Acquisto di un immobile viziato: come tutelarsi?

Avv. Pino Cupito

Ai sensi degli articoli 1476 comma 3 e 1490 del codice civile chi vende un immobile, deve garantire che il bene venduto non sia affetto da vizi che possano renderlo inidoneo per l’utilizzo cui lo stesso è destinato o che comunque ne possano diminuire il valore economico in misura rilevante.

In altri termini, colui che vende un immobile (appartamento, villa ecc…) deve ottemperare ad una specifica obbligazione di “risultato”.

Egli sarà quindi considerato inadempiente qualora l’immobile venduto presenti difetti tali da renderlo inidoneo all’uso o da diminuirne sensibilmente il valore commerciale.

Tuttavia, parlare di “inidoneità all’uso” non è come parlare di “diminuzione del valore commerciale”.

I due concetti, infatti, seppur confondibili, attengono, anche sotto il profilo giuridico, a circostanze completamente differenti tra loro.

L’“inidoneità all’uso” dell’immobile compravenduto riguarda infatti la sua incapacità ad essere asservito al regolare utilizzo da parte di chi lo compra.

Detta incapacità, alquanto grave giuridicamente parlando, presuppone il più delle volte (ma non solo!) seri difetti di costruzione dell’immobile acquistato o imperfezioni strutturali di notevole rilevanza.

Per contro, ci si riferisce al concetto di “diminuzione di valore” dell’immobile per indicare quel particolare decremento economico che l’immobile stesso subisce a seguito del verificarsi o della scoperta di un grave vizio che lo interessi.

 

Vizi occulti e vizi riconoscibili

Sotto il profilo tecnico, i vizi dell’immobile compravenduto prendono il nome di “vizi redibitori” allorché rendano il cespite in esame inidoneo all’uso o ne diminuiscano sensibilmente il valore.

Come più volte chiarito dalla Corte di Cassazione (v. Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 5202 del 07.03.2007), si è in presenza di un vizio redibitorio ogni qual volta l’immobile consegnato dal venditore al compratore:

  1. presenti delle imperfezioni, che attengano al suo processo di produzione o di fabbricazione, tali da renderlo non idoneo all’uso cui lo stesso è destinato;
  2. ne diminuiscano sensibilmente il relativo valore economico;
  3. appartenga ad un tipo o ad una specie diversa da quella pattuita tra le parti.

Ciò considerato, occorre in primo luogo chiarire che quando si parla di vizi, siano essi “occulti” o “palesi” (rectius “riconoscibili”), è necessario che gli stessi si concretizzino in vere e proprie irregolarità e/o difformità presenti sull’immobile “in data antecedente alla vendita”.

Sul punto, si definiscono “vizi occulti” quei difetti e quelle irregolarità dell’immobile, di carattere funzionale o strutturale, dei quali il compratore non aveva alcuna conoscenza al momento della stipula dell’atto notarile di vendita.

Più in particolare, ci si riferisce a quei difetti che l’acquirente, sulla base della diligenza media richiesta a colui che acquista un immobile, non poteva compiutamente percepire o quanto meno considerare durante la fase precontrattuale delle trattative con il venditore.

La giurisprudenza in materia ha inoltre chiarito in più occasioni quali possono essere i casi in cui ci si trovi di fronte a vizi occulti.

Tra questi vi rientrano, a titolo soltanto esemplificato, quelli legati alla struttura o all’impiantistica immobiliare come ad esempio:

  1. i difetti relativi agli impianti idraulici, ovvero infiltrazioni causate da problemi legati alle tubazioni o alla componentistica dell’impianto idraulico come l’assenza di guarnizioni e sigillanti ecc…
  2. i difetti relativi all’impianto di riscaldamento;
  3. i difetti relati all’impianto elettrico;
  4. i difetti all’impianto fognario ovvero problematiche legate all’errata pendenza dei tubi di scarico;
  5. fessurazioni e/o cedimenti interni;

Diversamente, si considerano “vizi riconoscibili” quei difetti dell’immobile dei quali il compratore avrebbe certamente potuto accorgersi prima dell’acquisto.

