ostacolo logico alla realizzazione dell’elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice, ad esempio nel caso di semplice copiatura non autorizzata di files contenuti in un supporto informatico altrui, poichè in tale ipotesi non si realizza la perdita del possesso della res da parte del legittimo detentore”.
La Corte, nel ricondurre il file ad una cosa mobile, sviluppa una motivazione piuttosto articolata che possiamo sintetizzare affermando che il file, inteso come un insieme di dati numerici tra loro collegati, assume carattere materiale nella rappresentazione grafica, visiva e sonora e può essere trasferito tra diversi dispositivi e per mezzo della rete internet, mantenendo le proprie peculiarità strutturali.
Pur non potendo, questi elementi, essere percepibili dal punto di vista sensoriale, sono “entità dotate di una propria fisicità: essi occupano fisicamente una porzione di memoria quantificabile, la dimensione della quale dipende dalla quantità di dati che in essa possono essere contenuti, e possono subire operazioni (ad esempio la creazione, la copiatura e l’eliminazione) tecnicamente registrate o registrabili dal sistema operativo”.
Su questa base, secondo la Corte, quanto sostenuto dall’orientamento maggioritario, secondo il quale il file non avrebbe i caratteri della fisicità propri della cosa mobile, non è condivisibile.
Al contrario, i file, vanno qualificati come cosa mobile, perchè caratterizzati da una struttura fisica misurabile e trasferibile, suscettibile di condotte appropriative. Sulla base di queste considerazioni, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: “i dati informatici contenenti files, sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita, la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer formattato”.
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1Sentenza 13 aprile 2020, depositata il 10.04.2020.
2Ai sensi dell’art. 646: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000. Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata. Si procede d’ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel n. 11 dell’articolo 61.
3“Rispetto alla condotta tipica della sottrazione, la particolare natura dei documenti informatici rappresenta un ostacolo logico alla realizzazione dell’elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice, ad esempio nel caso di semplice copiatura non autorizzata di files contenuti in un supporto informatico altrui, poiché in tale ipotesi non si realizza la perdita del possesso della res da parte del legittimo detentore”.
4Art. 624 c. p. :”Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516 .Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61 n 7 ) e 625.
5Cass. Pen., n. 32383/2015: il caso riguardava la condotta di un avvocato il quale, dopo aver comunicato la volontà di abbandonare lo studio legale associato del quale faceva parte, si era impossessato di alcuni file, cancellandoli dal computer di uso comune oltre che di alcuni fascicoli processuali, così da impedire agli altri colleghi qualsiasi controllo sulle rispettive spettanze.
6Art.. 645 quater c.p.,: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, mediante le condotte di cui all’articolo 635-bis, ovvero attraverso l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi, distrugge, danneggia, rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui o ne ostacola gravemente il funzionamento è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata”.