Avv. Mario Caliendo
L’istituto dell’aggiornamento delle posizioni antimafia anche alla luce delle previsioni dell’art. 89 bis del d.lgs. 159 del 2011 e del conseguente appiattimento delle conseguenze tra una Informativa Antimafia Interdittiva e la Comunicazione Antimafia Interdittiva diventa fondamentale.
Anche perché diventa l’unico vero rimedio per le aziende di rientrare nel mercato ed esercitare impresa, difatti che viene colpito da Informativa Antimafia Interdittiva soggiace ad un divieto di esercitare impresa che investe anche il settore privato.
E’ di qualche giorno la sentenza del TAR Partenopeo che proprio riallacciandosi al tema della importanza dell’istituto ne ha rimarcato la necessità ma anche il procedimento necessario che deve essere avviato per poter ottenere la liberatoria.
In data 17.04.2020, con la Sentenza n. 1387 del 2020, il TAR ha rimarcato, in adesione con la lettura Costituzionalmente orientata formulata dalla Corte Costituzione qualche settimana prima, ovvero il 26.3.2020, l’importanza vitale dell’aggiornamento ed il ruolo che le Prefetture devono assumere in quei specifici contesti.
Innanzitutto, il TAR Napoletano ha evidenziato che la logica che ispira i procedimenti antimafia delle Prefetture è quella preventivo cautelare fondata sul più probabile che non.
Il TAR Campania ha poi aggiunto che “l’attualità del quadro indiziario, da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, permane fino all’intervento di circostanze nuove, ulteriori rispetto ad una precedente valutazione di presenza di tentativi siffatti, che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo. In altri termini, il rischio di inquinamento mafioso si può considerare superato non tanto e non solo per il trascorrere di un considerevole lasso di tempo dall’ultima verifica effettuata senza che sia emersa alcuna evenienza negativa, quanto anche per il sopraggiungere di fatti positivi, idonei a dar conto di un nuovo e consolidato operare dei soggetti a cui è stato ricollegato il pericolo, che persuasivamente e fattivamente dimostri l’inattendibilità della situazione rilevata in precedenza” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3126/2007; n. 851/2006, TAR Campania, sez. I, n. 546/2019).
Il predetto criterio, tuttavia, secondo il TAR “subisce un temperamento nel caso in cui gli elementi di fatto, raccolti dalle forze di polizia, siano talmente risalenti nel tempo da non poter essere più considerati intrinsecamente idonei a supportare il giudizio di pericolo, anche per effetto di sopravvenienze quali la cessazione dell’attività imprenditoriale o l’esaurimento di determinati fenomeni organizzativi criminali” (cfr. TAR Campania, sez. I, 7 novembre 2018, n. 6465; TAR Campania, sez. I, n. 6504/2005).
Proprio partendo da tal esegesi il TAR ha accolto la tesi della ricorrente, ritenendo remoti gli indizi che suffragano la Interdittiva, proprio perché risalenti ad considerevole lasso di tempo e perciò incapaci ad assurge ad attuale elemento di contaminazione mafiosa.
Il TAR, infatti, precisa che con riferimento ad alcune frequentazione non può affermarsi che il decorso del tempo sia del tutto irrilevante, atteso che i controlli “in questione sono assai risalenti nel tempo (2005-2010) e che non sono stati indicati dalla Prefettura ulteriori manifestazioni di tali frequentazioni” ovvero ulteriori elementi anche di diversa natura dai quali desumere la persistenza di un pericolo di condizionamento.
Il TAR di Napoli, però, precisa che il discorso del lasso di tempo può essere utile per alcuni quadri indiziari ma non per tutti e non sempre.
In particolare, nel caso di informazioni ostative che si fondino non già su cointeressenze economiche o legami familiari, ma su mere frequentazioni con esponenti legati ai clan, opinare che il decorso del tempo non comporti alcun mutamento della prognosi, significherebbe in sostanza attribuire una sorta di stigma permanente, senza possibilità di sottrarvisi, a chi vi sia incorso.
Ed infatti, se per le altre cause indizianti (diretto coinvolgimento in attività criminali, legami familiari con esponenti malavitosi, cointeressenze economiche con esponenti di clan, ecc.) possono ipotizzarsi misure di self-cleaning (modifica della struttura proprietaria, del management, cambiamento di sede, ecc.), per il caso delle frequentazioni l’unica possibilità sarebbe quella di fuoriuscire dall’impresa.
In definitiva si può affermare che il TAR Campano ha fornito una lettura dell’istituto dell’aggiornamento delle posizioni antimafia delle società colpite, proprio su motivazioni speculari alla Corte di Costituzionale, precisando che al Prefetto spetta il delicatissimo compito di “aggiornare” le posizioni delle ditte interdette, operando con scrupolo ed approfondimento le richieste formulate e considerare in definitiva quale elemento di superamento della prognosi interdittiva anche il notevolissimo lasso di tempo trascorso se, però, si basi, gli indizi riguardano elementi quali le frequentazioni; mentre per quadri indiziari riguardanti precedenti penali o rapporti familiari o cointeressenze societaria è necessario adottare misure di self cleaning.
Nel caso affronto, il TAR di Napoli ha, però, evidenziato che il “notevole lasso di tempo trascorso” tra gli indizi e la “interdittiva” dovevano imporre al Prefetto una rivisitazione della prognosi Interdittiva disposta a carico della società scrutinata, un aggiornamento.
Il TAR, poi, precisa che nella specie tale rivisitazione ed aggiornamento fosse vieppiù necessaria anche perché si trattava di semplici “frequentazioni” registrate tra un socio ed esponenti legati alla criminalità organizzata, risalenti nel tempo e senza che si fossero mai più ripetuti altri “incontri” con gli stessi od altri pregiudicati.
Conseguentemente, il TAR attribuisce all’aggiornamento della posizione antimafia una funzione fondamentale e soprattutto evidenziando la necessità che le posizioni vengano effettivamente e concretamente vagliate dai Prefetti proprio per evitare di svuotare di contenuto l’istituto.
Il tutto anche perché l’interdittiva tiene “luogo della comunicazione” con l’effetto che le ditte così colpite non possono proprio operare, neanche nel settore privato.
Detto ciò, il rimedio, come anticipato, è l’aggiornamento della posizione antimafia utilizzando, come ben suggerisce il TAR Partenopeo, misure di self cleaning o la prova della inattualità degli indizi che avevano originariamente supportato la Interdittiva Antimafia e chiedendo ai Prefetti una rivisitazione seria ed approfondite delle posizione delle società.
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