Al riguardo, è bene sottolineare che per accertare l’effettiva possibilità da parte dell’acquirente di individuare e/o di riconoscere un eventuale vizio sull’immobile compravenduto, non è per nulla sufficiente verificare se il difetto era visibile o meno agli occhi di quest’ultimo.

Al contrario, bisognerà porre in essere un attento esame volto all’accertamento delle concrete possibilità per il compratore di accorgersi del vizio sull’immobile, tenendo conto della ordinaria diligenza richiesta a quest’ultimo nella conclusione dell’affare.

In altri termini, la “riconoscibilità” del vizio sull’immobile acquistato non coincide necessariamente con la sua “apparenza esteriore”.

Insomma, ciò che si intende dire è che il vizio “riconoscibile” non è soltanto quello che si palesa come chiaramente visibile agli occhi dell’acquirente, ma anche quello ragionevolmente prevedibile da quest’ultimo sulla base di una complessiva valutazione dei dati, delle informazioni e degli elementi in suo possesso.

In tema con quanto testé considerato si è mossa anche la Corte di Cassazione in una importante sentenza  proprio in materia di “riconoscibilità” dei difetti su un immobile particolarmente datato (Cass. Civ., sent. n. 3348, del 12.02.2018).

Sul punto la Suprema Corte sostiene infatti che:

“…appare ragionevole ritenere che l’acquisto di un bene di vetusta costruzione, la cui datazione non sia stata celata dalla parte alienante e che, anzi, ne porti i segni, resi evidenti dal modo d’essere del bene stesso, trattandosi di una costruzione (opera quanto mai sensibile all’usura del tempo per più note ragioni: la sua diuturna esposizione alle intemperie e ai movimenti tellurici, la sua struttura costituita da materiali compositi e degradabili, la presenza d’impianti tecnologici altamente logorabili, la sua destinazione alla sopportazione di carichi continuati, le tecniche in uso al tempo della sua messa in opera), possa far ritenere agevolmente riconoscibili vizi, anche importanti, che lo affettino.” .

Tuttavia, preme al riguardo evidenziare che nell’ambito della casistica giurisprudenziale in materia è dato evincere che il maggior terreno di scontro nelle aule dei tribunali è proprio quello che riguarda il concetto di “facile riconoscibilità” dei vizi dell’immobile venduto.

E’ per tali ragioni, infatti, che la Cassazione (Cass. Civ. n. 2981/2012) ha ritenuto opportuno chiarire che, nell’ambito delle compravendite immobiliare, vige un principio di auto-responsabilità in base al quale il compratore è gravato da un onere di diligenza in ordine alla rilevazione di eventuali vizi che si presentino di “facile e semplice percezione”.

Ed all’uopo l’esclusione della garanzia del venditore, ai sensi dell’art. 1491 c.c., rappresenta proprio una diretta applicazione di tale principio fondamentale.

Inoltre, aggiunge la Suprema Corte:

“Sebbene il grado di detta diligenza non possa essere predicato in astratto ma debba essere apprezzato in relazione al caso concreto, avendo riguardo alle particolari circostanze della vendita, alla natura della cosa e alla qualità dell’acquirente, è da escludere che l’onere di diligenza del compratore si spinga fino al punto di postulare il ricorso all’opera di esperti o l’effettuazione di indagini penetranti ad opera di tecnici del settore” (Cass. Civ., Sez. 3, sent. n. 2361, del 28.06.1969; Cass. Civ., Sez. 1, sent. n. 2321, del 30.07.1974; Cass. Civ., Sez. 2, sent. n. 38, del 06.01.1979; Cass. Civ., Sez. 2, sent. n. 14277, del 18.12.1999);

Infine, è bene precisare, che nel concetto fin qui analizzato di “riconoscibilità” dei vizi sull’immobile compravenduto, non va assolutamente ricompreso anche quello di “effettiva conoscenza della causa generatrice” del vizio scoperto dal compratore.

 

La denuncia al venditore dei vizi dell’immobile

Partiamo come sempre dalla legge.

L’art. 1495 c.c. stabilisce che: “Il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro “otto” giorni dalla “scoperta”, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge.

La denunzia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o l’ha occultato.

L’azione si prescrive, in ogni caso, in “un anno” dalla “consegna”; ma il compratore, che sia convenuto per l’esecuzione del contratto, può sempre far valere la garanzia, purché il vizio della cosa sia stato denunziato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell’anno dalla “consegna”.

La norma dunque condiziona e subordina a precisi termini di decadenza e di prescrizione la possibilità dell’acquirente di proporre, nei confronti del venditore dell’immobile viziato, l’azione di garanzia per vizi.

Inoltre, il breve termine di decadenza di soli “otto giorni” che la norma prevede, è chiaramente posto nell’interesse del venditore, il quale, in caso di contestazioni, deve esser messo da subito in condizione:

  1. di porre rimedio al vizio rilevato dal compratore;
  2. di contestarne l’esistenza, la natura e/o ogni altro aspetto ad esso legato.

Per tal verso, in caso di mancato rispetto del termine soprindicato, il compratore non potrà procedere con l’azione giudiziaria per far valere la garanzia del venditore così come sancito dal predetto art. 1495 comma 1 c.c..

Circa poi le modalità con le quali formulare la denuncia nei confronti del venditore dell’immobile, la Cassazione si esprime in via oltremodo chiara al riguardo stabilendo, con orientamento ormai consolidato, che “…la denuncia per vizi può essere fatta con qualunque mezzo che in concreto si rilevi idoneo a portare a conoscenza del venditore i vizi riscontrati.” (Cass. Civ. n. 5142/2003).

Orbene, al fine di precostituirsi una prova relativa all’effettiva ricezione della denuncia da parte del venditore, si suggerisce, da un punto di vista pratico, di inoltrare ogni eventuale denuncia per vizia mezzo di raccomandata a/r o a mezzo pec.

Ciò considerato, ancor più rilevante è inoltre l’aspetto legato al tenore che la denuncia deve avere.

Sul punto, la Cassazione è intervenuta con un recente pronunciato per chiare in modo pressoché incontrovertibile che, in realtà, la denuncia dei vizi da parte del compratore non deve necessariamente essere analitica e specifica (Cass. Civ., Ord. Sez. 2, n. 27488 del 28.10.2019).

In particolare la Corte ha chiaramente affermato che:

“…l’acquirente al fine di conservare il diritto alla garanzia, a norma dell’art. 1495 cod. civ., non è tenuto a fare nel termine stabilito una denuncia analitica e specifica, con precisa indicazione dei vizi che presenta la cosa, ma può validamente limitarsi ad una denuncia generica e sommaria che valga a mettere sull’avviso il venditore, salvo a precisare in un secondo tempo la natura e la entità dei vizi riscontrati” (v. anche Cass. Civ., Sez. 2, n. 5878 del 25.05.1993; Cass. Civ., Sez. 2, n. 6234 del 15.05.2000).

Detto principio si pone perfettamente in linea con il brevissimo termine di 8 giorni soltanto che la legge concede all’acquirente dell’immobile per notificare la denuncia al proprio venditore.

Resta inteso che, ovviamente, una denuncia eccessivamente generica potrebbe tuttavia non raggiungere lo scopo desiderato e piuttosto ingenerare successivamente delle ovvie contestazioni da parte del venditore.

Sul punto infatti la Cassazione ha chiarito che la denuncia può esser generica “…purché essa renda il venditore edotto che il compratore ha riscontrato, sebbene in modo non ancora esauriente e completo, vizi che rendono la cosa inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore.” (Cass. Civ., Sez. 2, n. 25027 del 11.12.2015).

E’ per tali ragioni che si consiglia, in caso di immediata apprensione di eventuali vizi che interessino l’immobile acquistato, di formulare, nel termine anzidetto, una denuncia quanto più dettagliata possibile, onde scongiurare agevoli opposizioni e strumentalizzazioni da parte del venditore.

 

Vizi dell’immobile: la garanzia del venditore e le “Azioni Edilizie”

L’art. 1491 c.c. stabilisce espressamente che la garanzia del venditore non è dovuta in tutte quelle ipotesi in cui:

  1. il compratore al momento del contratto conosceva i vizi che interessavano l’immobile oggetto della compravendita;
  2. i vizi dell’immobile erano facilmente riconoscibili dal compratore sulla base della normale diligenza media.

Ciò chiarito, in presenza di “vizi occulti” (quindi non agevolmente riconoscibili dal compratore) che rendano l’immobile non idoneo all’uso o che ne riducano in misura rilevante il valore commerciale, una volta eseguito il primo adempimento (ovvero la denuncia al venditore) entro il termine sopra indicato (otto giorni), l’acquirente potrà tutelarsi attraverso le c.d. “Azioni Edilizie”.

In particolare, ai sensi degli art. 1490 e 1495 c.c., il compratore di un immobile viziato potrà:

  1. chiedere al giudice la risoluzione della compravendita (d. azione redibitoria) oltre al risarcimento del danno;
  2. potrà richiedere una congrua e proporzionale riduzione del prezzo di vendita (d. azione estimatoria detta anche “actio quanti minoris”).

La proposizione in giudizio di tali azioni prescinde dallo stato di “colpa” del venditore e sono volte soltanto ad eliminare, nel contratto di vendita, lo squilibrio contrattuale che si determina in caso di inadempimento da parte del venditore medesimo (Cass. Civ., Sez. II, Ord. n. 23015 del 26.09.2018).

Ciò posto, uno dei punti maggiormente dibattuti in merito alle anzidette azioni edilizie è quello dell’onere della prova.

In pratica, la questione per molti anni discussa può essere riassunta in questi termini:

E’ il compratore che deve provare l’esistenza di vizi preesistenti al contratto (oltre in danno e il nesso causale), oppure è il venditore ad avere l’onere probatorio in ordine alla corretta esecuzione della propria obbligazione?

Ebbene, in materia si sono alternati orientamenti giurisprudenziali a dir poco altalenanti che di seguito ripercorriamo brevemente.

Fino al 2013 in giurisprudenza si era alquanto sicuri nel sostenere che, nelle azioni di garanzia per i vizi della cosa venduta, l’onere della prova dei difetti e delle eventuali conseguenze dannose, nonchè dell’esistenza del nesso causale fra i primi e le seconde, fosse a carico al “compratore” che intendesse agire in giudizio per far valere la garanzia del venditore ex artt. 1490 e ss. c.c. (Cass. 1035/68, Cass. 2841/74, Cass. 7986/91, Cass. 8533/94, Cass. 8963/98, Cass. 13695/07, Cass. 18125/13).

Tale linea di pensiero è stata completamente rivoluzionata da una sentenza della Cassazione (Cass. Civ., Sez. 2, n. 20110, del 20.09.13) che nel riprendere quanto già espresso da una risalente sentenza delle Sezioni unite del 2001 (SS.UU. Sent. n. 13533 del 2001), ha invece stabilito che il creditore che agisca per l’adempimento o per la risoluzione del contratto o per il risarcimento del danno, deve provare soltanto la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi quindi ad indicare al giudice un unico elemento ovvero la circostanza dell’inadempimento della controparte (del venditore) sulla quale pertanto graverà l’onere di provare l’esatto adempimento della propria prestazione.

Nello specifico la Corte conclude con il seguente principio: “…in tema di compravendita, l’obbligazione (di dare) posta a carico del venditore è di risultato, in quanto l’interesse perseguito dall’acquirente è soddisfatto con la consegna di un bene in grado di realizzare le utilità alle quali, secondo quanto pattuito, la prestazione sia preordinata”

e pertanto,

“all’acquirente (creditore) sarà sufficiente allegare l’inesatto adempimento ovvero denunciare la presenza di vizi o di difetti che rendano la cosa inidonea all’uso alla quale è destinata o che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, essendo a carico del venditore (debitore), in virtù del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di avere consegnato una cosa che sia conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene.”

Sulla questione sono poi intervenute le Sezioni Unite con la nota sentenza n. 11748 del 03.05.2019 sostenendo che l’eventuale esistenza del vizio sull’immobile giustifica la risoluzione del contratto di vendita o la riduzione del prezzo della vendita stessa.

Allo stesso tempo la sussistenza di tale vizio rappresenta il “fatto principale” la cui prova è più vicina al “compratore” in quanto è proprio quest’ultimo che, dopo la consegna della cosa venduta ad avere la disponibilità necessaria per lo svolgimento degli opportuni esami sul vizio lamentato.

Pertanto, conclude la Corte:

“In materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi.”

Come interrompere la prescrizione annuale dell’azione di garanzia

Come sopra indicato, ai sensi dell’art. 1495 comma 3 c.c. il termine di prescrizione delle azioni edilizie è annuale e decorre dalla consegna dell’immobile.

Ciò considerato, si discute molto su quali siano gli atti che il compratore dell’immobile possa validamente porre in essere per interrompere detto termine prescrizionale.

Parte della giurisprudenza sostiene che sia sufficiente una semplice manifestazione di volontà del compratore, anche “stragiudiziale”, di voler esercitare la garanzia per i vizi dell’immobile.

Secondo tale orientamento per attivare validamente la garanzia del venditore sarebbe addirittura bastevole una comunicazione inviata al venditore medesimo anche nel caso in cui il compratore intenda riservarsi ad un momento successivo la scelta del tipo di tutela da proporre in giudizio (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 22903, del 10.11.2015; Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 18035 del 03.08.2010).

Di diverso avviso è invece quella giurisprudenza per la quale per interrompere la prescrizione annuale è necessario proporre “domanda giudiziale”, con la rilevante conseguenza che qualsiasi atto stragiudiziale inviato dall’acquirente dell’immobile (ivi inclusa la costituzione in mora nei confronti del venditore) è da considerarsi del tutto inidoneo allo scopo (Cass. Civ., Sez. II, Ord. n. 20705 del 04.09 2017; Cass. civ., Sez. II, sentenza n. 20332 del 27 settembre 2007).

A dirimere il suddetto contrasto, sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 18672 del 11.09.2019, sostenendo che l’art. 1495 c.c., quando parla di termine di prescrizione, non pare porre alcun obbligo in capo al compratore di agire con domanda giudiziale per l’interruzione del termine di prescrizione annuale dell’azione di garanzia.

A detta del Supremo Consesso, la norma richiamata si riferisce alla “tutela contrattuale” del compratore, ragion per cui quest’ultimo può avvelarsi della garanzia (e quindi può far valere l’inadempimento del venditore ex art. 1476 n. 3 c.c.) anche tramite un’attività “extraprocessuale” ovvero “stragiudiziale” .

Tale soluzione favorisce altresì, secondo la Cassazione, la risoluzione stragiudiziale e preventiva di eventuali controversie generate dalla scoperta da parte del compratore di vizi sull’immobile venduto.

Alla luce di tali considerazioni la Suprema Corte ha formulato il seguente principio di diritto:

“nel contratto di compravendita, costituiscono – ai sensi dell’art. 2943, comma 4, c.c. – idonei atti interruttivi della prescrizione dell’azione di garanzia per vizi, prevista dall’art. 1495, comma 3, c.c., le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme di cui all’art. 1219, comma 1, c.c., con la produzione dell’effetto generale contemplato dall’art. 2945, comma 1, c.c.”.

 

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